Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 29968 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 29968 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VENEZIA il 23/08/1958 COGNOME NOME nato a VENEZIA il 24/11/1980
avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di TREVISO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME il quale si riporta alla memoria scritta depositata e conclude per l’annullamento con rinvio del provvedimento oggetto di impugnazione.
Alle ore 10.55 si da atto della presenza dell’avvocato NOME del foro di VENEZIA, difensore di COGNOME, il quale conferma quanto già esposto nei motivi di ricorso. L’avvocato NOME fa presente inoltre, di essere anche in sostituzione ex art.102 c.p.p., per delega orale, dell’avvocato NOME COGNOME del foro di VENEZIA e dell’avvocato NOME COGNOME del foro di VENEZIA, entrambi difensori di COGNOME NOME.
RITENUTO IN FATTO
LI! Tribunale di Treviso quale giudice del riesame cautelare con ordinanza in data 12 febbraio 2025 ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Treviso finalizzato alla confisca diretta delle disponibilità finanziarie della società RAGIONE_SOCIALE di cui erano amministratori di diritto il COGNOME e di fatto la COGNOME, ovvero per equivalente sui beni mobili ed immobili di proprietà degli indagati fino all’ammontare di euro 1.384.558,78, corrispondente alla imposta IVA complessivamente evasa dalla suddetta società negli anni di imposta 2017-2021, riconoscendo il fumus commissi delicti in relazione al reato di cui all’art. 2 d.lgs. n.74/2000.
Si ipotizza in particolare che la società RAGIONE_SOCIALE avesse fraudolentemente interposto altra società, la RAGIONE_SOCIALE realizzando con essa una Associazione Temporanea di Imprese, nella somministrazione di manodopera destinata alla movimentazione della merce presso il Mercato Agroalimentare di Padova, sebbene quest’ultima non possedesse una propria autonomia strutturale e operativa distinta da quella della società mandante, consentendo a quest’ultima di superare il divieto di rinnovazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, così da ritenersi inesistenti le prestazioni fatturate dalla RAGIONE_SOCIALE e illegittima la detrazione operata sull’imposta sul valore aggiunto da parte della RAGIONE_SOCIALE Si assume inoltre la natura simulata dei contratti di appalto che legavano la RAGIONE_SOCIALE ai committenti delle prestazioni di facchinaggio (Società Consortile che raggruppava i grossisti dei generi agroalimentari di Padova) in relazione alla manodopera riferibile alla RAGIONE_SOCIALE dovendosi invece ritenere che la suddetta manodopera operasse direttamente alle dipendenze del consorzio di imprese committenti, come risultava dimostrato da una serie di elementi fattuali, documentali e dichiarativi, nonché dagli stessi criteri di commisurazione del corrispettivo dei lavoratori.
2. Il Tribunale del Riesame, giudicando in sede di rinvio a seguito di sentenza di annullamento della ordinanza con cui era stato accolto il riesame proposto dagli odierni ricorrenti avverso il provvedimento dispositivo della cautela relativamente al fumus commissi delicti ed era stato delineato lo standard probatorio sul quale andavano valutati i
gravi indizi di reato, nel richiamare tutti gli elementi indiziari già esaminati dal primo giudice e gli elementi addotti dalla difesa dei ricorrenti a sostegno della non concludenza del patrimonio indiziario valorizzato dal primo giudice, confermava il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta e per equivalente sopra evidenziato.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame ha proposto ricorso per cassazione la difesa di COGNOME NOME e di COGNOME COGNOME mediante l’articolazione di due motivi di ricorso.
Con il primo motivo deduce violazione di legge con riferimento al mancato assolvimento dell’obbligo da parte del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza rescindente ai sensi dell’art.627, comma 3 cod. proc. pen. Violazione di legge per motivazione apparente, in quanto basata su errori percettivi revocatori (travisamento della prova).
2.1. Sotto un primo profilo assume una non corretta applicazione dei principi enunciati dalla sentenza rescindente i quali sono stati interpretati quale imposizione in capo ai ricorrenti dell’onere di dimostrare la inconfigurabilità della ipotesi di reato addebitata, in pratica richiedendo una “probatio diabolica”, che travalicherebbe la stessa prova dell’innocenza nel giudizio di merito, mentre il giudice rescindente aveva onerato il giudice del rinvio di un più equilibrato vaglio ponderale degli elementi rispettivamente raccolti dalle parti rispetto a quello svolto nel giudizio di riesame con l’ordinanza annullata dal giudice di legittimità.
