Fatture Inesistenti: la Cassazione Conferma la Condanna e Dichiara il Ricorso Inammissibile
L’utilizzo di fatture inesistenti è uno dei reati fiscali più comuni e insidiosi, volto a ridurre l’imponibile e l’IVA dovuta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7 Penale, n. 13293/2024) offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in sede di legittimità, ribadendo un principio fondamentale: la Cassazione non è un terzo grado di giudizio sui fatti. Analizziamo insieme la vicenda processuale.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un imprenditore che ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato. L’accusa era quella di aver utilizzato, nella propria dichiarazione fiscale relativa all’anno 2014, una fattura per operazioni inesistenti.
Nello specifico, la fattura era stata emessa da una società di project management per presunte attività di progettazione e fornitura di impianti fotovoltaici. Tuttavia, le indagini, basate sulla deposizione di un ufficiale di polizia giudiziaria, avevano accertato che la società emittente aveva emesso sistematicamente fatture per operazioni mai realizzate a favore di diverse aziende, inclusa quella del ricorrente. Di fatto, nessuna prestazione era stata fornita a fronte del documento fiscale.
La Decisione della Corte sulla Questione delle Fatture Inesistenti
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imprenditore, ma si concentra sulla struttura e sul contenuto del ricorso stesso. I giudici hanno stabilito che le argomentazioni presentate dal ricorrente non erano volte a denunciare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione della sentenza d’appello, bensì a proporre una diversa valutazione dei fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio.
Di conseguenza, non ravvisando alcuna assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la Corte ha condannato l’imprenditore al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su un caposaldo del sistema processuale italiano: il ruolo della Corte di Cassazione come giudice di legittimità e non di merito. Il ricorso è stato ritenuto di “natura valutativa”, ovvero un tentativo di rimettere in discussione l’apprezzamento delle prove e dei fatti compiuto dalla Corte d’Appello. Quest’ultima, secondo gli Ermellini, aveva fornito una motivazione “immune da vizi logici” e quindi non censurabile in questa sede.
La Corte d’Appello aveva correttamente basato la sua decisione sulla fittizietà dell’operazione, confermata dalla testimonianza dell’investigatore che aveva svelato il meccanismo fraudolento messo in atto dalla società emittente. Il tentativo del ricorrente di ottenere una nuova analisi critica delle argomentazioni della sentenza impugnata è stato quindi respinto, poiché esula dalle competenze della Cassazione.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un monito per chi intende impugnare una sentenza di condanna in Cassazione. È fondamentale che il ricorso si concentri su vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o un difetto palese e irrazionale nella motivazione della sentenza, e non su una semplice rilettura delle prove. Proporre un ricorso basato su argomenti di merito non solo è destinato all’insuccesso, ma comporta anche l’automatica condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria. La distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di diritto rimane una linea invalicabile nel nostro ordinamento processuale.
Perché il ricorso dell’imprenditore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché aveva una natura puramente valutativa, ossia mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti già giudicati dalla Corte d’Appello, anziché contestare vizi di legittimità (errori di diritto o difetti logici) della sentenza.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile per colpa?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa nel proponente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Come è stata provata in giudizio la fittizietà dell’operazione documentata dalla fattura?
La fittizietà dell’operazione è stata provata sulla base dell’apprezzamento fattuale della Corte d’Appello, il quale si fondava sulla deposizione di un testimone che aveva accertato come la società emittente avesse rilasciato fatture per operazioni inesistenti a diverse società, inclusa quella del ricorrente, senza fornire alcuna prestazione reale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13293 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13293 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PERUGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso proposto da COGNOME NOME, che deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione della penale responsabilità, è inammissibile perché di natura valutativa e non scandito dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, la quale (p. 8 e ss.), con un apprezzamento fattuale immune da vizi logici – e quindi non censurabile in sede di legittimità -, ha ribadito la fittizietà dell’operazione indica nella fattura di cui all’imputazione sulla base della deposizione del AVV_NOTAIO, il quale ha accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva emesso fatture per operazione inesistenti nei confronti di diverse società, tra cui quella del ricorrente, relativa alla progettazione e alla fornitura di impianti fotovoltaic senza fornire alcuna prestazione, fattura che poi il COGNOME aveva inserito nelle dichiarazioni fiscali del 2014;
stante l’inammissibilità del ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15/03/2024.