Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 36333 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 36333 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
SENTENZA
Oggi
3 O SEI 2624
sul ricorso proposto da COGNOME NOMENOME nato a COGNOME il DATA_NASCITA rervi-iNz1-0, 1 avverso la sentenza del 01/02/2023 della Corte d’appello di COGNOME DIZIARIO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiede l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 1 marzo 2023, la Corte di appello di COGNOME, riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di COGNOME, ha dichiarat penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 8 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000, e lo ha condannato alla pena di un a nove mesi di reclusione.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME, al fine di evadere le imposte sui redditi e RAGIONE_SOCIALE, avrebbe indicato elementi passivi fittizi nelle proprie dichiarazioni per gli anni 2012 e 2013, presentate il 27 settembre 2013 ed il 29 settembre 2014, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla società “RAGIONE_SOCIALE“, recanti complessivamente gli importi di 153.600,00 euro per l’anno 2012 e di 36.300,00 euro per l’anno 2013.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in particolare in riferimento agli artt. 238-bis, 178, comma 1, lett. c) , 533 e 603 cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla affermazione di colpevolezza in difetto di motivazione rafforzata.
Si deduce che la Corte d’appello ha violato l’obbligo di motivazione rafforzata. Si segnala, innanzitutto, che è stato valorizzato un unico elemento nuovo, una sentenza di condanna irrevocabile pronunciata in altro processo per fatti analoghi, e precisamente per analoghi reati tributari commessi con riguardo agli anni di imposta dal 2008 al 2011, e che però: a) la stessa si riferisce esclusivamente ai fatti commessi in relazione agli anni di imposta dal 2008 al 2011; b) l’art. 238-bis cod. proc. pen. non consente nessun automatismo degli accertamenti irrevocabili compiuti in altro processo rispetto ai fatti da provare; c) non vi è alcun rapporto di pregiudizialità tra i fatti oggetto di giudicato e i f oggetto del presente processo, perché relativi ad anni d’imposta diversi.
Si rappresenta, poi, che, per il resto, la Corte d’appello si è limitata a reinterpretare il materiale istruttorio acquisito in primo grado e a valorizzare quanto dichiarato dal teste di polizia giudiziaria, NOME COGNOME, sebbene questi non abbia detto nulla di diverso rispetto a quanto già dichiarato nel dibattimento in primo grado, evitando, inoltre, di passare in rassegna le risultanze poste a base della sentenza di assoluzione del Tribunale.
Si evidenzia, quindi, che il Giudice di secondo grado ha anche omesso di motivare sulla non ammissione di prove richieste dalla difesa, tutte rilevanti ai fini della decisione, in quanto costituite dalle deposizioni: a) del consulente tecnico NOME COGNOME, il quale avrebbe confermato la congruità del costo dei servizi resi dalla “RAGIONE_SOCIALE“; b) dei professionisti NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali avrebbero riferito di aver reso la propria attività in favore dello studio lega dell’attuale ricorrente per conto della “RAGIONE_SOCIALE“; c) dell’attua amministratore giudiziario della “RAGIONE_SOCIALE“, il quale avrebbe fatto chiarezza sulla “patrimonializzazione” e sull’operatività della stessa.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla affermazione di colpevolezza in difetto di un completo e corre esame di tutte le risultanze istruttorie disponibili.
Si deduce che la Corte d’appello ha omesso di considerare che: a) nessu accertamento in sede penale è stato compiuto a carico della società emittent fatture; b) le sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di COGNOME del ottobre 2020 e del 14 ottobre 2020 hanno escluso la inesistenza delle prestaz oggetto delle fatture; c) la sentenza di primo grado era pervenuta ad un e assolutorio, riconoscendo l’effettività delle prestazioni fatturate dall ricorrente, proprio confrontandosi analiticamente con le dichiarazioni del tes polizia giudiziaria NOME COGNOME; d) il nuovo esame in appello del medesim teste di polizia giudiziaria non ha fornito elementi di novità.
