Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29620 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29620 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Gentile NOMECOGNOME nato a Crotone il 22/02/1976
avverso la sentenza del 19/12 /2024 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 19 dicembre 2024, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza il 26 gennaio 2024 che aveva dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, commesso il 24 febbraio 2016 e il 20 settembre 2016, condannandolo alla pena sospensivamente condizionata di un anno di reclusione, previa applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito, NOME COGNOME in qualità di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di una fattura per operazioni inesistenti emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE il 31 gennaio 2014 (la n. 3/2014), avrebbe indicato, nelle dichiarazioni relative a dette imposte per l’anno 2015, presentate per l’IVA il 24 febbraio 2016 e per l’IRES il 20 settembre 2016, elementi passivi fittizi per 47.300,00 euro di imponibile e 10.406,00 a titolo di IVA.
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 559 ss. e 597, comma 1, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla inesistenza oggettiva della prestazione indicata nella fattura n. 3/2014 rilasciata dalla società RAGIONE_SOCIALE
Si deduce che la prestazione oggetto della fattura n. 3/2014 è da ritenere effettiva perché l’attuale ricorrente ha dimostrato, esibendo le matrici degli assegni emessi e gli estratti di conto corrente, di aver pagato il corrispettivo alla ditta emittente e perché l’attività svolta da questa impresa, siccome costituita dal mero trasporto di materiali e «macerie» da un piano all’altro, non richiedeva alcuna qualificazione professionale. Si aggiunge che: a) la società RAGIONE_SOCIALE gestisce centinaia di commesse all’anno, realizza opere in cartongesso (questo spiega l’errore nella indicazione della causale della prestazione) e si avvale di cooperative per l’attività di facchinaggio e di trasporto macerie e materiali di risulta; b) l’indicazione della fattura nella dichiarazione relativa all’anno di imposta 2015, sebbene la stessa fosse relativa a prestazioni effettuate nell’anno 2014, è conseguente ad un mero errore degli uffici e del commercialista; c) i rapporti tra ‘RAGIONE_SOCIALE e ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sono durati per oltre un anno.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 559 ss. e 597, comma 1, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo ancora alla inesistenza oggettiva della prestazione indicata nella fattura n. 3/2014 rilasciata dalla società RAGIONE_SOCIALE
Si deduce che la Corte d’appello erroneamente ritiene non documentata la prestazione oggetto della fattura n. 3/2014 perché non supportata dalla produzione di estratti conto: si evidenzia che gli estratti conto della società RAGIONE_SOCIALE dai quali si evince il pagamento della prestazione fatturata dalla società
RAGIONE_SOCIALE sono stati esibiti e prodotti all’udienza dell’8 novembre 2023, nel corso del giudizio di primo grado.
2.3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 559 ss. e 597, comma 1, cod. proc. pen., e 42 cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo in capo all’attuale ricorrente.
Si deduce che, anche a voler ritenere la fattura n. 3/2014 relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, non ricorre alcun elemento integrante un c.d. ‘campanello d’allarme’, tale da indurre l’attuale ricorrente a dubitare di un possibile mendacio. Si segnala inoltre che la ‘RAGIONE_SOCIALE, società dell’attuale ricorrente: 1) ha pagato la prestazione indicata in fattura; 2) pur avendo all’epoca dei fatti un fatturato pari a circa 4.000.000,00 di euro, non ha avuto altre pendenze con il Fisco; 3) avrebbe evaso, utilizzando la fattura n. 3/2014, 10.406,00 euro per IVA e 13.000,00 euro per IRES, a fronte di ricavi pari, per l’anno di imposta interessato dalla registrazione, il 2015, a 3.991.360,00 euro; 4) nell’anno 2015 aveva disponibilità liquide di cassa pari a 36.280,00 euro, più che sufficienti per fronteggiare i costi da sopportare in assenza dell’asserita evasione.
2.4. Con il quarto motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 559 ss. e 597, comma 1, cod. proc. pen., e 131bis cod. pen., nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo alla mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
Si deduce che l’offesa eventualmente prodotta è stata minima, perché le imposte asseritamente evase attengono a somme di modesto importo, quantificabili in 10.406,00 euro per IVA e 13.000,00 euro per IRES, le quali, inoltre, debbono essere rapportate all’entità del fatturato, pari a quasi quattro milioni di euro, e alla disponibilità di denaro liquido sufficiente a corrisponderle.
