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Fatture inesistenti: ricorso inammissibile in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per l’uso di fatture inesistenti e omessa dichiarazione. La sentenza sottolinea come un ricorso inammissibile sia tale quando generico e non affronta le motivazioni della corte d’appello. Viene inoltre chiarito che le pene sostitutive della Riforma Cartabia devono essere richieste esplicitamente dall’imputato in appello, non essendo applicabili d’ufficio in questo specifico contesto.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture Inesistenti: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5160 del 2024, ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi e sull’applicazione delle nuove pene sostitutive. La pronuncia riguarda il caso di un imprenditore condannato per reati fiscali, il cui tentativo di contestare la sentenza di condanna si è scontrato con un ricorso inammissibile. Analizziamo la vicenda per comprendere i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Processo

Un imprenditore, legale rappresentante di una società, è stato condannato in primo grado e in appello a tre anni di reclusione. Le accuse erano gravi: aver utilizzato una fattura per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali relative al 2012 e aver omesso la presentazione delle dichiarazioni per l’anno d’imposta 2013.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione di legge sulla prova: La difesa sosteneva che non vi fosse prova certa dell’effettivo utilizzo della fattura fittizia nelle dichiarazioni, poiché la prova si basava solo sulla testimonianza di un agente della Guardia di Finanza e non sull’acquisizione del registro IVA completo.
2. Mancata rinnovazione dell’istruttoria: Si lamentava il diniego, da parte della Corte d’Appello, di sentire come testimone il commercialista della società che aveva emesso la fattura, al fine di verificare se questa fosse stata successivamente stornata.
3. Mancata applicazione delle pene sostitutive: La difesa contestava alla Corte d’Appello di non aver informato l’imputato della possibilità di accedere alle pene sostitutive al carcere, introdotte dalla Riforma Cartabia.

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno ritenuto il primo motivo generico e una mera riproposizione delle argomentazioni già respinte in appello. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la corretta applicazione della legge. Nel caso specifico, le sentenze di merito avevano logicamente concluso che la fattura era stata utilizzata, poiché il totale degli acquisti IVA in dichiarazione corrispondeva a quello del registro contabile, che includeva la fattura contestata e non stornata.

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato, in quanto la testimonianza richiesta era irrilevante. Ciò che contava era l’utilizzo illecito della fattura da parte della società dell’imputato, non le eventuali operazioni contabili (come uno storno) effettuate dalla società emittente.

Le Pene Sostitutive e l’Onere della Richiesta dell’imputato

Il punto più interessante riguarda il terzo motivo del ricorso inammissibile, relativo alle pene sostitutive. La Corte ha chiarito un aspetto procedurale fondamentale: l’applicazione delle nuove norme più favorevoli, in particolare le pene sostitutive introdotte dal d.lgs. 150/2022 (Riforma Cartabia), non è automatica per i processi già in corso.

La normativa transitoria (art. 95 del d.lgs. 150/2022) stabilisce che tali norme si applicano ai procedimenti pendenti in appello, ma ciò non esonera l’imputato dal formulare una specifica richiesta. Poiché nel caso di specie né l’atto di appello né le conclusioni discusse in udienza contenevano una richiesta di applicare le pene sostitutive, la Corte d’Appello non era tenuta a pronunciarsi d’ufficio sull’argomento. La mancata richiesta ha quindi precluso ogni possibilità di valutazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su principi procedurali consolidati. In primo luogo, un ricorso è inammissibile se non si confronta criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, limitandosi a riproporre le stesse doglianze. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un giudice di legittimità. In secondo luogo, l’introduzione di nuove norme più favorevoli non comporta sempre un’applicazione automatica da parte del giudice. Come nel caso delle pene sostitutive, le norme transitorie possono imporre un onere specifico alla parte interessata, ossia quello di formulare un’esplicita richiesta. L’inerzia della difesa su questo punto si è rivelata decisiva per il rigetto della doglianza.

Le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni pratiche. La prima è che un ricorso per cassazione deve essere redatto con estrema cura, evitando la genericità e concentrandosi su vizi di legittimità specifici, senza tentare di ottenere una nuova valutazione delle prove. La seconda è che le novità legislative, anche se favorevoli all’imputato, richiedono un’attenta conoscenza delle norme transitorie. L’avvocato ha l’onere di attivarsi per richiedere l’applicazione di istituti come le pene sostitutive, la cui concessione non può essere data per scontata o attesa d’ufficio dal giudice.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo la sentenza, un ricorso è inammissibile quando è generico, si limita a riproporre motivi già respinti nei gradi precedenti senza un confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, oppure quando mira a ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione.

Perché la Corte ha ritenuto provato l’utilizzo della fattura fittizia?
La prova è stata considerata raggiunta perché gli accertamenti della Guardia di Finanza avevano dimostrato la piena corrispondenza tra il totale degli acquisti riportato nella dichiarazione IVA e quello risultante dal registro contabile. Tale registro includeva la fattura contestata, che non risultava essere stata stornata, rendendo così evidente il suo illecito utilizzo ai fini fiscali.

L’imputato poteva ottenere le pene sostitutive al carcere previste dalla Riforma Cartabia?
No, perché non ne ha fatto richiesta. La normativa transitoria della Riforma Cartabia prevedeva che, per i processi già in grado d’appello, l’applicazione delle nuove e più favorevoli pene sostitutive dovesse essere oggetto di una specifica richiesta da parte dell’imputato. In assenza di tale istanza, il giudice d’appello non era tenuto a considerare d’ufficio tale possibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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