2.2. Quanto alla motivazione dell’ordinanza impugnata i ricorrenti assumono l’apparenza dell’apparato giustificativo in quanto travisante gli elementi di indagine acquisiti e quindi sindacabile dinanzi al giudice di legittimità per violazione di legge. In primo luogo, contestano l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato secondo la quale nella prestazione fornita dalla società RAGIONE_SOCIALE non sarebbero individuabili obblighi di risultato a carico della società committente, evidenziando che la fornitura di manodopera costituisce un servizio avente una sua intrinseca utilità, che prescinde dal conseguimento di uno specifico risultato, di talchè integra un errore percettivo l’avere il giudice del riesame scambiato un appalto di servizi, qual era quello assicurato dai ricorrenti, con la prestazione di un’opera compiuta, riconoscendo un indizio di reato nell’assenza di un obbligo di risultato.
I
Assume GLYPH ancora GLYPH che GLYPH parimenti GLYPH insussistente GLYPH era GLYPH l’indizio rappresentato dalle modalità di commisurazione del corrispettivo spettante alla RAGIONE_SOCIALE parametrato al costo orario dei lavoratori forniti alla parte committente, che avrebbe palesato l’intento di mascherare una intermediazione di manodopera in quanto, a tale criterio era stato sostituito quello della quantità di quintali di merce movimentati per un determinato arco temporale, criterio che possiede sua intrinseca rilevanza. La richiesta di un parere legale su tale specifica questione intervenuta prima di predisporre il contratto di prestazione d’opera e l’esigenza di parametrare il costo del servizio anche su ulteriori elementi in funzione remunerativa del rischio di impresa g costituivano al contrario elementi distonici rispetto a quanto affermato nella tesi di accusa. Ugualmente la tenuta del foglio presenze dei lavoratori da parte della società fornitrice della manodopera costituiva un elemento neutro o, al contrario, indicativo del fatto che la manodopera non faceva riferimento alla società consortile committente, bensì era sottoposta al controllo della società fornitrice della manodopera, così da confermare l’effettività delle prestazioni indicate nelle fatture.
Quanto alle direttive somministrate ai lavoratori dai grossisti del mercato e più in generale al coacervo di elementi dichiarativi da cui il Tribunale del Riesame aveva inferito che il potere datoriale e la direzione del lavoro della manodopera fornita dalle società facenti capo agli odierni indagati fosse direttamente esercitato dal consorzio delle ditte committenti, la difesa ricorrente assume che il giudice del riesame era incorso in un integrale stravolgimento della prova, con travisamento degli elementi di indagine e in particolare delle dichiarazioni difensive assunte dal dirigente responsabile per Logistic Outsourcing della manodopera somministrata, NOME COGNOME nonché di quelle di COGNOME NOME, quale responsabile della associazione datoriale veneta RAGIONE_SOCIALE, con riferimento al rispetto presso il mercato ortofrutticolo delle disposizioni del contratto collettivo di riferimento, le quali evidenziavano la effettività delle prestazioni rese dalla società fornitrice della manodopera e il necessario coordinamento tra tali attività e quelle contestualmente esercitate dai grossisti committenti mediante la manodopera dagli stessi impiegata. Quanto alle dichiarazioni autoindizianti rese dal COGNOME in sede della verifica fiscale le stesse erano da ritenersi inutilizzabili ai sensi dell’art.350 comma 6 cod. proc. pen. mentre, in relazione agli argomenti,
riconosciuti indizianti, in ordine alla veste meramente fittizia della seconda società fornitrice della manodopera RAGIONE_SOCIALE, rappresentava come le strategie imprenditoriali dei ricorrenti andavano interpretate alla luce delle dichiarazioni rese, nell’ambito delle indagini difensive svolte, dal soggetto preposto alla gestione della manodopera e alla organizzazione delle maestranze, il quale aveva compiutamente evidenziato le ragioni per cui vi era stata una ripartizione delle risorse umane tra le due realtà associative, fondata sulla durata dei contratti e dalla esigenza di tenere separate maestranze appartenenti a diverse nazionalità, religioni e appartenenze etniche.