Il ricorrente ha depositato memoria, sottoscritta dall’Avv. NOME COGNOME nella quale si ripropongono e si sviluppano le censure formulate nel ricorso, anche in replica alla memoria scritta del Procuratore generale della Corte di cassazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato per le ragioni di seguito precisate.
Nel complesso infondate sono le censure esposte nei primi due motivi, da esaminare congiuntamente perché relative a questioni tra loro strettamente connesse, le quali contestano l’affermazione di responsabilità, con riguardo alla
‘effettività’ e ‘verità’ della prestazione oggetto della fattura n. 3/2014, deducendo, in particolare, l’omessa considerazione dell’esibizione degli estratti conto relativi agli assegni emessi in pagamento della stessa.
2.1. La sentenza impugnata, da leggere unitamente a quella confermata di primo grado, indica una pluralità di elementi sui quali si fonda la conclusione dell’inesistenza oggettiva della fattura n. 3/2014, utilizzata dalla società RAGIONE_SOCIALE nelle dichiarazioni a fini IRES e IVA per l’anno 2015.
I Giudici di merito, in particolare, evidenziano, innanzitutto, che la ditta emittente la fattura, la ‘RAGIONE_SOCIALE, è soggetto il quale non ha mai presentato dichiarazioni fiscali, non ha mai sostenuto costi annotati a spesometro, non ha mai documentato, neppure in sede amministrativa davanti all’Agenzia delle Entrate, l’esistenza di disponibilità di personale dipendente, di strutture operative e di beni strumentali in grado di fornire la prestazione.
Segnalano, poi, che la fattura riporta un oggetto discordante sia con il contratto di appalto richiamato, sia, ancor di più e soprattutto, con le dichiarazioni rese dall’imputato nel corso dell’esame a dibattimento: la fattura reca la dicitura «gestione lavori eseguiti presso vs. cantieri esterni come da contratto di appalto nel mese di Gennaio 2014», nel contratto le opere da eseguire sono state indicate come «lavori di opere generali in cartongesso», e l’imputato ha affermato la riferibilità delle opere ad attività di facchinaggio e trasporto. Sottolineano, inoltre, che la inattendibilità delle dichiarazioni dell’imputato si evince anche prendendo in considerazione l’importo dei contratti tra la ditta dell’imputato, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e la ‘RAGIONE_SOCIALE, tutti relativi a «lavori di opere generali in cartongesso», siccome gli stessi sono per un importo complessivo di 445.962 euro, quindi pari ad oltre il 10 % dei costi contabilizzati dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ al 31 dicembre 2014.
Osservano, quindi, che la fattura n. 3/2014 è stata pagata solo parzialmente. Precisano che il costo riportato nel documento era pari a 47.300,00 euro più 10.406,00 euro per IVA, e che, però, risultano corrisposti solo poco più di 18.000,00 euro; aggiungono, inoltre, che la spiegazione della parzialità del pagamento fornita dall’imputato, ossia la effettuazione di compensazione con altri crediti della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ nei confronti della ‘RAGIONE_SOCIALE, è stata meramente asserita, ma non supportata da alcun elemento a riscontro, di tipo documentale o anche solo testimoniale.
Rilevano, ancora, che la fattura ed il suo utilizzo si caratterizzano per ulteriori irregolarità formali coerenti con la tesi della sua fittizietà e della sua funzionalità ad ‘abbattere’ i costi della ditta utilizzatrice, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, quali la registrazione della fattura ad un anno di distanza dalla sua emissione, la errata contabilizzazione della posta relativa all’operazione nel libro giornale della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, l’esposizione di un’aliquota pari al 22 % e non al 10 %, ossia l’aliquota prevista
per le prestazione per l’edilizia, l’ulteriore inadempimento da parte della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dell’obbligo di trasmettere alla ‘V.RAGIONE_SOCIALE‘ la documentazione indicata nei contratti tra le stesse sottoscritti.
2.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Le critiche sono parziali e, in gran parte, costituiscono una richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori.
