Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5165 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, n. in Cina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2023 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Depositata in Cancelieiia
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 marzo 2023, la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza con la quale l’imputata NOME COGNOME è stata condannata alla pena di anni tre di reclusione in ordine al reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, per aver utilizz fatture relative ad operazioni inesistenti per 5.352.822 euro nelle dichiarazioni fiscali ai fini IVA e IRPEG presentate quale amministratrice di una società con riguardo all’anno d’imposta 2014.
Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con il primo motivo, l’errata applicazione della legge penale ed il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il contestato reato in base a mere presunzioni tributarie insuscettibili di assurgere a prova dei fatti contestati e ritenuti, essendo le indagini dell’RAGIONE_SOCIALE basate su mere verifiche cartolari inidonee a dimostrare l’effettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE prestazioni fatturate. Ci si duole, inoltr dell’omessa, o comunque contraddittoria, motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, essendosi trascurato di valutare che l’imputata rivestiva ruolo apicale nella società di grandi dimensioni da lei amministrata e che non gestiva direttamente né gli acquisti di merce, né il versante fiscale.
Con il secondo motivo si lamentano violazione della legge penale e vizio della motivazione in ordine all’elevata quantificazione della pena e al diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso, in buona parte genericamente argomentato, è nel complesso infondato.
1.1. Con doppia decisione conforme, i giudici di merito hanno ritenuto integrato il reato contestato, valorizzando non già presunzioni tributarie – come in ricorso genericamente si afferma – bensì plurimi indizi ritenuti gravi, precisi e concordanti. Se è ben vero che le presunzioni previste dalla legislazione tributaria, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione dell’illecito, assumendo il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa (Sez. 3, n. 30890 del 23/06/2015, COGNOME e a., Rv. 264251; Sez. 3, n. 15899 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 266817; Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852), nel
giudizio penale sono certamente utilizzabili i dati di fatto acquisiti in sede accertamento, stante il principio di atipicità dei mezzi di prova nel processo penale, di cui è espressione l’art. 189 cod. proc. pen. e ferma restando l’autonoma valutazione degli elementi emersi secondo i criteri generali previsti dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 36207 del 17/04/2019, Menegoli, Rv. 277581). Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ricostruito il fatto rispettando il canone di giudizio secondo cui gli indizi devono corrispondere a dati di fatto certi – e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza – e devono, ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen. essere gravi cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto – precisi – cioè non equivoci – e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato (Sez. 5, n. 4663 del 10/12/2013, dep. 2014, Larotondo e aa., Rv. 258721; Sez. 1, n. 42993 del 25/09/2008, Pipa, Rv. 241826).
1.2. In particolare, i giudici di merito hanno rilevato che per l’anno d’imposta 2014, non solo a fronte di fatture passive inserire in dichiarazione per oltre sei milioni e mezzo di euro risultava inferiore il volume RAGIONE_SOCIALE vendite, ma i fornitori della società rappresentata dall’imputata avevano dichiarato cessioni di beni e servizi effettuati a quest’ultima per poco meno di un milione e mezzo di euro: per oltre cinque milioni di euro di acquisti fiscalmente dichiarati, dunque, gli asseriti fornitori non avevano a loro volta fiscalmente dichiarato le transazioni. Si trattava, peraltro, di circa l’80% dei dichiarati volumi di acquisto tuttavi riconducibile soltanto al 20% circa dei 97 fornitori della società.
A questi dati, che non illogicamente sono stati ritenuti indicativi di una evidente anomalia che ben fondava il sospetto dell’inesistenza (oggettiva o quantomeno soggettiva) RAGIONE_SOCIALE relative prestazioni, si sono aggiunti ulteriori elementi, che non illogicamente sono stati ritenuti convergenti rispetto all’indicata conclusione: la totale assenza di contratti scritti e corrispondenza commerciale con i fornitori; l’inesistenza, sulle fatture, RAGIONE_SOCIALE scadenze e modalità di pagamento; l’utilizzo del medesimo format di fattura da parte di fornitori diversi; l’inesistenz dei requisiti minimi per poter ritenere corrispondenti ad effettive transazioni le fatture passive esaminate, tutte predisposte come fatture accompagnatorie senza tuttavia indicazione del soggetto incaricato del trasporto e RAGIONE_SOCIALE firme del vettore e del ricevente; l’indicazione in dichiarazione di fatture emesse da soggetti che risultavano aver in precedenza cessato la loro attività o che avevano dichiarato ricavi per importi inferiori a quelli fatturati alla società amministrata dall’imputa la documentazione soltanto parziale dei pagamenti RAGIONE_SOCIALE fatture passive indicate nelle dichiarazioni; la conclusione, nel quadro descritto, circa la retrocessione dei pagamenti documentati fondata sull’assolutamente anomala, e non spiegata,
consistenza della cassa al momento dell’accertamento fiscale, pari a circa 600.000 euro.