Si segnala, poi, che il precisato teste di p.g. ha dichiarato: a) di n svolto alcuna specifica attività di indagine relativamente agli anni di imposta e 2013; b) di aver raccolto dichiarazioni di professionisti i quali hanno detto reso la propria attività in favore dello studio legale dell’attuale ricorrente p della “RAGIONE_SOCIALE“, e di esserne ancora in parte creditori; c) di svolto specifici accertamenti sull’attività professionale svolta dall’ ricorrente; d) di aver affermato il ruolo di “cartiera” della società “RAGIONE_SOCIALE” in senso atecnico, in quanto la stessa era “patrimonializzata”, ri pagamenti ed aveva presentato le dichiarazioni fiscali per gli anni 2012 e 2013
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazi a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture ritenute men conseguentemente, all’affermazione di responsabilità, in difetto di un corr esame delle risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di appello.
Si deduce che la sentenza impugnata ha sopravvalutato la testimonianza del teste COGNOME COGNOME ha omesso di valutare o, comunque, di riconoscere il dovu rilievo agli elementi testimoniali e documentali acquisiti su richiesta della applicando inoltre una indebita inversione dell’onere della prova.
Si osserva, quanto alla effettività delle prestazioni fatturate, che l’ costituito dall’essere l’attuale ricorrente socio con partecipazione al 99 società “RAGIONE_SOCIALE” è in realtà privo di concludenza, perché non vi è divieto dell’ordinamento giuridico per il professionista di acquisire prestaz servizi da una propria società. Si precisa che le prestazioni trovavano causa contratto stipulato nel 2004, il quale prevedeva un corrispettivo annu 120.000,00 euro oltre IVA in cambio della prestazione di consulenze legal contabili e societarie e di altri servizi, ivi compresi quelli concernenti il no autovetture, le attività di segreteria per il funzionamento dello studio e la f
del materiale di cancelleria. Si segnala, richiamando quanto riferito anche dal teste COGNOME, ed evidenziando l’assenza di qualunque motivazione in proposito nella sentenza impugnata, che non è risultata alcuna duplicazione di costi per il funzionamento dello studio legale dell’attuale ricorrente, e che detto studio ha svolto un’attività in favore di società private, banche e consorzi proporzionata al corrispettivo dovuto alla “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto ha dichiarato compensi pari a 653.000,00 euro per l’anno 2012, e a 514.593,00 euro per l’anno 2013.
Si conclude che, una volta riconosciute l’effettività dei pagamenti e l’assenza di retrocessione degli stessi, viene meno l’elemento materiale del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000. Si precisa che, secondo la giurisprudenza, non integra la fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti la condotta di indicazione in fattura di un importo, per beni o servizi, maggiorato, ma che sia stato effettivamente corrisposto dall’utilizzatore.
Si rappresenta, sempre quanto alla effettività delle prestazioni fatturate, che l’indizio costituito dalla mancanza di dipendenti all’interno della “RAGIONE_SOCIALE è infondato perché non considera la possibilità, espressamente prevista nel contratto stipulato con l’attuale ricorrente, di avvalersi di consulenti o collaborator esterni. Si segnala, in particolare, che, come rilevato dalla sentenza di primo grado, la contabilità dello studio dell’attuale ricorrente era curata da un professionista incaricato e retribuito dalla “RAGIONE_SOCIALE“. Si aggiunge che la Corte d’appello ha illegittimamente: 1) ritenuto irrilevante la testimonianza del capitano COGNOME, pur da essa sentito, il quale ha riferito della piena operatività della “RAGIONE_SOCIALE” come società di servizi; 2) dato per scontata la mancata prestazione di attività professionali da parte dei professionisti COGNOME e COGNOME, respingendo la richiesta di escuterli; 3) ridimensionato immotivatamente la natura dell’attività prestata dal teste COGNOME, da essa sentito, il quale ha affermato di aver espletato funzioni di segreteria presso lo studio legale dell’attuale ricorrente; 4) omesso di valutare l’effettività dei pagamenti, avvenuti con mezzi tracciabili, la regolarità della loro documentazione, e l’assenza di prove in ordine alla loro retrocessione, come espressamente riconosciuto dalla sentenza di primo grado, ma anche dal teste COGNOME; 5) omesso di valutare la consistenza patrimoniale della “RAGIONE_SOCIALE“, titolare di immobili per un valore di milioni di euro, e regolarità della stessa nell’effettuazione degli adempimenti anche fiscali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si segnala, ancora, che la Corte d’appello afferma che la condotta dell’imputato ha realizzato un vantaggio fiscale, ma non compie alcun accertamento in proposito; e, anzi, l’attuale ricorrente, adempiendo alle obbligazioni derivanti dal contratto di consulenza con la “RAGIONE_SOCIALE“, ha speso più di quanto avrebbe risparmiato se non avesse dedotto i relativi costi.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla affermazione di colpevolezza con riguardo al profilo del dolo.
