Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1034 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOME COGNOME nato a Zofigen (Svizzera) il 17/09/1974, avverso la sentenza del 20/03/2024 della Corte di appello di Catanzaro; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio in accoglimento del primo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 marzo 2023, il Tribunale di Castrovillari condannava NOME COGNOME alla pena di anni uno ‘ e mesi sei di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74/2000, poiché, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE al fine di evadere le imposte sui redditi e/o sul valore aggiunto per gli anni di imposta 2012 e 2013, aveva indicato nelle relative dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi, avvalendosi di 22 fatture per operazioni inesistenti, applicando l pene accessorie di legge e concedendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione nel certificato del casellario giudiziale.
Con sentenza del 20 marzo 2024, la Corte di appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro, NOME COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta violazione di legge sostanziale e processuale – vizio motivazionale – art. 606 lett. b), c), d) ed e) cod. proc. pen. – violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. – violazione dell’art. 18 Cost
In sintesi, la difesa deduce che la sentenza della Corte di appello, nel riportare le conclusioni rassegnate dalle parti all’udienza del 20/03/2024, omette di specificare che il difensore fiduciario, con istanza del 18/03/2024, comunicata a mezzo pec in data 18/03/2024, aveva dichiarato di aderire alla astensione dalle udienze per il giorno 20/03/2024. E poiché il gravame era stato ugualmente trattato e definito ne derivava la nullità della sentenza impugnata.
2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta violazione di legge sostanziale e processuale – vizio motivazionale – art. 606 lett. b), c), d) ed e) cod. proc. pen. – violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. – violazione dell’art. d.lgs. 74/2000.
Deduce la difesa vizio di omessa pronuncia su di un motivo di appello, in particolare sulla doglianza relativa alla mancanza di riscontri circa l’inserimento delle fatture rubricate nella dichiarazione dei redditi del ricorrente, dal momento che il teste COGNOME di cui era stata disposta la riaudizione ai sensi dell’art. 50 cod. proc. pen. dal giudice di primo grado, affermava di ricordare che le fatture fossero state inserite nella dichiarazione, senza che quest’ultima dichiarazione venisse acquisita al fascicolo dibattimentale e senza che, pertanto, venisse
acquisita la prova dell’indicazione in dichiarazione di elementi passivi fitti raggiungibile induttivamente attraverso la memoria di un accertatore, necéssitante di verifica cartolare.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa lamenta violazione di legge sostanzia processuale – vizio motivazionale – art. 606 lett. b), c), d) ed e) cod. pr – violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. – violazione dell’art. 74/2000.
Deduce il ricorrente che l’esistenza e l’operatività nel campo edile della “RAGIONE_SOCIALE Servizi” del RAGIONE_SOCIALE risulta riscontrata dalle dichiarazion teste NOME COGNOME che ebbe ad effettuare lavori di ristrutturazione conto di RAGIONE_SOCIALE, nonché da NOME COGNOME che ebbe a contrattare con lui, vendendogli ponteggi. Inoltre, il teste COGNOME ha dichiarato di consentito lo scarico di ponteggi intonsi presso il suo piazzale di Castrovilla poi trasportarli alla sede della Fra Ponteggi. Infine, rileva la valutazione di dei beni da parte di esperto nominato dalla Guardia di Finanza, come riferito teste COGNOME, esperto non escusso in dibattimento (benchè richiesto c inutilizzabilità ex art. 195 cod. proc. pen.) che tuttavia aveva esaminato i distanza di anni e svolgeva attività concorrenziale.
2.4 Con il quarto motivo, la difesa lamenta violazione di legge sostanzial processuale – vizio motivazionale – art. 606 lett. b), c), d) ed e) cod. pr – violazione dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. – violazione dell’art. 74/2000.
In sintesi, il ricorrente espone che la RAGIONE_SOCIALE aveva ini propria attività di noleggio di gru e attrezzature edili con operatore in dicembre 2010, provvedendo all’acquisto di beni ammortizzabili consistenti attrezzatura varia finalizzata alla realizzazione di ponteggi e loro mont presso la propria clientela, optando per la fornitura offerta dalla RAGIONE_SOCIALE poi rivolgersi alla ditta RAGIONE_SOCIALE e far scaricare inizialmen attrezzature acquistate – consegnate tra il marzo e l’aprile 2012 – sul p della ditta COGNOME, a causa della indisponibilità del piazzale INDIRIZZO infine facendo trasferire le attrezzature presso il piazzale della INDIRIZZO mano che questo veniva completato.
