Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2059 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2059 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/11/2023
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Brasile il DATA_NASCITA
Oggi ,
17 GEN. 2024
avverso la sentenza del 11/02/2022 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 11 febbraio 2022, la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Lucca che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati di cui agli artt. 8 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000 e lo aveva condannato alla pena di due anni di reclusione, senza attenuanti né benefici, ed applicando l’aumento per la recidiva contestata, ma non anche le sanzioni accessorie di cui al d.lgs. cit.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME, in qualità di titolare di partita IVA siccome esercente l’attività di design di moda, avrebbe emesso, al fine di consentire a terzi l’evasione di imposte, dieci fatture per operazioni inesistenti, rinvenute nella contabilità degli utilizzatori, tra il dicembre 2011 e il 12 dicembre 2014. Avrebbe inoltre occultato le scritture contabili e gli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in particolare con riguardo alle fatture relative agli anni tra il 2010 e il 2015.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 179 e 420-ter cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo al mancato riconoscimento del legittimo impedimento a comparire dell’imputato all’udienza di primo grado.
Si deduce che il processo è stato celebrato in violazione del diritto dell’imputato e attuale ricorrente a partecipare al processo, perché lo stesso, detenuto per altra causa e, quindi, legittimamente impedito a comparire, non è stato posto nelle condizioni di partecipare all’udienza. Si precisa che: a) per l’udienza del 26 ottobre 2021, l’imputato, detenuto per altra causa, veniva considerato “rinunciante di fatto a comparire” e, a seguito della richiesta di un termine di difesa formulata dal suo nuovo difensore, il processo veniva rinviato all’il febbraio 2022; b) nella nuova udienza, la causa veniva decisa in camera di consiglio, nonostante l’imputato non fosse comparso neanche questa volta, non essendo stata formulata richiesta di trattazione orale da parte dei difensori.
Si osserva, in particolare, che, come precisato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, il giudice, in qualunque modo e tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà dell’imputato, anche in assenza di una richiesta di questi, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporne la traduzione, salvo che un espresso rifiuto del medesimo a partecipare all’udienza. Si precisa che questa conclusione, espressa anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022), emerge non solo dalla Costituzione italiana (art. 111 comma 3) ma anche da numerose disposizioni internazionali e convenzionali (ex multi, art. 6, par. 3, lett. c), d), ed e) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; art 14 comma 3 lett. d), e), f) del Patto internazionale su diritti civili e politici).
Si conclude che la violazione del diritto dell’attuale ricorrente a partecipare al processo, diritto riconosciuto dall’art. 420-ter cod. proc. pen., determina una nullità assoluta ed insanabile, a norma dell’art. 179 cod. proc. pen., rilevabile in ogni stato e grado del processo.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 8 e 10 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati di emissione di fatture inesistenti al fine di consentire a terz di evadere le imposte e di occultamento di documenti contabili.
Quanto al reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, si deduce che non è stata raggiunta la prova circa la sussistenza del dolo specifico richiesto al fine di integrare la fattispecie, ossia la prova che le fatture per operazioni inesistenti siano state emesse con il fine di consentire a terzi di dichiarare il falso al Fisco. S osserva, innanzitutto, che la prova del reato non può essere desunta da conversazioni intercettate o da dichiarazioni provenienti da soggetti interessati, quali i destinatari delle fatture. Si rileva, poi, che l’imputato aveva agito al fine raggirare i suoi interlocutori, convincendoli a corrispondergli somme per creare l’apparenza, nei confronti del Fisco, di costi, con la falsa promessa, non rispettata di restituire quanto ricevuto, così realizzando una condotta integrante gli estremi del diverso reato di truffa. Si rappresenta, ancora, che la mancanza del fine di favorire l’evasione fiscale di terzi escluderebbe il concorso tra il reato di truffa e reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000, come invece prospettato dalla Corte d’Appello di Firenze.
Anche con riguardo al reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 si deduce che non è stata fornita la prova della sussistenza del dolo specifico richiesto per integrare la fattispecie. Si rappresenta che la sussistenza del dolo specifico del reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili presuppone la prova della produzione di reddito e del volume di affari, e che, però, nella specie, la sentenza impugnata non ha chiarito se l’imputato esercitasse effettivamente un’attività commerciale.
