Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2275 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2275 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 13/12/1975
avverso la sentenza del 09/01/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME, condannata in primo e secondo grado alla pena di anni 1 di reclusione, oltre pene accessorie, per il reato di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000 – perché, nella sua qualità di titolare della ditt individuale “RAGIONE_SOCIALE di COGNOME“, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture relative ad operazioni inesistenti, indicava nella dichiarazione “PF 2014”, relativa all’anno 2013, elementi passivi fittizi pari ad C 88.687,00, con conseguente evasione di imposta pari ad C 18.894,00 di Iva ed C 10.677,00 di Ires – ha proposto ricorso per cassazione;
che, con un primo motivo di censura, si deduce il difetto motivazionale della sentenza impugnata, con riguardo alla penale responsabilità dell’imputata, sul rilievo che i giudici di merito avrebbero erroneamente fondato il proprio convincimento in ordine all’inesistenza delle fatture sull’insussistenza di autonome strutture operative e sul mancato pagamento dell’Iva, senza condurre, sul punto, i dovuti accertamenti;
che, con un secondo motivo di impugnazione, si lamenta la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., malgrado la sussistenza di specifici elementi di segno contrario.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che il primo motivo di impugnazione è inammissibile, giacché meramente riproduttivo di doglianze già esaminate e motivatamente disattese con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello e diretto, altresì, a sollecitare una rivalutazione preclusa in sede di legittimità, sulla base di un’alternativa “rilettura del quadro probatorio, già adeguatamente valutato dai giudici di merito, con coerenti e conformi argomentazioni;
che il provvedimento di secondo grado – la cui motivazione si salda, sul piano argomentativo, con quella della sentenza di primo grado, trattandosi di c.d. doppia conforme – risulta pienamente sufficiente e logicamente coerente, nella parte in cui fonda il contestato addebito di responsabilità, oltre che sul dato che le fatture impiegate avessero la stessa veste grafica, sulla circostanza – accertata dai verificatori e non contestata, nemmeno in via di mera prospettazione, dalla difesa – che le società emittenti le fatture portate in dichiarazione fossero prive di sedi e di strutture operative e di personale, così basando le proprie conclusioni su una compiuta e logica analisi critica degli elementi di prova dai quali è emersa la non esistenza della società emittente le fatture utilizzate;
che la seconda censura è parimenti inammissibile in quanto nuova, risultando proposto, il tema dell’applicabilità della previsione dell’art. 131-bis cod. pen., per la prima volta con il ricorso per cassazione, e non con i motivi di appello, a ciò
ostando il disposto dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata (ex multis, Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Rv. 272789; Sez. 2, n. 21465 del 20/03/2019, Rv. 275782; Sez. 5, n. 4835 del 27/10/2021, dep. 2022, Rv. 282773);
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2024.