Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22470 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22470 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nata a Genova il 03/10/1977; NOMECOGNOME nato a Savona, il 05/01/1971; NOME, nata a Savona il 01/04/1977; avverso la sentenza del 21/05/2024 del Tribunale di Savona; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che la sentenza impugnata sia annullata con rinvio; udito il difensore, avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 maggio 2024, resa all’esito del giudizio abbreviato, il Tribunale di Savona ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati, per essere i reati a loro ascritti – art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, p
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NOME e COGNOME NOME, perché, al fine di consentire a NOME l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, emettevano fatture per operazioni inesistenti (capo A); art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per NOME perché, quale titolare della ditta individuale omonima, al fine di evadere le predette imposte, avvalendosi delle fatture per operazioni inesistenti emesse da NOME e COGNOME NOME, indicava nella dichiarazione annuale relativa all’esercizio 2019 fatture relative ad operazioni in tutto o in parte inesistenti pe complessivi euro 23.276,00 (capi B e C) – non punibili in ragione della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.
Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione.
2.1. Con un primo motivo di censura, si lamenta la carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata relativamente alle singole posizioni dei coimputati ed al restante materiale probatorio acquisito.
In particolare, si contesta che il Tribunale di Savona, in assenza di qualsivoglia autonoma valutazione, si sia limitato ad una mera riproduzione, nel corpo della decisione, del contenuto della nota redatta dalla polizia giudiziaria, riportandone pedissequamente alcuni stralci sul modello di una sentenza precedente, come testimoniato dal refuso presente nella prima riga di pag. 1 del provvedimento impugnato, ove si fa menzione di un soggetto – tale COGNOME – del tutto estraneo al presente procedimento. Secondo la prospettazione difensiva, i giudici di merito, dunque, avrebbero fatto mero ricorso alla tecnica del “copia e incolla”, senza alcun riferimento né alle difese articolate da ciascun imputato, né alle numerose incongruenze investigative ricavabili dagli atti di indagine, le quali, all’opposto, avrebbero certamente condotto ad una pronuncia assolutoria.
Parimenti, si contesta la mancata individualizzazione delle singole posizioni processuali degli imputati, essendosi il Tribunale limitato ad una motivazione meramente apparente, con l’effetto di ricondurre erroneamente la vicenda ad una responsabilità penale di tipo cumulativo. Nello specifico, si osserva che, in tal senso – sebbene in un primo momento la responsabilità per la contestata alterazione delle fatture sembri essere stata attribuita implicitamente ad un unico soggetto e ad un’unica mano – si sarebbe poi pervenuti all’applicazione generalizzata, per tutti gli imputati, della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., omettendo erroneamente di considerare che, in applicazione del criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, si sarebbe dovuto piuttosto pervenire ad un’assoluzione nel merito, quantomeno ai sensi dell’art. 530, scomma 2, cod. proc. pen.
La sentenza impugnata risulterebbe, pertanto, priva di un adeguato apparato motivazionale e argomentativo, limitandosi a riproporre i medesimi errori
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valutativi già posti in essere dalla polizia giudiziaria e debitamente segnalati dalla difesa sia nella consulenza tecnica di parte presentata dell’imputato NOMECOGNOME a cura del commercialista COGNOME NOME, sia nella memoria di cui all’art. 415-bis cod. proc. pen. delle coimputate, altresì preterrnettendo qualsivoglia considerazione anche rispetto ai dubbi manifestati dallo stesso Pubblico Ministero in merito alla sussistenza della responsabilità penale delle imputate.
2.2. In secondo luogo, si denunciano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, avuto riguardo alla valutazione di non credibilità dell’imputato NOME e alla riconducibilità delle asserite correzioni delle fatture alle due coimputate, NOME e NOME.
A parere della difesa, infatti, i giudici di merito avrebbero valutato contraddittoriamente il materiale dichiarativo acquisito agli atti, allorché, pur ritenendo inizialmente del tutto attendibili le dichiarazioni rese dal COGNOME in merito alla natura e al valore economico dei rapporti professionali intercorsi con le coimputate, ne avrebbero poi escluso la credibilità senza alcuna motivazione specifica. Il giudice dell’udienza preliminare, dunque, avrebbe basato l’intera decisione su una comunicazione di notizia di reato originata esclusivamente dalle dichiarazioni di un unico soggetto, valutate tuttavia in modo contraddittorio, perché contemporaneamente ritenute attendibili e inattendibili, senza che sia stata fornita alcuna spiegazione al riguardo.
