Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 28368 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 28368 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 23/7/1971
avverso la sentenza dell’8/4/2025 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8/4/2025, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa il 9/5/2024 dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato ascrittogli – art. 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 – al capo 1),
perché estinto per prescrizione, e rideterminava la pena, quanto al residuo reato, nella misura del dispositivo.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi, dopo ampia premessa in fatto:
errata qualificazione delle operazioni come inesistenti. La Corte di appello avrebbe erroneamente qualificato le operazioni in fattura in questi termini, senza considerare la condizione sospensiva pattuita tra la “RAGIONE_SOCIALE“, di cui il ricorrente era legale rappresentante, e la “RAGIONE_SOCIALE“, il cui mancato verificarsi avrebbe impedito la conclusione del contratto. Per giurisprudenza costante, peraltro, una fattura riferita ad operazione condizionata non integrerebbe il delitto di cui all’art. 2 in esame;
insussistenza del dolo specifico; difetto assoluto di motivazione. La sentenza non proverebbe il profilo psicologico del reato, invero escluso dal fatto che il comportamento del ricorrente apparirebbe ispirato a logiche di buona fede contrattuale, con ripetuti tentativi di regolare la situazione con “Vaber”, nel rispetto dei principi contabili vigenti. “MG”, inoltre, avrebbe inserito le fatture i contabilità nel quadro di un contratto che, in quella fase, non si sarebbe potuto ritenere risolto;
violazione dei principi . del giusto processo e difetto di motivazione critica quanto agli atti prodotti in sede amministrativa (avviso di accertamento e processo verbale di constatazione). La sentenza si sarebbe limitata a richiamare qualche passo (peraltro, del tutto inconferente) contenuto in questi atti, così fondando il giudizio di responsabilità soltanto su elementi di natura extraprocessuale, privi di garanzia del contraddittorio;
difetto di motivazione e travisamento dei criteri contabili. La Corte di appello non avrebbe considerato che “MG” avrebbe agito in conformità ai principi contabili vigenti, iscrivendo il debito in bilancio in attesa della formalizzazione della transazione, secondo il principio di prudenza di cui all’art. 2423-bis cod. civ.;
difetto o apparenza di motivazione quanto alla misura della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato; le censure in punto di responsabilità, peraltro, possono essere trattate in modo congiunto, in quanto tutte relative al medesimo profilo in fatto, quale il rapporto negoziale tra la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“, ed i suoi sviluppi.
Al riguardo, la Corte di appello – pronunciandosi sulle medesime questioni di merito, qui riprodotte sotto l’apparenza di un plurimo vizio motivazionale – ha confermato la decisione di condanna con un più che solido percorso
argomentativo, fondato su oggettivi elementi istruttori che il ricorso non cita affatto, tantomeno contesta, così peraltro sottraendosi ad un necessario confronto con la sentenza impugnata.
4.1. Nell’ambito di tale accertamento in fatto, e con piena aderenza alla pronuncia di primo grado, si è quindi riscontrato che la società di cui il ricorrente era legale rappresentante aveva registrato in contabilità fatture per operazioni inesistenti, emesse da “Vaber”, con conseguente evasione nei termini dell’imputazione. In particolare, dopo che la prima aveva stipulato con l’altra, nel 2013, un contratto di subappalto relativo all’esecuzione di opere edilizie, la “Vaber” aveva emesso numerose fatture (nn. 43, 44, 45, 46, 47 e 48), nel medesimo giorno (31/12/2013), poi riportate da “MG” nella propria contabilità del 2013, tranne la n. 48, inserita nella contabilità 2014. Successivamente, la subappaltante aveva contestato a “RAGIONE_SOCIALE” di aver svolto solo in minima parte i lavori, e le due avevano quindi stipulato un accordo transattivo (20/2/2014) con il quale la “MG” aveva riconosciuto all’altra soltanto 92.000 euro di lavori; somma che, peraltro, la stessa avrebbe corrisposto mediante la cessione di 4 box. Tale cessione, tuttavia, non si sarebbe concretizzata per inadempimento esclusivo di “RAGIONE_SOCIALE“, così vanificando l’accordo.
