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Fatture inesistenti: frode fiscale e truffa

Un imprenditore emetteva fatture per operazioni inesistenti per consentire a terzi di evadere le imposte, in alcuni casi truffandoli non restituendo le somme pattuite. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per i reati di emissione di fatture inesistenti e occultamento di documenti contabili, stabilendo che l’intento di truffa non esclude il dolo specifico del reato fiscale. Il ricorso dell’imputato è stato rigettato in tutti i suoi motivi.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture Inesistenti: Quando la Truffa non Esclude il Reato Fiscale

La recente sentenza n. 2059/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui reati tributari, in particolare sull’emissione di fatture inesistenti. Il caso analizzato affronta una questione complessa: cosa succede quando l’emissione di fatture false è finalizzata non solo a far evadere le tasse a terzi, ma anche a truffare questi ultimi? La Suprema Corte ha stabilito che l’intento fraudolento non cancella la responsabilità per il reato fiscale.

I Fatti del Processo

Un imprenditore, attivo nel settore del design di moda, è stato condannato per aver emesso, tra il 2011 e il 2014, numerose fatture per operazioni mai avvenute. Lo schema era finalizzato a consentire ai destinatari delle fatture di evadere le imposte sui redditi e l’IVA, creando costi fittizi. Inoltre, l’imprenditore è stato accusato di aver occultato e distrutto la propria contabilità per gli anni dal 2010 al 2015.

L’elemento peculiare della vicenda risiede nel fatto che, in alcuni casi, l’imprenditore, dopo aver incassato le somme corrispondenti alle fatture, non restituiva l’importo pattuito al netto dell’IVA, realizzando così una vera e propria truffa ai danni dei suoi ‘clienti’.
Condannato in primo grado dal Tribunale e in appello dalla Corte di Firenze, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su tre motivi principali:
1. Violazione del diritto di difesa: Si lamentava il mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire in udienza, poiché l’imputato era detenuto per altra causa, violando così il suo diritto a partecipare al processo.
2. Mancanza di dolo specifico per le fatture inesistenti: Secondo la difesa, l’obiettivo primario non era favorire l’evasione fiscale altrui, ma raggirare gli interlocutori per un profitto personale. Mancava, quindi, il dolo specifico richiesto dall’art. 8 del D.Lgs. 74/2000.
3. Diniego illegittimo delle attenuanti generiche: Si contestava che le attenuanti fossero state negate basandosi unicamente sui precedenti penali, già considerati per applicare l’aumento di pena per la recidiva, con una presunta violazione del principio del ne bis in idem.

Le Motivazioni della Corte sulle fatture inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati.

Sul primo punto, di natura procedurale, i giudici hanno osservato che il processo d’appello si era svolto con il rito della trattazione scritta, una modalità che per legge esclude la partecipazione fisica delle parti. Pertanto, l’impedimento dell’imputato era irrilevante.

Il cuore della sentenza riguarda il secondo motivo. La Corte ha chiarito che l’intento di truffare il destinatario della fattura non esclude la sussistenza del dolo specifico del reato fiscale. Il fine principale dell’emissione di fatture inesistenti rimane quello di consentire a terzi l’evasione delle imposte. La truffa rappresenta un profitto ulteriore e una condotta distinta, che non annulla la finalità evasiva. Secondo la Corte, i due reati possono tranquillamente coesistere. Per quanto riguarda l’occultamento della contabilità, i giudici hanno sottolineato che l’obbligo di dichiarare l’IVA e conservare le fatture sussiste anche se queste si riferiscono a operazioni fittizie. Di conseguenza, la loro distruzione è finalizzata proprio a impedire o ostacolare l’accertamento fiscale.

Infine, la Corte ha respinto anche il terzo motivo, ribadendo un principio consolidato: i precedenti penali possono essere legittimamente valutati sia per applicare l’aumento di pena per la recidiva sia per negare la concessione delle attenuanti generiche. Si tratta di due istituti giuridici diversi, e la doppia valutazione non viola il principio del ne bis in idem.

Le Conclusioni

Questa sentenza consolida un orientamento rigoroso in materia di reati fiscali. Il principio chiave è che la responsabilità per l’emissione di fatture inesistenti non viene meno neanche quando a tale condotta si aggiunge un ulteriore illecito, come la truffa. Il dolo specifico del reato tributario, ossia la finalità di permettere a terzi l’evasione, è autonomo e non viene neutralizzato da altri scopi illeciti perseguiti dall’agente. La decisione ribadisce inoltre che gli obblighi contabili e dichiarativi in materia di IVA valgono anche per le operazioni fittizie, rendendo penalmente rilevante l’occultamento dei relativi documenti. Infine, viene confermata la possibilità per il giudice di dare un peso diverso ai precedenti penali dell’imputato in differenti fasi della determinazione della pena.

Commettere una truffa esclude il reato di emissione di fatture inesistenti?
No, la Cassazione ha chiarito che l’intento di truffare il destinatario della fattura non esclude il dolo specifico del reato fiscale, che consiste nel fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte. I due reati possono concorrere.

È obbligatorio conservare le fatture per operazioni inesistenti e dichiarare l’IVA?
Sì. Secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è dovuta anche per le fatture emesse per operazioni inesistenti. Di conseguenza, sorge l’obbligo di presentare la relativa dichiarazione e conservare i documenti. L’occultamento di tali fatture integra il reato di cui all’art. 10 del d.lgs. 74/2000.

Un precedente penale può essere usato sia per la recidiva sia per negare le attenuanti generiche?
Sì. La Corte ha confermato che il principio del ne bis in idem non impedisce al giudice di utilizzare lo stesso fattore (i precedenti penali) per giustificare decisioni relative a istituti giuridici diversi, come l’applicazione della recidiva e il diniego delle attenuanti generiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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