Invero, la deduzione secondo cui gli estratti conto della società RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui risulta il pagamento degli assegni corrisposti alla ‘RAGIONE_SOCIALE per la fattura n. 3/2014, si riferisce ad uno dei plurimi profili concernenti detto pagamento: resta il fatto che il pagamento fu parziale, e per un importo largamente inferiore a quello indicato nella fattura, perché pari a poco più di 18.000,00 euro, a fronte di un prezzo dichiarato per 47.300,00 euro più 10.406,00 euro per IVA, e che la spiegazione fornita dall’imputato per il mancato pagamento della residua (e prevalente) parte è oggetto di mera asserzione.
Le deduzioni che attengono alla spiegazione come errori delle indicazioni in fattura, in particolare in relazione all’oggetto riportato dalla stessa, e della contabilizzazione di questa tra le operazioni relative all’anno 2015, invece che all’anno 2014, come corretto, non evidenziano manifeste illogicità nella ricostruzione dei fatti, ma, diversamente, si limitano a fornire una diversa prospettiva di valutazione degli stessi, e, quindi, non rientrano nell’area delle censure deducibili nel giudizio di legittimità.
Manifestamente infondate, se non diverse da quelle consentite in sede di legittimità, sono le censure formulate nel terzo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità, con riguardo al dolo, deducendo, in particolare, l’inesistenza di ‘campanelli d’allarme’ di un possibile mendacio e la modestia dei risparmi conseguiti dalla società RAGIONE_SOCIALE, a fronte dell’entità dei ricavi e delle liquidità di cassa della stessa nell’anno 2015.
3.1. La sentenza impugnata, anche in questa parte da leggere unitamente a quella confermata di primo grado, evidenzia specificamente le ragioni per ritenere la sussistenza del dolo dell’imputato anche nella sua proiezione a conseguire un significativo risparmio fiscale.
I Giudici di merito, in particolare, rappresentano che: a) la fattura ha comportato, per la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, nell’anno 2015, un risparmio di 10.406,00 euro a titolo di IVA e di 13.000,00 euro a titolo di IRES per l’anno 2015 (precisamente, sull’imponibile di 47.300,00 euro, indicato in fattura, è stata applicata l’aliquota del 27,5 %, all’epoca vigente per l’IRES); b) il conto economico della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per l’anno 2015, reca una differenza tra costi e ricavi pari a soli 77.599,00 euro,
così da generare imposte pari ad euro 27.035,00; c) il risparmio fiscale a titolo di IRES, quindi è stato paro a circa il 50 % dell’imposta dovuta a tale titolo.
Si può aggiungere, sulla base di quanto risulta dalle sentenze di merito, che: a) l’imputato, quale amministratore della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, secondo le dichiarazioni dal medesimo rese nel corso dell’esame a dibattimento, e per come riportate nella sentenza di primo grado, ha gestito in prima persona il rapporto con la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ed ha anche deciso di chiudere i rapporti con la stessa nel 2014, per averla trovata inaffidabile; b) i lavori commissionati dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ alla ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE hanno avuto ad oggetto un importo complessivo di 445.962 euro, quindi pari ad oltre il 10 % dei costi contabilizzati dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ al 31 dicembre 2014.
3.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono correttamente motivate.
Invero, la pluralità di anomalie nel rapporto tra la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, la riferibilità della gestione di tale rapporto all’imputato, ed il significativo risparmio fiscale conseguito sull’imposta dovuta costituiscono elementi precisi e congrui per affermare la sussistenza del dolo dell’imputato. Mentre le deduzioni critiche esposte nel ricorso non evidenziano manifeste illogicità nella ricostruzione dei fatti, ma, diversamente, si limitano a fornire una diversa prospettiva di valutazione degli stessi, e, quindi, non rientrano nell’area delle censure deducibili nel giudizio di legittimità.
Manifestamente infondate, se non diverse da quelle consentite in sede di legittimità, sono anche le censure enunciate nel quarto motivo, le quali contestano la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen., deducendo, in particolare, la modestia dei risparmi conseguiti dalla ‘RAGIONE_SOCIALE a fronte dell’entità dei ricavi e delle liquidità della stessa nell’anno 2015.
Invero, è incensurabile l’affermazione di entrambe le sentenze di merito, secondo cui l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, perché l’ammontare dell’imposta evasa non è minimale, anche in considerazione del fatto che l’importo dovuto per la tassazione sul reddito d’impresa generato dalla ‘RAGIONE_SOCIALE nell’esercizio fiscale che viene in rilievo è di poco superiore rispetto a quello evaso.
Alla complessiva infondatezza delle censure seguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in data 04/06/2025.