Si deduce che la sentenza impugnata espone una motivazione meramente tautologica in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Si segnala che, anche a dare per dimostrata l’insussistenza delle prestazioni indicate nelle fatture ritenute m ndaci, non è accertato se si sia verificato un risparmio di imposta. Si precisavl’affermazione della Corte d’appello, secondo cui la condotta contestata avrebbe determinato un abbattimento del carico fiscale a favore dell’attuale ricorrente, è del tutto generica e priva di concrete indicazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
Infondate sono le censure esposte nei primi tre motivi di ricorso, tra loro strettamente connesse, le quali contestano l’affermazione di responsabilità dell’imputato, deducendo che la sentenza impugnata ha violato l’obbligo di motivazione rafforzata, anche perché non ha posto a suo fondamento elementi nuovi rispetto a quelli esaminati dalla pronuncia assolutoria emessa in primo grado, non ha motivato sulla richiesta di assunzione di prove analiticamente indicate dalla difesa, e non si è confrontata con tutte le risultanze istruttorie, anche alla luce delle osservazioni del Tribunale e della difesa, prima di affermare la fittizietà delle operazioni oggetto delle fatture ritenute mendaci.
Ai fini dell’esame delle censure appena sintetizzate, vengono in rilievo due questioni di carattere AVV_NOTAIO, la prima concernente il contenuto dell’obbligo di motivazione c.d. “rafforzata”, e l’altra relativa alla nozione di fatture per operazioni inesistenti.
3.1. Il contenuto dell’obbligo di c.d. “motivazione rafforzata” nel caso di riforma di sentenza di assoluzione in sentenza di condanna è stato oggetto di esame nella giurisprudenza delle Sezioni Unite da tempo risalente.
Precisamente, le Sezioni Unite hanno affermato che, in tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, COGNOME, Rv. 231679 – 01).
E la successiva elaborazione giurisprudenziale ha precisato che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 10130 del 20/01/2015, Marsili, Rv. 262907 – 01).
3.2. La nozione di «operazioni inesistenti» è desumibile dalla definizione «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» posta dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000.
Resta invece estranea all’obbligo di motivazione c.d. “rafforzata” la necessità di acquisire elementi nuovi ed ulteriori rispetto a quelli esaminati in primo grado. Il giudice di appello, infatti, dopo aver proceduto a rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a norma dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., può senz’altro pronunciare sentenza di condanna in riforma di sentenza di assoluzione anche se il contenuto delle prove dichiarative riassunte è sostanzialmente identico a quello desumibile dall’esame dei verbali del giudizio di primo grado, e ne muti soltanto la valutazione di attendibilità o di concludenza: ciò che è necessario è che egli confuti specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, evidenziandone le ragioni di incompletezza o incoerenza. Invero, da un lato, la previsione della necessità, ai fini della riforma di una sentenza di assoluzione in sentenza di condanna, di acquisire a carico dell’imputato risultanze istruttorie di contenuto diverso da quelle già presenti in atti non è posta da alcuna disposizione normativa. Dall’altro, poi, la necessità di acquisizioni di tal tipo è estranea al sistema, perché presuppone la giuridica impossibilità di dare autonomo rilievo a vizi e lacune intrinseci all’apprezzamento delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice di primo grado, e, quindi, persino a manifeste illogicità, contraddittorietà e omissioni della motivazione dallo stesso esibita, che pure ne consentirebbero l’annullamento in caso di ricorso per cassazione. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Secondo la disposizione appena citata, costituiscono fatture per operazioni inesistenti le fatture emesse «a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi».
