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Fatture inesistenti: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per l’utilizzo di fatture inesistenti. La decisione si basa sul principio che il ricorso per cassazione non può limitarsi a una rivalutazione dei fatti, ma deve contestare vizi di legittimità. L’imprenditore è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture Inesistenti: la Cassazione Conferma la Condanna e Dichiara il Ricorso Inammissibile

L’utilizzo di fatture inesistenti è uno dei reati fiscali più comuni e insidiosi, volto a ridurre l’imponibile e l’IVA dovuta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7 Penale, n. 13293/2024) offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in sede di legittimità, ribadendo un principio fondamentale: la Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti. Analizziamo insieme la vicenda processuale.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un imprenditore che ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato. L’accusa era quella di aver utilizzato, nella propria dichiarazione fiscale relativa all’anno 2014, una fattura per operazioni inesistenti.

Nello specifico, la fattura era stata emessa da una società di project management per presunte attività di progettazione e fornitura di impianti fotovoltaici. Tuttavia, le indagini, basate sulla deposizione di un ufficiale di polizia giudiziaria, avevano accertato che la società emittente aveva emesso sistematicamente fatture per operazioni mai realizzate a favore di diverse aziende, inclusa quella del ricorrente. Di fatto, nessuna prestazione era stata fornita a fronte del documento fiscale.

La Decisione della Corte sulla Questione delle Fatture Inesistenti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imprenditore, ma si concentra sulla struttura e sul contenuto del ricorso stesso. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni presentate dal ricorrente non erano volte a denunciare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza d’appello, bensì a proporre una diversa valutazione dei fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio.

Di conseguenza, non ravvisando alcuna assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte ha condannato l’imprenditore al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un caposaldo del sistema processuale italiano: il ruolo della Corte di Cassazione come giudice di legittimità e non di merito. Il ricorso è stato ritenuto di “natura valutativa”, ovvero un tentativo di rimettere in discussione l’apprezzamento delle prove e dei fatti compiuto dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, secondo gli Ermellini, aveva fornito una motivazione “immune da vizi logici” e quindi non censurabile in questa sede.

La Corte d’Appello aveva correttamente basato la sua decisione sulla fittizietà dell’operazione, confermata dalla testimonianza dell’investigatore che aveva svelato il meccanismo fraudolento messo in atto dalla società emittente. Il tentativo del ricorrente di ottenere una nuova analisi critica delle argomentazioni della sentenza impugnata è stato quindi respinto, poiché esula dalle competenze della Cassazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito per chi intende impugnare una sentenza di condanna in Cassazione. È fondamentale che il ricorso si concentri su vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o un difetto palese e irrazionale nella motivazione della sentenza, e non su una semplice rilettura delle prove. Proporre un ricorso basato su argomenti di merito non solo è destinato all’insuccesso, ma comporta anche l’automatica condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. La distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di diritto rimane una linea invalicabile nel nostro ordinamento processuale.

Perché il ricorso dell’imprenditore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché aveva una natura puramente valutativa, ossia mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti già giudicati dalla Corte d’Appello, anziché contestare vizi di legittimità (errori di diritto o difetti logici) della sentenza.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile per colpa?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa nel proponente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, da versare alla Cassa delle ammende.

Come è stata provata in giudizio la fittizietà dell’operazione documentata dalla fattura?
La fittizietà dell’operazione è stata provata sulla base dell’apprezzamento fattuale della Corte d’Appello, il quale si fondava sulla deposizione di un testimone che aveva accertato come la società emittente avesse rilasciato fatture per operazioni inesistenti a diverse società, inclusa quella del ricorrente, senza fornire alcuna prestazione reale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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