2.3 Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge, in riferimento all’art. 62-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e), avuto riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Si deduce che illegittimamente la mancata concessione delle attenuanti generiche è dipesa esclusivamente dalla sussistenza, in capo all’imputato, di precedenti penali per reati della stessa specie, perché tale circostanza è stata già valutata per applicare l’aumento di pena per la recidiva e non si è tenuto conto di altri e diversi elementi, quale il corretto comportamento processuale dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
(
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, che contestano la mancata rilevazione della nullità assoluta ed insanabile della sentenza impugnata, deducendo che l’attuale ricorrente, detenuto per altra causa, non è stato posto nelle condizioni di partecipare all’udienza al cui esito detta sentenza è stata pronunciata.
Occorre rilevare, infatti, che il processo di appello è stato celebrato nelle forme della trattazione scritta ex art. 23-bis d.l. n. 137 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 176 del 2020, come risulta dal verbale di udienza dell’Il febbraio 2022, relativo a camera di consiglio non partecipata. Precisamente, il processo era stato fissato una prima volta per il 26 ottobre 2021, e, però, in relazione a quella udienza, il difensore dell’attuale ricorrente, siccome appena nominato, si era limitato a chiedere anticipatamente rinvio per la concessione di un termine a difesa, anche allegando una rinuncia scritta dell’imputato a parteciparvi. Il processo era stato così rinviato all’udienza dell’ febbraio 2022, ed era stato trattato in camera di consiglio non partecipata, non essendo pervenuta alcuna richiesta di trattazione orale.
Di conseguenza, l’impedimento a comparire dell’imputato per l’udienza dell’Il febbraio 2022, in quanto relativo ad una camera di consiglio in ordine alla quale, per legge, era esclusa la partecipazione del medesimo, è del tutto irrilevante ai fini della validità della stessa e della sentenza in quella sede pronunciata.
Complessivamente infondate sono le censure formulate nel secondo motivo, che contestano l’affermazione di responsabilità per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di occultamento di documenti contabili, deducendo che non vi è prova dei fatti contestati e che, comunque, le fatture sarebbero state rilasciate esclusivamente per perpetrare una truffa, ma non a fini di evasione, mentre il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 non sarebbe configurabile non essendo provato lo svolgimento di attività commerciale da parte dell’attuale ricorrente.
3.1. I fatti sono puntualmente ricostruiti nella sentenza impugnata.
La Corte d’appello premette che le indagini nei confronti dell’attuale ricorrente sono sorte a seguito di intercettazioni telefoniche. Espone che, secondo quanto emerge da queste conversazioni, l’attuale ricorrente: a) contattava imprenditori e proponeva loro di fornire fatture per operazioni inesistenti, previa ricezione della somma indicata nel documento e con impegno a restituirla decurtata di quanto avrebbe dovuto essere corrisposto a titolo di IVA; b) in alcuni casi, aveva omesso di restituire quanto ricevuto, confidando di non essere denunciato in ragione dell’illiceità del patto. La Corte d’appello, poi, aggiunge che la verifica fisc successivamente eseguita nei confronti dell’attuale ricorrente consentiva di accertare che: a) il medesimo non aveva né dipendenti, né mezzi tecnici o logistici,
e non conservava alcuna scrittura contabile; b) più fatture emesse dal medesimo, quale titolare di partita IVA, erano state rinvenute nella contabilità dei destinatari i quali risultavano aver pagato per le stesse, mediante bonifico bancario, solo l’importo relativo all’IVA; c) le fatture indicate nell’imputazione erano sicuramente mendaci, o perché i destinatari avevano ammesso di non aver ricevuto alcuna prestazione (ciò era avvenuto per le fatture rilasciate a NOME COGNOME, alla “RAGIONE_SOCIALE” e a NOME), o perché l’accordo illecito era documentato dalle conversazioni intercettate, caratterizzate da un linguaggio esplicito ed inequivoco.