Muovendo da questa nozione, per «operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte» debbono intendersi anche quelle formalmente aventi ad oggetto lo scambio tra un bene o una prestazione, da un lato, e una somma di denaro, dall’altro, quando questa sia versata e, però, nessun bene sia consegnato e nessuna prestazione sia eseguita. Invero, anche in questo caso si ha una
operazione non realmente effettuata, bensì meramente simulata, perché fa difetto una delle prestazioni corrispettive costituente elemento necessario per l’esistenza della figura contrattuale, ossia dell’operazione, indicata come fondamento economico-giuridico della fattura, e, quindi, vi è divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
La conclusione appena indicata è in linea con l’insegnamento della giurisprudenza.
Invero, come già chiarito da una risalente decisione, nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, e proprio per questa ragione è configurabile la fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 sia nell’ipotesi di inesiste oggettiva dell’operazione (ovvero quando la stessa non sia mai stata posta in essere nella realtà), sia nell’ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) s infine, nell’ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti) (così Sez. 3, n. 1996 del 25/10/2007, dep. 2008, Figura, Rv. 238547 – 01, ma anche Sez. 3, n. 26520 del 14/03/2024, COGNOME).
Mentre, secondo altra pronuncia, integra il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, l’utilizzazione di una fattura emessa a fronte del pagamento anticipato di prestazioni di servizi poi successivamente non eseguite, senza l’evidenziazione del venir meno dell’operazione imponibile prima di presentare la dichiarazione, effettuando la relativa variazione ai sensi dell’art. 26 d.P.R. n. 633 del 1972 (Sez, 3, n. 37848 del 29/03/2017, Ferrario, Rv. 271044 – 01).
In considerazione di quanto precedentemente indicato, in particolare n1 § 3.1., è opportuno procedere ad una esposizione del contenuto sia della sentenza di primo grado, sia della sentenza impugnata.
4.1. Le imputazioni riguardano le dichiarazioni fiscali presentate dall’imputato il 27 settembre 2013 e il 29 settembre 2014 in relazione ai propri redditi ed affari per gli anni di imposta 2012 e 2013.
L’accusa è di avere raver – indicato, nelle precisate dichiarazioni, elementi passivi fittizi, mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti emesse dalla “RAGIONE_SOCIALE“, e relative a prestazioni di servizi. Le fatture in contestazion sono relative: a) per l’anno di imposta 2012, all’importo di 153.600,00 euro (120.000,00 euro di imponibile e 33.600,00 per IVA), ed hanno comportato l’evasione di 33.600,00 euro per IVA e di 51.372,00 euro per imposte sui redditi; b) per l’anno di imposta 2013, all’importo di 36.300,00 euro (30.000,00 euro di
imponibile e 6.300,00 per IVA), ed hanno comportato l’evasione di 6.300,00 euro per IVA e 12.900,00 euro per imposte sui redditi.
4.2. La sentenza di primo grado ha assolto l’attuale ricorrente, perché il non sussiste, ritenendo non accertato che il medesimo, nelle sue dichiarazioni gli anni 2012 e 2013, si sia avvalso di fatture per operazioni inesistenti.
Secondo il Tribunale, gli elementi a carico sono i seguenti: a) le prestaz indicate nelle fatture sono state emesse da una società, la “RAGIONE_SOCIALE cui il medesimo imputato era socio con una partecipazione nella misura del 99 %; b) le fatture in contestazione recano indicazioni generiche quanto al conten delle prestazioni effettuate; c) l’ammontare complessivo del valore de prestazioni oggetto delle fatture è sproporzionato rispetto al volume d’af dell’imputato; d) la “RAGIONE_SOCIALE” non aveva dipendenti, e, quindi non e condizione di prestare servizi strumentali all’attività professionale dell’imput
Fatta questa premessa, il Tribunale rappresenta, innanzitutto, che il dato d partecipazione quasi totalitaria dell’imputato nella “RAGIONE_SOCIALE” cost un indizio non grave, né preciso, perché gli scambi di beni o servizi tra sogg riconducibili al medesimo centro proprietario appartengono alla fisiologia rapporti commerciali.