Quanto all’argomento difensivo decisivo concernente l’assolvimento dell’obbligo dell’IVA da parte di entrambe le società facenti capo ai ricorrenti, circostanza che era stata riconosciuta irrilevante da parte del giudice del riesame, parte ricorrente stigmatizza l’errore percettivo in cui è incorso il provvedimento impugnato, in quanto l’assolvimento dell’IVA da parte della RAGIONE_SOCIALE che aveva emesso le fatture e cioè da parte del soggetto che, nella prospettiva accusatoria, era fittiziamente interposto nel rapporto commerciale tra RAGIONE_SOCIALE e le ditte committenti, escludeva qualsivoglia “rischio di perdita di gettito fiscale” essendo stata l’obbligazione tributaria regolarmente adempiuta e, al contempo, rendeva del tutto illogica la veste di soggetto interposto in capo a RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire la detrazione dell’imposta da parte di chi (RAGIONE_SOCIALE) la fattura aveva ricevuto.
Quanto alla veste di amministratrice di fatto riconosciuta dai giudici del merito cautelare la difesa ricorrente evidenzia una serie di elementi, tra cui gli esiti delle indagini difensive, da cui inferire, contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, che il ruolo della COGNOME per niente si differenziava da quello impiegatizio che riscuoteva la fiducia del proprio datore di lavoro e che si occupava di profili contabili quak le buste paga e di supporto alla figura decisionale del titolare.
2.3. Quanto al periculum in mora i ricorrenti lamentano una motivazione apparente e priva di qualsiasi elemento da cui inferire l’esistenza di un concreto pericolo di dispersione delle risorse patrimoniali della società in quanto, a seguito dell’annullamento del provvedimento di rigetto della cautela, il vincolo cautelare era stato eseguito su elementi patrimoniali di importo superiore a quello
originariamente aggredito, circostanza che valeva ad escludere il pericolo di elusione o di dispersione della garanzia patrimoniale.
Con il secondo motivo di ricorsd ) , as ume violazione di legge con riferimento alla omessa verifica della legittimità del sequestro preventivo in relazione a specifici cespiti patrimoniali, in particolare ad una “Polizza Vita” di cui era titolare la ricorrente COGNOME in violazione ai limiti di pignorabilità previsti dall’art.545 cod. proc. civ., disciplina ritenuta applicabile dalla giurisprudenza di legittimità anche a ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, vizio rilevabile dal giudice della cognizione cautelare.
3.1. I ricorrenti hanno depositato una memoria difensiva con tre motivi aggiunti. Nei primi due vengono sintetizzate le censure al provvedimento impugnato sopra illustrate. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge per erronea applicazione della legge penale e in particolare per omessa applicazione dei principi di diritto in tema di limiti del sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro a titolo di profitto del reato in ipotesi di concorso di persone, desumibili da recente S.U. n. 13783 del 26/09/2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto, seppure articolato come denuncia di difetto assoluto di motivazione, ovvero di vizio di motivazione apparente in quanto frutto di totale travisamento degli elementi indiziari, si sostanzia in una censura di motivazione illogica e contraddittoria e pertanto non proponibile, in tali termini, in sede di legittimità, laddove l’ambito di controllo da parte del giudice di legittimità è limitato ai profili di violazione di legge e di totale assenza e apparenza della motivazione da parte del Tribunale del Riesame, non potendo trovare riscontro neppure la verifica della manifesta illogicità della stessa (si veda sul punto Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, COGNOME, Rv. 239692; Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, COGNOME, non massinnata sul punto; Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, COGNOME, Rv. 22671; sez.1, n.6821 del 31/01/2012, Chiesi, Rv. 252430; sez.3, n.34751 del 11 Aprile 2017, COGNOME, Rv.270543; Sez. 3 -n. 385 del 06/10/2022, COGNOME, Rv.28396).
