Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5160 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5160  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, n. Calcinate il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/04/2023 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18 aprile 2023, la Corte d’appello di Brescia ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME e ha confermato la condanna alla pena di anni tre di reclusione al medesimo inflitta, quale legale rappresentante di una società, in ordine ai reati di cui agli artt. 2 e 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 p aver utilizzato una fattura per operazioni inesistenti nelle dichiarazioni IVA e sulle imposte dei redditi presentate in relazione all’anno d’imposta 2012 e per aver omesso la presentazione delle dichiarazioni per l’anno d’imposta 2013.
Avverso la sentenza di appello, a mezzo del difensore fiduciario ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo, con il primo motivo, la violazione degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione con riguardo all’effettivo utilizzo nelle dichiarazioni della fattura oggetto di contestazione. prova – si lamenta – era stata unicamente tratta dalle dichiarazioni rese dal teste della Guardia di Finanza COGNOME, il quale aveva riferito che quel documento fiscale, annotato in contabilità e non stornato, era confluito nelle dichiarazioni. L’omessa acquisizione agli atti del registro IVA completo non consentiva, tuttavia, di ritenere provato il mancato storno e su questa specifica doglianza, avanzata nei motivi d’appello, la Corte territoriale non aveva fornito un’effettiva risposta.
Con il secondo motivo di ricorso si deducono la violazione dell’art. 603 cod. proc. pen. ed il vizio di motivazione per il diniego della richiesta rinnovazione istruttoria per escutere a teste il commercialista della società emittente la fattur oggetto di contestazione al fine di verificare se la stessa fosse stata effettivamente stornata. L’audizione di quel teste – ricorda il ricorrente – era stata disposta da giudice di primo grado ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., che aveva poi però incomprensibilmente revocato l’ordinanza ammissiva non sciogliendo il dubbio sulla menzionata circostanza. La risposta fornita dalla sentenza impugnata a giustificazione del rigetto dell’istanza di rinnovazione istruttoria, poggiante sull dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società emittente, ritenute al proposito non precise, era illogica, imponendosi proprio per tale ragione l’escussione del commercialista.
Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano la violazione dell’art. 545 bis cod. proc. pen. e il difetto di motivazione per non aver la Corte territoriale dat avviso all’imputato della possibilità di accedere alla sostituzione della pena detentiva senza aver in alcun modo giustificato l’eventuale sussistenza di ragioni ostative alla sostituzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, manifesta infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite, essendosi il ricorrente limitato a riproporre i motivi sollevati con l’appello, adeguatamente e correttamente vagliati dalla Corte territoriale, senza confrontarsi realmente con le argomentazioni spese in sentenza e sollecitando anche una diversa valutazione delle prove e ricostruzione del fatto.
1.1. Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, NOME, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrent come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicit della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scel tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
1.2. Nella specie, con accertamento in fatto non illogicamente motivato, peraltro concordemente effettuato nei due gradi del giudizio di merito, la sentenza impugnata ha ritenuto certa l’indicazione della fattura oggetto di contestazione nelle dichiarazioni, posto che il totale degli acquisti IVA riportato sul registro
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quale integralmente esaminato dal teste qualificato della Guardia di Finanza che aveva proceduto agli accertamenti – corrispondeva all’indicazione fattane nella dichiarazione fiscale, sicché, essendo stata sul registro annotata e non stornata anche quella fattura, doveva necessariamente concludersi che la stessa fosse stata utilizzata in dichiarazione.
 La circostanza appena riferita rende ictu ocu/i ragione della superfluità della prova testimoniale oggetto della richiesta di rinnovazione istruttoria.
Al di là dell’evidente carattere esplorativo della richiesta, alla luce delle incerte dichiarazioni su un eventuale storno di quella fattura rese dal legale rappresentante della società emittente, è infatti evidente che quand’anche il commercialista di tale società avesse dichiarato che, nella contabilità della stessa, la fattura attiva in questione (mai pagata, attesta la sentenza) fosse stata stornata, ciò non varrebbe ovviamente ad escluderne l’altrimenti accertato illecito utilizzo da parte della società rappresentata dall’imputato.
 Quanto alla doglianza proposta con il terzo motivo – neppure specificamente argomentata in diritto – ne è evidente la genericità e manifesta infondatezza.
Non avendo l’imputato allegato di aver richiesto, neppure in sede di discussione, l’applicazione della più favorevole disciplina sulla sostituzione delle pene detentive brevi medio tempore sopravvenuta con l’entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, alla luce della disposizione transitoria contenuta nell’art. 95 del suddetto decreto, la Corte territoriale non era legittimata ad applicare d’ufficio l’art. 545 bis cod. proc. pen., che concerne la pronuncia di una sentenza di condanna a pena detentiva non superiore a quattro anni e non sospesa alle condizioni di legge.