Il Giudice di primo grado osserva, poi, che la descrizione dell’oggetto de prestazioni nelle fatture è coerente sia con la natura fisiologicamente sintet tale documento, sia con il contratto a monte, stipulato nel 2004. Precisa particolare, che le fatture recano le seguenti indicazioni: «contabilità int relativi adempimenti fiscali»; «consulenza»; «disbrigo pratiche»; «servizi var «servizio di segreteria». Aggiunge che il contratto stipulato nel 2004 prevede un compenso di 120.000,00 euro annui, corrispondente all’importo complessivo annuo delle fatture, e l’impegno della società “RAGIONE_SOCIALE” a fornire studi legali dell’imputato «tutti i servizi inerenti lo svolgimento dell’ professionale ed in particolare: a) fornire gli elaborati utili ai definizioni delle liquidazioni contabili per le dichiarazioni dei redditi; for propria consulenza per la predisposizione della dichiarazione dei redditi e dell’ dei sostituti d’imposta; b) fornire consulenze legali, contabili e societarie precisamente provvederà: al disbrigo pratiche (visure ipotecarie, documentazion ipo-catastale, certificati catastali e di residenza, visure camerali); richies atti giudiziari (sia nel distretto di Corte d’appello di COGNOME, sia al TAR di C e di Palermo); c) compilazione e deposito note di iscrizione ipotecaria e not trascrizione ipotecaria e nota di trascrizione di pignoramento; d) deposito noti e ritiro atti giudiziari in genere».
Il Tribunale segnala, quindi, che la “RAGIONE_SOCIALE” ha dimostrato la pro capacità a fornire le prestazioni oggetto delle fatture. Questo perché la societ abilitata dal contratto indicato ad avvalersi del contributo di collaboratori e
e, a tal fine, ha incaricato e retribuito un professionista esterno per curare la contabilità dello studio dell’imputato, come ammesso dal teste di polizia giudiziaria NOME COGNOME, nonché altri professionisti in ambito contabile e legale, come comprovato da atti di conferimento di incarichi e richieste di pagamento. Aggiunge che lo studio legale dell’imputato non aveva risorse per fruire dei servizi richiesti alla “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto non aveva neppure personale di segreteria. Esclude, inoltre, che il denaro pattuito non sia stato corrisposto o sia stato restituito con partite di giro.
Il Tribunale, ancora, rileva che il costo delle prestazioni non è sproporzionato rispetto al volume d’affari dell’imputato, posto che questi ha dichiarato per il 2012 compensi per 653.000,00 euro e per il 2013 compensi per 514.593,00 euro.
La sentenza di primo grado conclude: «Non può ritenersi con il grado di certezza richiesto in questa sede che il COGNOME si sia avvalso di fatture per operazioni inesistenti, potendosi soltanto ipotizzare che l’imputato abbia adottato una modalità organizzativa improntata al risparmio fiscale», integrante, al più, una condotta di elusione fiscale non punibile in sede penale a norma dell’art. 10-bis, comma 13, legge n. 212 del 2000.
4.3. La sentenza di appello ha invece affermato la penale responsabilità dell’attuale ricorrente, ritenendo accertato che il medesimo, nelle sue dichiarazioni per gli anni 2012 e 2013, si è avvalso di fatture per operazioni inesistenti.
La Corte distrettuale premette che l’imputato è stato già condannato, con sentenza penale divenuta irrevocabile a seguito di pronuncia della Corte di cassazione (Sez. 2, n. 14232 dell’11/10/2021, dep. 2022), per fatti di identico contenuto relativi agli anni di imposta dal 2008 al 2011.