In ogni caso, anche a voler ritenere trattarsi di fatture soggettiva inesistenti, i costi relativi sono comunque deducibili dal reddito d’impresa, p connotati dall’inerenza e supportati da operazioni effettive e reali, ai se d.l. n. 16/2012.
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Né d’altro canto può sostenersi che nel nostro caso si verta in materi operazioni oggettivamente inesistenti, non essendo stato ciò rigorosamen dimostrato con la fornitura di elementi probatori inerenti la circostanz l’operazione fatturata non è stata effettuata.
La difesa deduce, infine, che, essendo gli acquisti riferiti a ammortizzabili, perché beni strumentali, la procedura utilizzata per ripart costo dei beni strumentali nel tempo era quella dell’ammortamento, per cui, più, poteva ipotizzarsi la mancata deducibilità di eventuali quot ammortamento, sempre che le stesse fossero state portate in deduzione da reddito, ipotesi questa non provata dall’accusa.
E’ pervenuta memoria dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia ricorrente, con la quale si insiste nelle conclusioni assunte nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Risulta in atti pec inviata, in data 18/03/2024, dal difensore di fiduc ricorrente alla Corte di appello di Catanzaro avente per oggetto “dichiarazion adesione astensione per imputato sig. COGNOME NOME COGNOME“. A tale pec tuttavia, non è allegata la dichiarazione di adesione all’astensione dalle ud ma le conclusioni per l’udienza fissata il 20/03/2024, digitalmente sottosc dal difensore.
In ogni caso, l’udienza del 20/03/2024 nella quale la Corte di appello definito il secondo grado di giudizio, emettendo dispositivo di sentenza, è celebrata con le modalità della trattazione scritta, ovverosia in came consiglio senza l’intervento del pubblico ministero e dei difensori, non avend parti fatto richiesta di discussione orale entro il termine perentorio di q giorni liberi prima dell’udienza ai sensi del comma 4 dell’art. 23-bis 137/2020 convertito, con modificazioni, dalla I. n. 176/2020, le cui disposiz continuano ad applicarsi per le impugnazioni proposte sino al 30 giugno 2024 sensi dell’art. 94 d.lgs. n. 150/2022.
Il contraddittorio tra le parti, pertanto, era assicurato dagli adempi previsti dal comma 2 del citato art. 23-bis d.l. n. 137/2020, con la possibi formulare le conclusioni con atto scritto da parte del pubblico ministero difensori delle altre parti.
Ne consegue che la circostanza che il difensore abbia aderito all’astensi degli avvocati per l’udienza camerale fissata per la trattazione scritta del g in appello non implicava l’obbligo per l’organo giudicante di rinvia
procedimento, al fine di garantire il diritto di difesa (Sez. 2, n. 36199 de 12/07/2024, non massimata; Sez. 4, n. 42081 del 28/09/2021, Fiorentino, Ftv. 282067; Sez. 5, n. 34501 del 12/07/2021, COGNOME, non massimata).
D’altronde, le modalità di attuazione del contraddittorio previste dal comma 2 dell’art. 23-bis cit. ricalcano quelle previste dall’art. 611, comma 1, cod. proc pen. per l’udienza camerale non partecipata innanzi alla Corte di cassazione, che pure si svolge senza l’intervento del difensore. Deve, allora, ricordarsi il consolidato principio affermato da questa Corte, secondo cui, allorquando, in Cassazione, il procedimento si svolge in camera di consiglio senza l’intervento del difensore, nessuna rilevanza, ai fini del richiesto rinvio, assume la partecipazione del difensore stesso all’astensione dalle udienze proclamate da organismi di categoria (Sez. 2, n. 9775 del 22/11/2012, dep. 2013, COGNOME P:v. 255353; Sez. 5, ord. n. 1596 del 06/06/1995, COGNOME, Rv. 202633).
Tale principio è estensibile al giudizio di appello, laddove esso debba svolgersi mediante trattazione cartolare (Sez. 4, n. 42081 del 28/09/2021, Fiorentino, Rv. 282067, cit.).