Nella specie l’istante non deduce alcun vizio di violazione di legge, né come inosservanza della legge penale né di quella processuale penale, nondimeno sostiene la apparenza della motivazione in relazione a
plurimi passaggi dl percorso argomentativo. Va peraltro affermato nello specifico che le doglianze che investono il profilo del fumus commissi delicti, il cui accertamento va svolto nei termini indicati nella sentenza rescindente, e quindi come verifica dell’astratta configurabilità della fattispecie di reato ascritta ai ricorrenti previa valutazione comparata delle prospettazioni accusatorie e degli elementi di valutazione difensivi offerti dalle parti contrapposte, si risolvono nella prospettazione di una alternativa lettura dei dati indiziari valorizzati dal Tribunale del Riesame nel giudizio di rinvio e pertanto sono inammissibili sebbene prospettate come travisamento (sub specie di errore percettivo) degli elementi di indagine acquisiti al procedimento
Sul punto, infatti, la motivazione resa dal giudice territoriale dà conto delle doglianze già sollevate dall’istante in sede di richiesta di riesame in modo logico e completo, esponendo in maniera puntale le ragioni per le quali ha ritenuto che il quadro fattuale possa dirsi corrispondere a quello normativo esponendo le ragioni per le quali ha ritenuto, pure a fronte degli elementi documentali (tra cui gli esiti di indagini difensive) e logici forniti dalla difesa dei ricorrenti, che le fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE attengano a operazioni soggettivamente inesistenti così da consentire alla società, di cui i ricorrenti sono amministratori, di maturare un credito Iva nei confronti dell’Erario, correttamente applicando le coordinate ermeneutiche espresse nella sentenza rescindente.
2. In particolare nessun travisamento dei dati acquisiti al procedimento è ravvisabile nella locuzione con la quale il giudice del riesame ha riconosciuto alla prestazione demandata alla RAGIONE_SOCIALE (invio di manodopera presso le imprese committenti) il carattere di obbligazione di mezzi, piuttosto che di risultato, in quanto da tale premessa il giudice non ha tratto alcun indice di emersione di una fittizia interposizione della stessa, risultando invece tali indici sintomatici ravvisati all’esito dell’esame complessivo del profilo organizzativo dell’impresa e, in particolare, dalle modalità di determinazione dei corrispettivi spettanti alla RAGIONE_SOCIALE (costo orario dei lavoratori), dalle dichiarazioni dei lavoratori in merito alle modalità di esecuzione delle prestazioni, dalla documentazione extra contabile acquisita, dalle modalità di esercizio del potere direttivo sui dipendenti asseritamente forniti dalla società RAGIONE_SOCIALE dal limitato apporto riconosciuto al responsabile del personale della RAGIONE_SOCIALE
Outsourcing (Spagno) che si limitava a raccogliere le presenze e a indirizzare la manodopera, dall’assenza di distinzione tra le mansioni esercitate dalla manodopera promiscuamente somministrata dall’ATI rispetto a quelle esercitate dalla manodopera delle imprese committenti, dall’assenza di attrezzature di lavoro riconducibili alle società amministrate dai ricorrenti, così da escludere l’effettiva assunzione di un rischio di impresa da parte della RAGIONE_SOCIALE.
Al contempo il giudice del riesame ha escluso valenza dirimente, ai fini della esclusione dell’elemento soggettivo del reato in relazione al quale è stata disposta la cautela reale, alla circostanza che nessun vantaggio fiscale (sub specie di detrazione di imposta) sarebbe ravvisabile in favore della società RAGIONE_SOCIALE nei cui confronti sarebbero state emesse le fatture dalla azienda consociata in relazione alle prestazioni eseguite, per essere stato assolto “a monte” l’obbligazione tributaria (in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe puntualmente versato l’Iva in relazione ai corrispettivi ricevuti per le prestazioni erogate), in quanto la giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che integra il delitto di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 l’utilizzazione, nella dichiarazione ai fini delle imposte dirette, di fatture formalmente riferite a un contratto di appalto di servizi, che costituisca di fatto lo schermo per occultare una somministrazione irregolare di manodopera, realizzata in violazione dei divieti di cui al previgente d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, sostituito dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, trattandosi di fatture relative a un negozio giuridico apparente, diverso da quello realmente intercorso tra le parti, attinente ad un’operazione implicante significative conseguenze di rilievo fiscale (Sez.3, n. 45114 del 28/10/2022, Testa, Rv. 283771 – 01; n.11633 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282985 – 01.