Il Giudice di secondo grado, poi, osserva che il difetto di chiare e precise indicazioni nelle fatture alle prestazioni asseritamente effettuate si evince, oltre che dalla genericità delle espressioni impiegate («contabilità interna e relativi adempimenti fiscali»; «consulenza»; «disbrigo pratiche»; «servizi vari», «servizio di segreteria»), anche dall’assenza di qualunque riferimento al contenuto del contratto stipulato nel 2004.
La sentenza impugnata, quindi, rimarca che non risultano elementi per ritenere che la “RAGIONE_SOCIALE“, sicuramente priva di personale, abbia incaricato professionisti od altri per attività da svolgere in favore dello studio legal dell’imputato, o che li abbia retribuiti. Sottolinea, in particolare, che: a) documentazione prodotta, ad esempio con riguardo alle avvocatesse COGNOME, o ai dottori COGNOME, COGNOME e COGNOME, costituisce mera indicazione formale dell’esistenza di rapporti tra gli stessi e la “RAGIONE_SOCIALE“; b) i rapp documentati sono estranei agli anni di imposta in esame, in quanto ad esempio gli incarichi alle sorelle COGNOME sono datati 2009, mentre l’incarico al dottore COGNOME risale addirittura al 2006; c) non risulta documentata l’effettuazione di ,i4
prestazioni nell’interesse dell’attuale ricorrente, e, segnatamente, non risultano fatturazioni specifiche o pagamenti dalla “RAGIONE_SOCIALE” ai citati professionisti; d) la richiesta di pagamento presentata da NOME COGNOME alla “RAGIONE_SOCIALE” si riferisce ad attività svolte in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e non dell’imput e) non risulta indicata alcuna attività di gestione immobiliare potenzialmente riferibile ai contratti di locazione immobiliare prodotti. Sulla base di quest elementi, anzi, conclude che le somme pagate dall’imputato alla “RAGIONE_SOCIALE” ed indicate nelle imputazioni si riferiscono a «prestazioni di professionisti che non avevalto alcun contatto concreto con la società, che non hanno documentato alcunché che possa giustificare una loro pretesa di ordine economico e non hanno mai sollecitato alcun pagamento».
Il Giudice del gravame, ancora, dà conto del contenuto delle dichiarazioni del teste COGNOME, esaminato in udienza, e del teste COGNOME, rese davanti al Tribunale, e ne illustra l’irrilevanza. Espone, infatti, che: a) le dichiarazioni del teste COGNOME hanno un contenuto generico e si riferiscono ad attività svolte alle dipendenze della “RAGIONE_SOCIALE“, ma non precisano in alcun modo che tali attività siano state compiute in favore dello studio legale dell’imputato; b) le dichiarazioni del teste COGNOME COGNOME, ufficiale di polizia giudiziaria, servono esclusivamente ad affermare che la “RAGIONE_SOCIALE” non era una mera “cartiera” perché aveva curato movimentazioni contabili dell’imputato con rientro di capitali dall’estero e attività di gestione di altre società come la “RAGIONE_SOCIALE“, e la “RAGIONE_SOCIALE“.
La sentenza impugnata conclude che il dato della operatività della società “RAGIONE_SOCIALE” è inconferente ai fini dell’accertamento della effettività dell prestazioni oggetto delle fatture indicate nei capi di imputazione, perché l’elemento decisivo è costituito dalla impossibilità di individuare attività concretamente svolte dalla stessa in favore dell’imputato, e, anzi, dall’accertamento della «assoluta inesistenza concreta ed inconfigurabilità assoluta delle prestazioni fatturate al COGNOME». A tal fine, oltre a richiamare la genericità delle indicazioni delle fatture a fronte del versamento di importi rilevanti, perché pari a 10.000,00 euro al mese, sottolinea che, dagli atti, «non si riscontra assolutamente emergenza di transito di denaro, da parte della “RAGIONE_SOCIALE“, verso i pretesi soggetti (le germane COGNOME quali consulenti legali, i commercialisti in atti menzionati, la ex amministratrice a nome NOME COGNOME, ricoprente tale ruolo precedentemente alla COGNOME, che è moglie del COGNOME), con i quali tale società aveva stipulato contratti datati e del tutto generici; non si riscontrano in atti indicazioni credibili ed apprezzabili intorno all veridicità di tali prestazioni, che sarebbero da dedursi solo in base ai contratti, generici e datati allegati dall’appellato».