La sentenza impugnata rappresenta che le fatture di cui all’imputazione sono sempre relative ad operazioni inesistenti e che «in alcuni casi il COGNOME dopo avere ricevuto il pagamento della fattura promettendone la restituzione non vi ha provveduto, truffando così l’imprenditore che aveva aderito alla sua proposta criminosa ». Precisa: «la fattura veniva pur sempre emessa per una prestazione inesistente e con la finalità di far evadere le tasse al destinatario (i quale, anche se l’avesse pagata interamente, non poteva utilizzarla perché emesse in assenza di prestazione); solo in pochi e sporadici casi il NOME ne traeva un ulteriore vantaggio, omettendo o ritardando nel tempo la restituzione della somma non relativa all’IVA, che aveva concordato di restituire».
La Corte d’appello, quindi, osserva che anche la condotta di occultamento delle scritture contabili era stata commessa al fine di evadere le tasse, «dal momento che egli non le ha mai pagate omettendo anche di presentare le dichiarazioni dei redditi annuali, mentre ricevendo i vari pagamenti, sia pure per prestazioni inesistenti, avrebbe dovuto dichiararli e versare l’IVA che riceveva in relazione alle predette fatture».
3.2. Questi essendo i fatti accertati, corretta è la conclusione in ordine alla sussistenza dei reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di occultamento o distruzione delle scritture contabili obbligatorie.
Invero, per quanto riguarda il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, in disparte da ogni considerazione sulla compatibilità tra lo stesso e la truffa in danno dei destinatari dei documenti mendaci, è sufficiente rilevare che la eventuale fondatezza della deduzione non sarebbe comunque risolutiva: secondo la sentenza impugnata, infatti, la truffa si sarebbe verificata esclusivamente in qualcuna delle vicende accertate, perché «solo in pochi e sporadici casi il NOME ne traeva un ulteriore vantaggio, omettendo o ritardando nel tempo la restituzione della somma non relativa all’IVA, che aveva concordato di restituire».
Con riferimento, poi, al reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili obbligatorie, è sufficiente rilevare che sono certamente sussistenti gli obblighi di conservazione delle fatture e di presentazione della dichiarazione IVA. Questo perché RAGIONE_SOCIALE è collocata in un sistema chiuso di rilevanza sovranazionale che può funzionare solo attraverso la specifica tracciabilità di tutte le fatture, atti
e passive, emesse nei traffici commerciali (cfr., per questo rilievo, Sez. 3, n. del 16/07/2018, Tirozzi, Rv. 274564-01). E, anzi, proprio per questa ragione, anche ripetutamente affermato che il delitto di omessa dichiarazione a fini I.V è configurabile pure nel caso in cui siano state emesse fatture per operaz inesistenti, in quanto, secondo la normativa tributaria, l’imposta sul v aggiunto è dovuta anche per tali fatture, indipendentemente dal loro effet incasso, con conseguente obbligo di presentare la relativa dichiarazione (così S 3, n. 32500 del 06/06/2018, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 273697-01, e Sez. 3, n. 39177 de 24/09/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 241267-01).
Manifestamente infondate, infine, sono le censure enunciate nel terz motivo che contestano il diniego di concessione delle circostanze attenua generiche, deducendo che tale statuizione dipende dai precedenti penali e ch però, questi sono stati valorizzati già ai fini dell’applicazione della recidiva
In linea AVV_NOTAIO, può osservarsi che, secondo l’orientamento diffuso de giurisprudenza, il giudice può negare la concessione delle attenuanti generich contemporaneamente, ritenere la recidiva, valorizzando per entrambe l valutazioni il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, in quanto il pr del ne bis in idem sostanziale non preclude la possibilità di utilizzare più volte stesso fattore per giustificare scelte relative ad istituti giuridici diversi 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783-01, e Sez. 6, n. 47537 de 14/11/2013, COGNOME, Rv. 257281-01, ma anche, per identiche conclusioni, Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996-04).
Inoltre, la sentenza impugnata non solo ha valorizzato la pluralità precedenti penali per reati di natura economica e finanziaria, ma anche l’asse di qualsiasi elemento utile per concedere il beneficio di cui all’art. 62-bis cod. pen.
Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La ritenuta recidiva reiterata specifica, poi, esclude il verificarsi dell’es per prescrizione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti con riferimento a quelle emesse il 28 dicembre 2011 e il 10 febbraio 2012.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso in data 14/11/2023
Il Consigliere estensore
GLYPHIl Pre74nte