2.1. A fronte di tali argomenti, che investono anche, sebbene del tutto genericamente, il requisito del “periculum in mora”, il primo motivo di ricorso si limita a proporre una lettura alternativa degli elementi indizianti e una diversa ricostruzione degli elementi di fatto che, sotto l’apparenza di un travisamento dei dati processuali, comportante un “errore percettivo” del giudice sull’esistenza dell’informazione probatoria, ovvero sul suo significato, introduce una critica alla valutazione operata dal giudice del riesame degli elementi di indagine acquisiti, come detto inammissibile in questa sede.
Una tale valutazione di inammissibilità va estesa al tema, del tutto logicamente trattato dal giudice del riesame in sede di rinvio, della
qualifica di COGNOME NOME quale amministratrice di fatto della società RAGIONE_SOCIALE, tratta da plurimi elementi di indagine di natura dichiarativa e dalla sostanziale assenza del COGNOME alle dinamiche organizzative nella gestione della manodopera, cui la ricorrente contrappone una alternativa valutazione dei medesimi elementi dichiarativi e logici (utilizzazione da parte della COGNOME dell’account aziendale), esaminati nell’ordinanza impugnata e disattesi con ineccepibili argomenti logico giuridici.
3. Il secondo motivo di ricorso risulta parimenti inammissibile in quanto privo di caratteri dell’autosufficienza, in quanto dal contenuto del ricorso e dagli allegati allo stesso non risulta possibile risalire allo specifico atto relativo allo strumento finanziario (indicato come “polizza vita Fideuram n.045205. RG.206 intestata alla odierna indagata cfr. verbale di sequestro preventivo del 16/04/2024 in atti” a pag.34 del ricorso per cassazione) in relazione al quale viene prospettata la violazione dei limiti di pignorabilità derivantidall’art.545 cod. proc. civ., atteso che il richiamato verbale di sequestro del 16 aprile 2024 non è stato allegato al ricorso, mentre dall’allegato al ricorso n.8, dal quale dovrebbe risultare la indicazione della “Polizza Vita” per la quale dovrebbero valere i limiti di pignorabilità sopra specificati, risulta un verbale di sequestro eseguito in data 11 marzo 2025 dalla Guarda di Finanza, Gruppo Treviso, il quale contiene indicazione di strumenti finanziari del tutto diversi da quelli riportati nel ricorso. Invero in tema di ricorso per cassazione, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, digs. 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (sez.5, n.5897 del 3/12/2020, Cossu, Rv.280419-01). Nel caso in specie la mancata puntuale indicazione dello strumento finanziario rispetto al quale si assume la illegittimità del sequestro preventivo impedisce al giudice della cautela di apprezzare la fondatezza della doglianza, la quale si palesa indeterminata e, quindi, inammissibile. Va comunque evidenziato che anche qualora la mancata allegazione del documento fosse dipesa dall’omessa o dalla incompleta trasmissione da parte della cancelleria della Corte di , degli atti indicati nel ricorso per cassazione, in violazione di quanto prescritto dall’art. 165-bis disp. att.
cod. proc. pen., la stessa non sarebbe causa di nullità, non essendo tale disposizione assistita da alcuna sanzione e gravando, comunque,
sul difensore un onere di diligenza nel verificare l’effettiva trasmissione degli atti e nel provvedere spontaneamente alle allegazioni ritenute
necessarie (sez.3., n. 3 del 04/04/2023, COGNOME, Rv. 284901 – 01).
4. Inammissibile è infine il motivo di ricorso concernente i limiti del sequestro preventivo per equivalente di somme di denaro in caso di
concorso di persone, trattandosi di motivo nuovo, introdotto nei motivi aggiunti e quindi tardivamente proposto in quanto non si trova in
collegamento funzionale con nessuna delle altre censure articolate.
Invero, i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione
principale già presentata, essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (Sez.6,
n.45075 del 2/10/2014, COGNOME Rv.260666; n.6075 del 13/01/2015,
COGNOME, Rv.262343) e comunque la riconosciuta inammissibilità dei motivi principali preclude la possibilità di esaminare il motivo aggiunto, pure non inammissibile in quanto l’inammissibilità di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest’ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell’impugnazione originaria (Sez. 5 , n. 8439 del 24/01/2020, L., Rv. 278387 – 01).
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel suo complesso e i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen. come indicato in dispositivo, non ricorrendo ipotesi di esonero per assenza di colpa.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 9 luglio 2025
Il consigliere estensore