Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3019 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3019 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BRA il 26/03/1974
avverso la sentenza del 20/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria contenente motivo aggiunto del difensore dell’imputato, avv.
NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
• GLYPH
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente NOME COGNOME per i delitti ascritti ai capi a) e b) della rubrica, dichiarando non doversi procedere per quello di cui al capo c) della stessa.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’COGNOME, mediante il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando due motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo l’imputato deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., mancanza, illogicità e contraddittorietà processuale della motivazione in relazione alla ritenuta inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture.
In particolare, a fondamento della censura, espone che:
due delle fatture contestate nei rapporti tra la fallita e la società RAGIONE_SOCIALE sono state emesse nelle date del 10 gennaio e del 17 gennaio 2013, ovvero prima della messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE, avvenuta in data 28 febbraio 2013, talché affermare che le operazioni future ivi indicate sono invece state eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE costituisce un salto logico;
la decisione impugnata è erronea nella parte in cui assume il totale trasferimento dei beni strumentali della società RAGIONE_SOCIALE in favore della fallita per effetto del contratto di cessione del ramo di azienda del 28 febbraio 2013, atteso che la cessione riguardava solo i beni strumentali di cui all’elenco allegato all’atto e che, dunque, detti beni non dovevano essere indicati anche nell’elenco di quelli esclusi dal trasferimento da parte dell’art. 2, in coerenza con quanto peraltro dichiarato dall’imputato e con il riconoscimento, da parte della stessa Corte territoriale, che la RAGIONE_SOCIALE aveva incassato nell’anno 2013, da soggetti diversi dalla fallita RAGIONE_SOCIALE, la somma di 4.549,93 euro per rapporti insorti nell’anno 2013;
la pronuncia di secondo grado ha errato nel non riconoscere l’effettuazione, nell’anno 2013, da parte della RAGIONE_SOCIALE, di ulteriori prestazioni per il considerevole importo di euro 374.489,37, corrisposto da soggetti diversi dalla S.I.O., in mancanza di riscontri sulla circostanza che tali pagamenti si riferivano a prestazioni eseguite nelle annua!ità precedenti ed andando, dunque, dette fatture a corroborare la piena operatività della società nel predetto anno;
manifestamente illogico è anche il ragionamento della Corte territoriale in ordine al perché, se si trattava di un unitario centro di interessi, dato che la proprietà di entrambe le società era riferibile ad esso ricorrente, sarebbero stati effettuati i pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE, senza considerare che si tratta di soggetti giuridici distinti e che era emerso, anche nell’istruttoria orale con la teste dell’Agenzia delle entrate, a differenza di quanto evidenziato dalla sentenza impugnata, che gli importi corrisposti sarebbero andati a favore dell’Erario, quale principale creditore della stessa RAGIONE_SOCIALE.
2.2. Mediante il secondo motivo del ricorso l’imputato denuncia illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta integrazione del dolo specifico del reato di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui al capo b) dell’imputazione, costituito dalla finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, atteso che il preteso “vantaggio fiscale” derivato alla fallita dall’operazione era pari ad euro 82.485,19 , somma di gran lunga inferiore a quelle corrisposte, per l’importo di euro 438.605,04, al fine di beneficiare l’Erario verso il quale la RAGIONE_SOCIALE era indebitata. Talché l’operazione non lo avrebbe beneficiato nella veste di proprietario di entrambe le società.
Con memoria contenente motivi aggiunti il ricorrente chiede la declaratoria di non doversi procedere per il reato di cui all’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, di cui al capo b), stante l’intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile.
1.1. A riguardo occorre premettere, innanzi tutto, essendo evocato un vizio di motivazione, che le decisioni di merito costituiscono, nel giudizio in esame, una cd. “doppia conforme”, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (ex aliis, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01).
1.2. Inoltre, sempre su un piano generale, va ricordato che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione la “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944 – 01).
1.3. Alla luce dei richiamati principi, occorre considerare che le decisioni di merito hanno ricostruito la vicenda che ha interessato la società fallita e la RAGIONE_SOCIALE entrambe riconducibili al ricorrente, nei seguenti termini.
La società RAGIONE_SOCIALE, già alla fine dell’anno 2012, era gravata da ingenti debiti sicché l’Olivero aveva costituito la RAGIONE_SOCIALE anche allo scopo di ottenere, per un biennio, i previsti sgravi contributivi sul personale dipendente, nella sua interezza transitato alle dipendenze della società poi fallita.