1.3. Le contestazioni mosse in ricorso – che si riferiscono soltanto ad alcuni dei plurimi elementi indiziari valorizzati dai giudici di merito – si risolvono ne reiterazione RAGIONE_SOCIALE generiche censure già svolte con l’appello ed esclusivamente fondate su una possibile alternativa spiegazione, non supportata da concreti elementi di prova offerti in giudizio, RAGIONE_SOCIALE richiamate risultanze fattuali, che no possono dunque trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Ed invero, va in primo luogo osservato che la genericità del ricorso sussiste non solo quando i motivi risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568). In particolare, i motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e aa., Rv. 243838), atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).
Alla Corte di cassazione, poi, sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicit della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scel tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Nemmeno l’introduzione del principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio” nell’art. 533 cod. proc. pen. ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, non potendo lo stesso essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternativ del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che – come avvenuto nel caso di specie – tale duplicità sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per
mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, COGNOME e a., Rv. 270519; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600).
Q, 1.4. Quanto, da ultimo al p doglianza circa l’omessa o contraddittoria motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato – sul presupposto del ruolo apicale ricoperto dall’imputata all’interno di una società di rilevant dimensioni – la stessa è all’evidenza inammissibile, oltre che per l’assoluta genericità a fronte di una condotta illecita di tale enorme rilevanza, ancor prima perché non risulta che l’appellante avesse sul punto svolto specifiche censure.
Richiamando consolidati principi affermati con riguardo alla causa di inammissibilità di cui all’art. 606, comma 3, ult. parte, cod. proc. pen., deve ribadirsi che laddove si deduca con il ricorso per cassazione il mancato esame da parte del giudice di secondo grado di un motivo dedotto con l’atto d’appello, occorre procedere alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di gravame, contenuto nel provvedimento impugnato, che non menzioni la doglianza proposta in sede di impugnazione di merito, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione (Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME e a., Rv. 270627; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066). Nella specie questa contestazione manca e per ciò solo il ricorso sarebbe inammissibile.
Deve aggiungersi che l’esame dell’atto d’appello ha consentito al Collegio di verificare che la questione sul difetto di elemento soggettivo qui proposta non era stata specificamente dedotta, sicché non può sul punto prospettarsi il vizio di motivazione, ricavandosi peraltro dal disposto di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. il principio secondo cui è precluso dedurre per la prima volta in sede di legittimità questioni di cui il giudice dell’impugnazione sul merito non era stato investito (cfr. Sez. 5, n. 3560 del 10/12/2013, dep. 2014, Palmas e aa., Rv. 258553).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per genericità, manifestamente infondatezza e perché proposto per ragioni non consentite, posto che, nel confermare il trattamento sanzionatorio determinato in primo grado, la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato la decisione e non ricorrono vizi di manifesta illogicità o contraddittorietà sindacabili in sede di legittimità, essendosi per altro verso fatto buon governo dei parametri sulla gravità del reato e sulla capacità a delinquere del reo previsti dall’art. 133 cod. pen.
2.1. Quanto alla determinazione della pena base, va premesso che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale – quale quella qui
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applicata – non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197). Nel caso di specie, poi, la sentenza impugnata ha non illogicamente argomentato il discostamento dal minimo edittale tenendo conto della rilevante entità dell’evasione, del conseguente danno tributario neppure parzialmente riparato, della negativa personalità dell’imputata quale emergente da due precedenti penali per reati analoghi.
2.2. Queste considerazioni, unitamente all’assenza di elementi favorevoli, che neppure in ricorso vengono evidenziati, hanno del pari non illogicamente condotto a negare le invocate circostanze attenuanti generiche. E’ noto, difatti, che al proposito il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899). Del resto, in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), sicché quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso, complessivamente infondato, va pertanto rigettato con condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali. Così deciso il 30 novembre 2021
Il Consigliere estensore