4.2. Tanto premesso, entrambe le sentenze di merito hanno sottolineato quel che il ricorso non contesta affatto – plurime anomalie riguardanti il medesimo rapporto negoziale: a) le fatture, come già richiamato, erano state tutte emesse il 31/12/2013, e non con il progredire dei lavori, come stabilito nel contratto di subappalto; b) alla stessa data di emissione, “RAGIONE_SOCIALE” aveva già abbandonato i cantieri; c) nell’accordo transattivo del febbraio 2014, le due società avevano convenuto che i lavori eseguiti ammontavano a soli 92mila euro. Ancora, e con particolare rilievo probatorio, è stato riscontrato che “Vaber” non disponeva della forza lavoro necessaria per eseguire i lavori oggetto del subappalto, avendo solo 2 dipendenti (dato non contestato nel ricorso, ma affrontato con una mera illazione indimostrata, ossia il frequente impiego di imprese terze come “prassi consolidata”). Infine, entrambe le sentenze hanno sottolineato che la mancata esecuzione della transazione, per inerzia di “Vaber”, era risultata priva di ogni giustificazione.
4.3. Alla luce di questi elementi, oggettivi e non contestati, è stato dunque ritenuto accertato che i lavori in questione erano stati eseguiti soltanto nella misura del 20%, cosicché il ricorrente non avrebbe dovuto iscrivere in contabilità i (presunti) costi ulteriori né utilizzarli per l’abbattimento dell’imponibil Muovendo da questa premessa in fatto, la Corte di appello ha quindi superato la tesi difensiva secondo cui la mancata emissione della nota di credito da parte di “Vaber” avrebbe impedito all’altra di eliminare il debito dalla propria contabilità;
proprio le considerazioni che precedono, infatti, hanno indotto i Giudici del merito a ritenere inesistente il debito riportato nelle fatture.
4.4. Con riguardo, poi, al profilo soggettivo del reato, la Corte di appello ancora non contrastata nei suoi argomenti dal ricorso – ha evidenziato che la “MG”, venuta a conoscenza del reale valore delle opere eseguite da “Vaber”, non aveva proceduto a rilevare una sopravvenienza attiva al fine di rettificare il valore delle stesse, ma aveva continuato a tenere in bilancio costi relativi ad un contratto non correttamente adempiuto, con piena consapevolezza da parte del ricorrente/amministratore.
4.5. In forza di questi elementi, la sentenza impugnata – ancora con argomento privo di illogicità manifesta – ha dunque congruamente individuato anche il profilo soggettivo del reato, peraltro contestato nel ricorso con inammissibile affermazione in fatto, secondo cui “il comportamento del ricorrente appare ispirato alle logiche di buona fede contrattuale, con ripetuti tentativi di regolarizzazione della situazione.” Del pari inammissibile, poi, è il riferimento ai corretti criteri contabili ai quali il COGNOME avrebbe ispirato il proprio agire, in quanto argomento in puro merito (dunque, di per sé non valutabile in questa sede), del tutto privo di appiglio alla motivazione della sentenza impugnata.
4.6. In ordine, poi, alla censura concernente la violazione dei principi del giusto processo, la Corte osserva che la stessa è proposta in termini evidentemente generici, contestando l’assenza di “una autonoma valutazione critica” degli atti amministrativi acquisiti, dei quali, tuttavia, non è indicato contenuto, né il rilievo eventualmente assegnato dalla Corte ai fini della decisione.
4.7. I motivi di ricorso in punto di responsabilità, pertanto, sono tutti manifestamente infondati.
Alle stesse conclusioni, infine, la Corte giunge quanto alla censura riguardante il trattamento sanzionatorio.
5.1. La pena irrogata, infatti, è stata determinata muovendo da 1 anno di reclusione – misura invero inferiore al minimo edittale, pari ad 1 anni e 6 mesi di reclusione – poi ridotto per il rito abbreviato a 8 mesi di reclusione: tale misura, pertanto, non richiedeva particolare motivazione.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 29 luglio 2025
CORTE SUPREMA DI COGNOME