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Fatture inesistenti: il ruolo del consulente

Un consulente professionale, inizialmente assolto, è stato condannato in appello per il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la condanna. La Corte ha chiarito che nel rito abbreviato il diritto di introdurre nuove prove è limitato e ha confermato la valutazione della Corte d’Appello che riteneva il consulente l’ideatore dello schema fraudolento, anche senza un suo coinvolgimento diretto nelle registrazioni contabili.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture per Operazioni Inesistenti: la Responsabilità del Consulente anche senza un Ruolo Contabile

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 15120 del 2024, offre importanti spunti di riflessione sulla responsabilità penale del consulente professionale nel reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Il caso analizzato chiarisce come un professionista possa essere ritenuto l’artefice di un’operazione fraudolenta anche senza aver materialmente gestito la contabilità aziendale, e ribadisce i rigorosi limiti procedurali legati alla scelta del rito abbreviato.

I Fatti del Processo: Dal Primo Grado alla Cassazione

Il percorso giudiziario del caso è stato complesso e ha visto un ribaltamento della decisione tra primo e secondo grado, culminato poi nella conferma della condanna da parte della Suprema Corte.

L’accusa e la condanna in Appello

Un consulente professionale era stato accusato di concorso nel reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000, per aver agevolato l’utilizzo di fatture per operazioni fittizie nelle dichiarazioni fiscali di una società sua cliente per gli anni 2012 e 2013. Nonostante l’assoluzione in primo grado, la Corte di Appello ha riformato la sentenza, dichiarando la sua responsabilità penale e condannandolo a un anno e due mesi di reclusione.
Secondo i giudici di secondo grado, il professionista era stato l’ideatore dell’operazione fraudolenta: di fronte alle lamentele del cliente per l’eccessivo carico fiscale, gli aveva procurato il contatto con i rappresentanti di una società di marketing, creando così il meccanismo per la successiva emissione di fatture false.

I motivi del ricorso in Cassazione

Il consulente ha presentato ricorso per cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: contestava il suo ruolo di concorrente nel reato, sostenendo di non aver mai rafforzato il proposito criminoso del legale rappresentante della società e che il suo rapporto professionale era cessato prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali.
2. Omessa assunzione di una prova decisiva: lamentava la mancata audizione di un testimone (il ragioniere interno all’azienda) che avrebbe potuto confermare la sua estraneità alla gestione contabile.
3. Mancanza di motivazione sul dolo: sosteneva che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente provato la sua intenzione di commettere il reato.

La Decisione della Suprema Corte: Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo infondati tutti i motivi di doglianza e confermando, di fatto, la sentenza di condanna della Corte di Appello. La decisione si fonda su argomentazioni precise sia di carattere procedurale che sostanziale.

Le Motivazioni: il ruolo del consulente e i limiti del rito abbreviato

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive, fornendo chiarimenti cruciali sulla configurabilità del concorso del professionista nel reato e sui poteri istruttori nel giudizio d’appello a seguito di rito abbreviato.

Sul Travisamento della Prova e il Principio di Autosufficienza

Il primo motivo è stato giudicato inammissibile per violazione del principio di autosufficienza. La difesa aveva estrapolato singoli brani di prove dichiarative senza presentarli nel loro contesto complessivo. La Corte ha ribadito che un ricorso non può basarsi su frammenti di prova, ma deve mettere i giudici nelle condizioni di valutare pienamente la censura senza dover ricercare gli atti nel fascicolo processuale.

Sulla Prova Testimoniale Negata nel Rito Abbreviato

La richiesta di assumere un nuovo testimone in appello è stata respinta in quanto incompatibile con la scelta del rito abbreviato. La Corte ha spiegato che, optando per questo rito, la difesa rinuncia al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite. In appello, la rinnovazione dell’istruttoria è un potere eccezionale del giudice, esercitabile d’ufficio solo in caso di assoluta necessità, condizione non riscontrata nel caso di specie.

Sulla Prova del Dolo per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti

Infine, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la censura sulla mancanza di motivazione riguardo al dolo. Secondo la sentenza impugnata, l’imputato era il sostanziale artefice dell’operazione. Era stato lui a mettere in contatto il cliente con la società di marketing per “risolvere” il problema del carico fiscale. Questo comportamento, unito al fatto che si trattava di un modus operandi già sperimentato dal professionista con altri clienti, è stato considerato prova sufficiente della sua piena consapevolezza e volontà di realizzare l’illecito fiscale. La Corte ha sottolineato che la sua presenza fisica durante gli accordi non era necessaria per perfezionare il disegno criminoso.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia della Cassazione delinea un quadro di responsabilità molto netto per i consulenti fiscali e i commercialisti. Emerge chiaramente che il ruolo di “ideatore” o “facilitatore” di un’operazione fraudolenta è sufficiente a integrare il concorso nel reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, anche in assenza di un coinvolgimento diretto nella tenuta della contabilità o nella registrazione dei documenti falsi. L’atto di mettere in contatto il cliente con soggetti in grado di fornire “servizi” illeciti per abbattere il carico fiscale è considerato una condotta penalmente rilevante. Inoltre, la sentenza costituisce un monito importante sulle conseguenze processuali della scelta del rito abbreviato, che preclude quasi del tutto la possibilità di integrare il materiale probatorio in appello.

Un consulente può essere ritenuto responsabile per l’uso di fatture false anche se non si occupa direttamente della contabilità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il ruolo di ideatore e facilitatore dell’operazione fraudolenta è sufficiente per configurare il concorso nel reato. Se il consulente, per risolvere il problema del carico fiscale di un cliente, lo mette in contatto con chi emette fatture false, la sua responsabilità penale sussiste anche se non ha mai registrato materialmente le fatture.

Se si sceglie il rito abbreviato, è possibile chiedere l’ammissione di nuovi testimoni in appello?
No, di regola non è possibile. La scelta del rito abbreviato comporta la rinuncia al diritto di assumere nuove prove. La rinnovazione dell’istruttoria in appello è un potere eccezionale del giudice, esercitabile solo d’ufficio e in casi di “assoluta necessità”, non su semplice richiesta della parte.

Come viene provato il dolo (l’intenzione) del consulente nel reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti?
Il dolo può essere provato attraverso elementi logici e fattuali. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto provata l’intenzione criminosa dal fatto che il consulente fosse il sostanziale artefice dell’operazione, avendola proposta al cliente come soluzione al suo carico fiscale e utilizzando un modus operandi già collaudato con altre società, dimostrando così la piena consapevolezza e volontà di realizzare l’illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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