3.1. La disposizione, collocata nel libro VII del codice di rito, che disciplina il giudizio dibattimentale di primo grado, in forza del AVV_NOTAIO richiamo di cui all’art. 598 cod. proc. pen., può infatti ritenersi operante in grado di appello soltanto «in quanto applicabile».
Nel silenzio del generico ricorso, reputa il Collegio che, al di fuori del regime transitorio stabilito dalla c.d. riforma Cartabia di cui più oltre si dirà, l’applicazi in grado di appello dell’art. 545 bis cod. proc. pen. postuli che la condanna ad una pena detentiva breve suscettibile di sostituzione intervenga, per la prima volta, in secondo grado, o a seguito del ribaltamento dell’epilogo assolutorio del primo grado in accoglimento del gravame proposto dal pubblico ministero, ovvero in forza della riduzione del trattamento sanzionatorio che faccia rientrare la minor pena detentiva inflitta dal giudice superiore entro la soglia di sostituibilità. Nel caso
di specie ciò non si è verificato, essendo stata integralmente confermata, anche sul trattamento sanzionatorio, la pena inflitta in primo grado, sicché nessuna (nuova) pena detentiva è stata applicata con la sentenza di appello.
Quando la sostituzione, oggettivamente possibile in primo grado, non sia stata disposta, l’imputato che voglia fruirne deve appellare sul punto la sentenza, non potendo certo contare, in difetto, sull’obbligo del giudice di appello che confermi la decisione di fare applicazione dell’art. 545 bis cod. proc. pen., non essendo appunto lo stesso applicabile d’ufficio nel giudizio d’impugnazione. Il rispetto del principio devolutivo che governa l’appello impone infatti di ritenere eccezionali le ipotesi in cui il giudice dell’impugnazione può applicare d’ufficio istituti pu favorevoli all’imputato appellante, che restano pertanto confinate a quelle previste dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. ed in queste – secondo l’orientamento interpretativo suggellato da un recente intervento di questa Corte nella sua più autorevole composizione, da riaffermarsi anche alla luce della recente riforma non rientra la possibilità di disporre la sostituzione delle pene detentive brevi (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, COGNOME, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
3.2. Nel caso di specie, essendo la sentenza di primo grado stata resa in data 8 aprile 2022, prima dell’entrata in vigore della richiamata riforma, l’applicazione in grado di appello della disciplina più favorevole sulla sostituzione delle pene detentive brevi è stata tuttavia regolata, in via transitoria, dalla specifica discipli contenuta nel richiamato art. 95 d.lgs. 150 del 2022, al quale il ricorrente neppure accenna. Questa disposizione, significativamente, non ha però in tal caso prescritto l’applicazione d’ufficio dell’art. 545 bis cod. proc. pen. – ciò che pure sarebbe stato in astratto possibile prevedere – ma si è limitata a disciplinare la transitoria applicabilità, al di fuori delle regole del giudizio impugnatorio ed i ossequio al principio di cui all’art. 2, quarto comma, cod. pen., della più favorevole disciplina sostanziale nel frattempo intervenuta. Si è pertanto stabilito, per quanto qui rileva, che «le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell’entrata in vigore del presente decreto».
Come questa Corte ha già precisato, affinché il giudice di appello sia tenuto a pronunciarsi, alla luce di tale norma transitoria, in merito all’applicabilità o meno delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui all’art. 20 – bis cod. pen., è però necessaria una richiesta in tal senso dell’imputato, da formulare non necessariamente con l’atto di gravame, ma che deve comunque intervenire, al più tardi, nel corso dell’udienza di discussione in appello (Sez. 6, n. 33027 del 10/05/2023, Agostino, Rv. 285090). Secondo altro, più recente, orientamento, del resto, il giudice tenuto ad applicare l’art. 545 bis cod. proc. pen. non deve in ogni
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caso proporre all’imputato l’applicazione di una pena sostitutiva, essendo investito, al riguardo, di un potere discrezionale, sicché l’omessa formulazione, subito dopo la lettura del dispositivo, del relativo avviso non comporta la nullità della sentenza, presupponendo un’implicita valutazione dell’insussistenza dei presupposti per accedere alla misura sostitutiva (Sez. 2, n. 43848 del 29/09/2023, D., Rv. 285412- 01). In quest’ottica, la possibilità di dolersi col ricorso pe cassazione dell’omesso avviso previsto dall’art. 545 bis cod. proc. pen. da parte della Corte territoriale presuppone che l’esercizio di tale potere discrezionale sia stato comunque sollecitato dal difensore nelle conclusioni del giudizio o con richiesta formulata subito dopo la lettura del dispositivo (Sez. 2, n. n. 43848 del 29/09/2023, D., Rv. 285412-02).
Nel caso di specie, il generico ricorso nulla allega al proposito, sicché, anche se riguardata su questo piano, la doglianza circa l’omesso avviso di accedere alla sostituzione della pena detentiva è inammissibile.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 3.000,00. 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 29 novembre 2023.