In considerazione dei principi giuridici applicabili, le conclusioni sentenza impugnata risultano immuni da vizi.
5.1. La Corte d’appello, innanzitutto, ha spiegato in modo preciso, sulla b di elementi puntuali, non specificamente esaminati dal Tribunale, e di u valutazione di tutto il materiale istruttorio, anche in considerazione dei r formulati nel ricorso, le ragioni per cui le prestazioni indicate nelle fatture de ritenersi non mai effettuate e, perciò, inesistenti.
Precisamente, l’aspetto fondamentale, nella valutazione della Corte d’appell è costituito dall’assenza di qualunque elemento da cui desumere che la socie “RAGIONE_SOCIALE” abbia acquisito prestazioni e sostenuto spese pe svolgimento di attività nell’interesse dell’attuale imputato, nonostante qu dovessero essere di consistente valore, atteso il pagamento di 10.000,00 euro mese più IVA. E questo aspetto, oggetto di analitico e corretto accertamento nel sentenza impugnata, non solo è sicuramente qualificabile come grave e preciso rispetto alla conclusione raggiunta, ma evidenzia anche una decisiva lacun motivazionale della sentenza di primo grado, la quale non si è in alcun mod soffermata sul dato dell’assenza di elementi documentali indicativi movimentazione di denaro dalla società “RAGIONE_SOCIALE” alle persone c avrebbero effettuato le prestazioni di interesse dell’imputato.
Occorre, poi, aggiungere, che la Corte d’appello, per quanto si evince dal motivazione esposta, raggiunge le sue conclusioni sull’inesistenza delle prestazi indicate nelle fatture in contestazione sulla base di una diretta valutazione risultanze istruttorie, e non perché aderisce acriticamente a quanto già accer in altro processo per gli anni di imposta dal 2008 al 2011. Invero, le conclus del processo per i fatti relativi agli anni di imposta dal 2008 al 2011 richiamate semplicemente come premessa, per una compiuta valutazione del contesto, e come conferma della correttezza logica dell’inferenza dell’inesiste delle prestazioni asseritamente eseguite dalla “RAGIONE_SOCIALE” dall’asse spese dalla stessa sostenute per poterle fornire.
Né può ritenersi che il Giudice del gravame sia incorso in violazioni processua nell’ammissione e valutazione delle prove rilevanti ai fini della conclus sull’inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto delle imputa In particolare, il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, con rif al consulente NOME COGNOME e all’attuale amministratore giudiziario de “RAGIONE_SOCIALE” e la pretesa svalutazione delle dichiarazioni dell’uffic polizia giudiziaria AVV_NOTAIO sono privi di rilevanza ai fini della decis in quanto la Corte d’appello ha fondato le sue conclusioni non sulla incongruenz del costo dei servizi fatturati o sulla fittizietà della società, ma sull’a qualunque elemento concretamente indicativo dell’acquisizione da parte di tal ente delle prestazioni da riversare all’attuale ricorrente. E per le ste
irrilevante è anche l’argomento difensivo svolto muovendo dalla tracciabilità dei pagamenti effettuati dall’imputato alla società. Quanto al rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria, con riguardo all’esame dei professionisti NOME COGNOME e NOME COGNOME, o alla pretesa svalutazione del contenuto della deposizione del teste COGNOME, è sufficiente osservare che la motivazione della sentenza impugnata si confronta in modo analitico con il contenuto delle dichiarazioni di queste tre persone, e che la difesa non ha documentato alcun travisamento della prova, né ha indicato di aver segnalato alla Corte d’appello circostanze nuove e rilevanti, non oggetto dei verbali degli atti istruttori acquisiti.