Ai sensi dell’art. 3 del codice di autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati, l’astensione legittima, nel processo civile, penale, amministrativo e tributario, la mancata comparizione dell’avvocato all’udienza o all’atto di indagine preliminare o a qualsiasi altro atto o adempimento per il quale sia prevista la sua presenza, ancorché non obbligatoria.
Nel caso di specie il difensore, avendo, in difetto di istanza di discussione orale, implicitamente rinunciato alla sua comparizione all’udienza fissata per la discussione, non poteva più esercitare, in relazione a detta udienza, il suo diritto all’astensione.
Il secondo motivo di appello è inammissibile perché nuovo o comunque solo genericamente prospettato nei motivi di appello.
Infatti, non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione che è stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello, con conseguente inconfigurabilità di un vizio di motivazione (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306).
Nella motivazione della citata pronuncia n. 29707 del 08/03/2017, è stato precisato che “il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall’art. 609 cod. proc. pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della
cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti mot contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di dir degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581 c proc. pen., comma 1, lett. d), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, let sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricor cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione quella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3 nella parte in cui prevede la deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appel combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio cont rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimen impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizio del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticab anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con rig al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della ver giurisdizionale”.
E tale conclusione vale anche quando venga genericamente prospettata nei motivi di appello una censura solo successivamente illustrata in termini speci con la proposizione del ricorso in cassazione.
Orbene, nel caso in esame, nell’atto di appello si deduceva s genericamente come il giudice di primo grado, ai fini dell’affermazione de responsabilità penale del ricorrente, si fosse accontentato della attestazion presenza della documentazione attraverso il ricordo degli operatori espresso sede di testimonianza a distanza di anni dalla verifica, senza tuttavia arti una specifica doglianza, tanto che, nell’atto di appello, la tesi che si so che viene specificamente articolata è quella della effettiva esistenza operazioni commerciali. La doglianza della mancata prova dell’utilizzo dichiarazione fiscale delle fatture indicate in imputazione è invece articol modo specifico quale motivo di ricorso per cassazione.
In ogni caso, la circostanza contestata dal ricorrente emerge nitidamen dalla sentenza di primo grado, le cui conclusioni si saldano con la . sentenza di secondo grado, ricorrendo un’ipotesi di “doppia conforme”, laddove il te Russo, all’udienza del 07/12/2013, ha precisato di aver acquisito, duran indagini, le dichiarazioni fiscali presentate dalla RAGIONE_SOCIALE, ne erano riportati i costi relativi alle fatture segnalate, per poi allegarle a verbale di constatazione trasmesso all’Agenzia delle Entrate.
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3. Il terzo motivo è manifestamente infondato per genericità, non confrontandosi integralmente con la parte motiva della sentenza impugnata.
Diversamente da quanto rappresentato in ricorso, la Corte territoriale non ha accertato la inesistenza e/o la inoperatività della ditta fornitrice “RAGIONE_SOCIALE“, ma è invece giunta alla conclusione della fittizietà delle operazioni fatturate dall’impresa del RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, i termini di sovrafatturazione, con la finalità di incrementare i costi di acquisto formalmente sostenuti dal ricorrente, per poi rappresentarli quali elementi passivi nelle dichiarazioni fiscali in imputazione indicate. Tanto in linea con la disciplina di cui al d.lgs. n. 74/2000 che declina il concetto di inesistenza all’ar 1, lett, a), secondo il quale per “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probator analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Nel caso in esame, dunque, è stata accertata una inesistenza da sovrafatturazione relativa al caso di fatture o documenti nei quali i dati vengono gonfiati (c.d. inesistenza qualitativa) o sia stata posta in essere una cessione di beni e/o servizi per un prezzo maggiore di quello realmente praticato (cfr., Sez. 3, n. 1998, del 15/11/2019, dep. 2020, Moiseev, Rv. 278378).
