Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3022 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3022 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VENEZIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/12/2022 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ricorso trattato ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020
Depositata in Cancelleria
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
131 sig. NOME COGNOME ricorre per l’annullamento della sentenza del 1 dicembre 2022 della Corte di appello di Trieste che ha confermato la condanna alla pena (principale) di otto mesi e dieci giorni di reclusione (oltre pe accessorie) irrogata con sentenza del 20 novembre 2019 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Pordenone, pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e da lui impugnata, per il reato di cui agli artt. 81, second comma, cod. pen., 2 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, al fine di evadere le imposte dirette, indicava nelle dichiarazioni annuali della società «RAGIONE_SOCIALE», di cui era il legale rappresentante, elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture emess dalla società «RAGIONE_SOCIALE» per operazioni inesistenti.
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in conseguenza della mancanza di motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di diritto a sostegno della affermazione della propr responsabilità, confermata dalla Corte di appello con motivazione per relationem.
La Corte di appello, afferma, si è limitata a disattendere i rilievi difensi richiamando acriticamente massime della Suprema Corte al fine di giustificare la piena consapevolezza dell’imputato della natura fittizia dei contratti di affitto azienda stipulati con la «RAGIONE_SOCIALE», considerato che, secondo i Giudici distrettuali, il mancato pagamento dei canoni di affitto mensili era circostanza da lui chiaramente verificabile.
1.2.Con il secondo motivo deduce l’insussistenza del reato di cui all’art. 2 d.lgs. n 74 del 2000, ed il malgoverno sostanziale della relativa fattispecie i relazione tanto al profilo oggettivo che a quello soggettivo. Osserva che il contratto di affitto è lecito ed effettivo e che, al più, potrebbe configurarsi forma di elusione fiscale, priva di penale rilevanza. Aggiunge di essere stato nomiNOME amministratore nel 2013, dopo l’emissione della fattura del marzo 2012, e che dagli atti non emerge in alcun modo che egli fosse il deus ex machina dell’intera operazione, né che avesse reclutato soggetti compiacenti.
1.3.Con il terzo motivo deduce l’erronea applicazione dell’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, sotto il profilo della erronea applicazione della confisca pe equivalente introdotta in epoca successiva al reato per il quale si procede.
2.11 ricorso è inammissibile perché generico e manifestamente infondato.
3.0sserva il Collegio:
3.1.dopo aver spiegato (da pagina 1 a pagina 8 del ricorso) l’importanza della motivazione dei provvedimenti giudiziari, la cui obbligatorietà, ricorda il
ricorrente, è sancita anche dalla Carta costituzionale, con il primo motivo lamenta, in poche righe (sette) di pagina 8, l’acritico richiamo da parte del Corte di appello alle massime della Corte di cassazione per spiegare perché egli era consapevole della natura fittizia dei contratti di affitto di azienda stipulato RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE;
3.2.in realtà, alle pagine 8 e 9, la sentenza impugnata argomenta ampiamente le ragioni della piena consapevolezza dell’imputato della natura fittizia delle fatture emessa dalla RAGIONE_SOCIALE affermando che: a) al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2012 (29/12/2013) il COGNOME era già legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE da alcuni mesi; b) il mancato pagamento delle fatture era circostanza da lui chiaramente verificabile anche perché la proprietaria delle mura veniva pagata direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE e non dalla RAGIONE_SOCIALE; c) anche nella dichiarazione relativa all’anno 2013 (29/12/2014) era stata indicata la fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo d affitto di azienda che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai pagato, avendo anzi ella pagato direttamente alla società proprietaria delle mura il canone di locazione dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE;
3.3.più in generale, la Corte di appello spiega che la inesistenza delle prestazioni fatturate da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE deriva dal fatto che la prima aveva affittato i tre rami di azienda alla seconda per frapporre uno schermo in frode ai creditori, laddove la medesima attività era proseguita sempre negli stessi locali condotti in locazione da RAGIONE_SOCIALE e i relativi canoni venivano pagati da quest’ultima (che non pagava alla RAGIONE_SOCIALE. l’affitto di azienda);
3.4.in buona sostanza, secondo i Giudici di merito il contratto di affitto d azienda stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto gli stessi locali condotti in locazione dalla prima e nei quali veniva proseguita la medesima attività costituiva mero schermo giuridico per difendere l’impresa da prevedibili azioni volte alla riscossione (in primo luogo) dei debiti tributari;
3.5.questi argomenti sono totalmente negletti dal ricorrente sicché il ricorso è sul punto generico;
3.6.è infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945 – 01)
3.7. è totalmente infondato il secondo motivo;
3.8.I’istituto dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis I. n. 212 del che, per effetto della modifica introdotta dall’art. 1 del D.Lgs. n. 128 del 2015 esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili – ha
applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo d documentazione falsa di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie pena connotate da tali elementi costitutivi (Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017, COGNOME, Rv. 270550 – 01; Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 264950 – 01);
3.9.nel caso di specie, con motivazione esente da sbavature logiche e aderente alle prove il cui travisamento il ricorrente nemmeno deduce, la Corte di appello, per le ragioni già sopra indicate, ha ritenuto la inesistenza del prestazioni fatturate, a nulla rilevando che il ricorrente possa essere u prestanome (deduzione fattuale nuova e che semmai corrobora la natura di schermo giuridico della società da lui amministrata);
3.10.è manifestamente infondato anche l’ultimo motivo di ricorso;
3.11.I’intervenuta abrogazione, ad opera del D.Lgs. n. 158 del 2015, dell’art. 1 comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, che disponeva la confisca dei beni che costituiscono il profitto od il prezzo del reato ovvero, quando la stessa non è possibile, la confisca per equivalente, non determina il venir meno delle misure ablatorie disposte sulla base della suddetta norma, atteso che il nuovo art. 12 bis D.Lgs. n. 74 del 2000, introdotto dallo stesso D.Lgs. n. 158 del 2015, riproduce il contenuto della disposizione abrogata e si pone in continuità con la stessa (Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, COGNOME, Rv. 268386 – 01; Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, COGNOME, Rv. 267764 – 01; Sez. 3, n. 23737 del 28/04/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 267383 – 01; Sez. 3, n. 19600 del 21/04/2023, COGNOME, n.m.; Sez. 3, n. 19595 del 29/03/2023, COGNOME, n.m.);
3.12.alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 10/10/2023.