5.2. Una volta ritenuta correttamente accertata l’inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture utilizzate dall’imputato, incensurabile è anche la conclusione della configurabilità del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000.
Invero, come si è evidenziato in precedenza al § 3.2, per «operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte», e perciò «inesistenti», a norma dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, debbono intendersi anche quelle formalmente aventi ad oggetto lo scambio tra una prestazione, da un lato, e una somma di denaro, dall’altro, quando questa sia versata e, però, nessuna prestazione sia eseguita. Di conseguenza, in forza della medesima disposizione, le fatture emesse a fronte di tali operazioni sono qualificabili come «fatture per operazioni inesistenti», e, ulteriormente, il loro utilizzo per indicare elementi passivi in una dichiarazione relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto integra, sotto il profilo oggettivo, la fattispecie di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2
Infondate sono anche le cegure formulate nel quarto motivo, che contestano l’affermazione della sussistenza del dolo specifico, deducendo, in particolare, che non è stato accertato se le condotte indicate nell’imputazione abbiano determinato un risparmio di imposta.
La sentenza impugnata osserva che l’imputato era ben consapevole che le fatture si riferivano ad operazioni inesistenti e che il fine di evasione di imposta è rilevabile in ragione: a) delle più favorevoli aliquote di imposta applicate ad una persona giuridica rispetto a quelle relative ad una persona fisica; b) della titolarità, da parte dell’imputato, di oltre il 99 % delle quote della “RAGIONE_SOCIALE“, cui era trasferito il denaro; c) della possibilità di dedurre, ai fini della determinazione dell imposte dovute da una società, elementi invece non rilevanti ai fini della determinazione delle imposte dovute da una persona fisica.
Anche queste conclusioni sono immuni da vizi.
In primo luogo, se le operazioni cui si riferiscono le fatture sono inesistenti perché manca la prestazione, è certamente ragionevole ritenere che l’imputato fosse di ciò pienamente consapevole, sia perché titolare del 99 % delle quote
dell’impresa emittente i documenti contabili, sia perché (apparentemente) diretto e personale fruitore delle prestazioni in realtà non eseguite.
In secondo luogo, poi, il dolo specifico di evasione non presuppone l’accertamento dell’avvenuta evasione, ma la finalità di realizzare l’evasione, come si evince con chiarezza anche dalla definizione di cui all’art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 74 del 2000. E, ciò posto, è logicamente e giuridicamente accettabile la conclusione secondo cui la indicata finalità di evasione è desumibile dalla scelta di “deviare” Úl elementi attivi verso un contribuente sottoposto, in quanto persona giuridica, ad un trattamento fiscale più favorevole di quello previsto per una persona fisica, e, però, partecipato dall’agente in misura pressoché totalitaria. Del resto, anche la sentenza di primo grado, pur escludendo l’illiceità penale della condotta, ha espressamente riconosciuto che la stessa integrava «una modalità organizzativa improntata al risparmio fiscale».
La infondatezza, ma non inammissibilità, delle censure impone di rilevare la maturazione, alla data della presente decisione, del tempo necessario a prescrivere il reato di cui al capo A), commesso mediante la dichiarazione fiscale per l’anno di imposta 2012, siccome presentata il 27 settembre 2013, e, perciò, di dichiararne l’estinzione per prescrizione, annullando senza rinvio la sentenza impugnata per tale capo, e di tenere invece ferma l’affermazione di responsabilità per il residuo reato di cui al capo B), commesso mediante la dichiarazione fiscale per l’anno di imposta 2013, presentata il 29 settembre 2014, rigettando quindi il ricorso nel resto.
Non è necessario, poi, disporre la trasmissione degli atti al Giudice di merito per rideterminare la pena, in quanto deve necessariamente applicarsi per il reato residuo la sanzione corrispondente al minimo edittale, ossia quella di un anno e sei mesi di reclusione, posto che questa era stata la valutazione della sentenza impugnata per il reato ritenuto più grave.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo A) di imputazione perché estinto per prescrizione e ridetermina la pena per il restante reato in anni uno e mesi sei di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso il 20/06/2024.