E le conclusioni cui è giunta la Corte di merito sono coerenti agli elementi probatori acquisiti e rappresentati in sentenza, avendo i giudici di merito accertato, con riferimento alle ditte a loro volta fornitrici della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, che alcune avevano un oggetto sociale incompatibile con l’attività di vendita di ponteggi, mentre le due con attività sociale compatibile e che risultavano aver fornito ponteggi alla ditta di RAGIONE_SOCIALE erano la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE La RAGIONE_SOCIALE tuttavia, dopo aver emesso fatture per alcune decine di migliaia di euro, aveva poi emesso delle note di credito di elevato importo perché il Deak non aveva ritirato i materiali ed aveva effettuato un pagamento solo parziale, tanto che il giudice di primo grado conclude nel senso che i ponteggi che la ditta del RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE corrispondevano ad un valore di circa 5.000,00 euro; la RAGIONE_SOCIALE invece, aveva svolto le trattative esclusivamente con il ricorrente per poi fatturare al RAGIONE_SOCIALE una fornitura di ponteggi usati, poi rivenduti al ricorrente a prezzo superiore, come accertato dagli inquirenti a mezzo di stima fatta eseguire da una ditta specializzata, attendibile perché produttrice del materiale oggetto di fattura, che aveva valutato il valore reale dei beni pari alla metà dei costi indicati in fattura
poi riportati nelle dichiarazioni fiscali (l’eccezione di inutilizzabilità ex art cod. proc. pen., sollevata in sede di ricorso, non risulta aver costituito motivo di appello, non avendone la Corte territoriale fatto alcun riferimento e non essendo stato contestato il riepilogo dei motivi di appello). Il ricorrente, quindi, ave effettuato gli acquisti del materiale o trattando direttamente con i fornitori indirizzando ad essi il RAGIONE_SOCIALE, acquisendo materiali di valore inferiore a quello fatturato dal Deak, sicchè attraverso l’intermediazione di quest’ultimo era stato maggiorato il valore dei beni acquisiti, aumentandone i costi ed utilizzando le fatture, caratterizzate da inesistenza per sovrafatturazione, sia nelle dichiarazioni fiscali, sia per chiedere un finanziamento a fondo perduto alla Regione Calabria nella misura del 50% della richiesta, al fine di coprire la spesa realmente sostenuta per l’acquisto dei ponteggi ed ottenendo anche l’erogazione della cifra di circa 70.000,00 euro a titolo di primo SAL.
4. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il riferimento alla circostanza che, in presenza del requisito dell’inerenza, consentirebbe la deducibilità dal reddito d’impresa dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti contrasta con il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, «in tema di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto, il destinatario della fattura sia tenuto corrispondere nuovamente l’Iva al soggetto che ha realmente fornito la prestazione, quale normale conseguenza di ogni interposizione fittizia», (Sez. 2, n. 15552 del 21/01/2022, COGNOME; Sez. 3, n. 29977 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 276289; Sez. 3, n. 31628 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 264456; Sez. 3, n. 47471 del 17/10/2013, COGNOME, Rv. 258377).
Allo stesso modo, anche il riferimento alla procedura dell’ammortamento per ripartire il costo dei beni strumentali nel tempo contrasta con la contestazione mossa al ricorrente e con gli elementi acquisiti nei giudizi di merito e descritti nella sentenza impugnata, ma contrasta anche con il fermo orientamento di questa Corte secondo il quale «il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è configurabile nel caso di un frazionamento in successive dichiarazioni annuali delle quote di ammortamento dell’importo di fatture per l’acquisto (inesistente) di beni strumentali ed è integrato da ogni dichiarazione nella quale vengono indicati i corrispondenti elementi passivi fittizi in detrazione dei redditi» (Sez. F, n. 35729
del 01/08/2013, COGNOME, Rv. 256578; Sez. 3, n. 39176 del 24/09/2008, Agrama, Rv. 241266).
Del resto, le deduzioni in esame – così come il riferimento alla omes rigorosa dimostrazione della inesistenza delle operazioni nel caso si riten trattarsi di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti affette del vizio di aspecificità, per la mancata correlazione e confronto motivazione spesa dalla Corte di appello sul punto, là dove è stato rimarcato i fatti contestati integravano operazioni di sovrafatturazione secondo una ana priva di vizi logici, congrua e aderente agli elementi probatori acquisiti.
In conclusione, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve e dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai s dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ric sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della caus inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata i equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare o massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in cas inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 18/11/2024