In data 28 marzo 2013, contestualmente alla messa in liquidazione della RAGIONE_SOCIALE questa aveva ceduto alla fallita, come risulta dall’art. 2 del relativo contratto, il ramo d’azienda costituito da: tutte le poste attive e passive risultanti dalla situazione patrimoniale; i beni strumentali di cui all’elenco allegato; i fondi accantonati per il trattamento di fine rapporto del personale.
Era inoltre specificato il trasferimento dei contratti di prestazioni e di servizi in corso per l’esercizio del ramo d’azienda.
Dal complesso di tali elementi, la Corte territoriale ha dunque desunto, con motivazione non manifestamente illogica, con la quale il ricorrente si confronta solo in parte, che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto, per mancanza di personale e beni strumentali idonei, porre in essere nell’anno 2013, in favore della RAGIONE_SOCIALE prestazioni per il rilevante importo di euro 438.605,04 versato alla medesima e distratto, così, dalla fallita, assumendo che questa aveva effettuato tali esborsi per operazioni inesistenti, con conseguente distrazione delle relative somme.
La tenuta logica di questa motivazione non è inficiata dalle censure formulate nel ricorso.
Sotto un primo aspetto, quanto alla cesura afferente le fatture emesse nel gennaio 2013, la Corte d’Appello ha congruamente posto in rilievo che, trattandosi di acconti per prestazioni future, la società emittente non avrebbe potuto effettuare tali prestazioni, considerato che già nelle settimane successive era stata messa in liquidazione e non aveva più beni strumentali e risorse umane per fronteggiare tale commessa.
E, proprio l’assenza di beni e personale necessari per lo svolgimento dell’attività della RAGIONE_SOCIALE, si correla al vaglio, anche sotto tale aspetto plausibilmente argomentato dalla Corte d’Appello di Torino, nel senso che le fatture verso altri soggetti emesse nell’anno 2013 per la somma di euro 374.489,37 non potevano riferirsi al periodo in cui la società era in liquidazione, vieppiù alla luce della carenza assoluta di documentazione contabile di supporto e della mancanza di specifiche allegazioni dell’imputato a riguardo.
Né detto ragionamento è scalfito dal riconoscimento della possibilità per la società RAGIONE_SOCIALE di effettuare limitate prestazioni in favore di altri soggetti (per l’importo di euro 4.549,93), in quanto compatibili con la fase liquidatoria nella quale versava la società.
Alcuna attinenza con l’oggettiva distrazione di rilevanti somme dalla società poi fallita in danno dei relativi creditori hanno, inoltre, le considerazioni formulate nel ricorso quanto alla circostanza che delle somme versate alla stessa RAGIONE_SOCIALE, distinto soggetto giuridico con creditori diversi, avrebbe beneficiato essenzialmente l’Erario, essendo in discussione in questa sede il delitto di bancarotta distrattiva compiuto in danno della fallita società RAGIONE_SOCIALE
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che l’Olivero, cui erano riconducibili entrambe le società, ha consapevolmente esposto, avvalendosi, per quanto detto, di fatture per prestazioni inesistenti, nella dichiarazione elementi attivi fittizi, che, dovendosi ascrivere all’unitario centro di interessi costituito dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, hanno consentito all’imputato di ottenere, nel complesso, l’auspicata evasione di imposta.
A riguardo, anche di recente si è osservato, nella giurisprudenza di legittimità, che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti richiede, sotto il profilo soggettivo, il dolo generico, consistente nella consapevole indicazione, nelle dichiarazioni fiscali relative a imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di elementi passivi della cui fittizietà il soggetto agente sia certo o, comunque, accetti l’eventualità, nonché il dolo specifico di evasione, che rappresenta la finalità che deve animare la condotta del predetto, ma il cui concreto conseguimento non è necessario per
· GLYPH il perfezionamento del reato (Sez. 3, n. 37131 del 04/07/2024, COGNOME Rv 287020 – 01).
3.L’inammissibilità del ricorso comporta, quanto al motivo aggiunto, che non possa tenersi conto della prescrizione maturata, per il capo B), dopo formazione del giudicato di condanna con la sentenza di secondo grado (Sez. U, n. 40150 del 21/06/2018, COGNOME, Rv. 273552 – 01).
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, a sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2024 Il Consigliere Estensore COGNOME
Il Presidi’