Non risponderebbe al vero, inoltre, quanto affermato in sentenza circa l’incoerenza degli importi delle sei ricevute in contestazione, rispetto a quelli delle altre fatture emesse nel corso del 2019 dalle medesime professioniste. Tali somme, infatti, corrisponderebbero ai compensi effettivi per le prestazioni svolte nei mesi di aprile e di maggio 2019, allorquando – diversamente dagli anni precedenti – le due coimputate sarebbero state chiamate a svolgere mansioni ulteriori, diverse e di maggiore complessità rispetto alle consuete attività conservative e di igiene dentale, rese necessarie dall’assenza del titolare dello studio, come documentato attraverso i titoli di viaggio prodotti dal coimputato. Alla luce di tali circostanze, dunque, gli importi più elevati delle ricevute emesse non dovrebbero essere ricondotti a condotte di sovrafatturazione, trovando piuttosto giustificazione nell’effettiva esecuzione di un maggior numero di prestazioni e nella loro maggiore complessità, con esiti positivi anche sul piano economico.
Si censura, infine, l’omessa considerazione, da parte del giudice, delle singole posizioni delle coimputate alla luce dell’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000. Sebbene sia stato affermato che le presunte modifiche alle ricevute sarebbero state materialmente eseguite da un’unica persona e nonostante si sia dato
espressamente atto della circostanza che anche il Pubblico Ministero avrebbe riconosciuto l’impossibilità di individuare con chiarezza le responsabilità ascrivibil alle due professioniste, il fatto di reato in contestazione, ancorché ritenuto di particolare tenuità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., sarebbe stato attribuito i modo indistinto a tutti gli imputati.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, si censurano l’omesso esame delle prove a discarico prodotte dalla difesa e la mancata valutazione, da parte dei giudici di merito, delle tesi difensive prospettate nella documentazione di parte, successiva alla comunicazione della notizia di reato del 1° giugno 2022.
2.3.1. I giudici di merito non avrebbero considerato la consulenza tecnica di parte prodotta dall’imputato COGNOME, nonostante essa contenesse elementi idonei ad escludere qualsivoglia responsabilità penale. In essa, il consulente aveva chiarito che lo studio dentistico del COGNOME operava in regime di “contabilità semplificata”, che non impone l’obbligo di utilizzare conti correnti dedicati esclusivamente all’attività professionale; di talché, un’analisi basata sui movimenti bancari e sulla contabilità non avrebbe potuto rappresentare la totalità delle operazioni finanziarie dello studio, rendendo dunque inattendibili le valutazioni svolte dalla Guardia di finanza sui flussi di denaro e sull’utilizzo del contante. Si evidenziava, inoltre, ch le ricevute fiscali nn. 665 e 504 non risultavano neppure inserite nel documento informatico, mentre le ulteriori ricevute fiscali in contestazione nn. 429, 532 e 603 risultavano inserite nel suddetto file con lo stesso ammontare effettivamente esposto nel documento fiscale.
Secondo la difesa – contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di primo grado in relazione al compenso delle coimputate in misura pari al 30% del fatturato del Penè – il consulente aveva anche chiarito che il criterio effettivamente concordato si basava esclusivamente sul valore dei piani di cura dei pazienti trattati e non anche sul valore delle singole fatture emesse, altresì sottolineando che il ricorso a pagamenti misti (in parte tramite bonifico, in parte in contanti) era dovuto ad esigenze contingenti, ricorrenti soprattutto a ridosso della chiusura dell’anno fiscale, quando le disponibilità liquide presenti sul conto bancario risultano generalmente ridotte a causa del versamento delle imposte di fine anno. Tale prassi, pertanto, lungi dal costituire un indizio di sovrafatturazione, rappresenterebbe un mero dato di fatto storicizzato, giustificato dall’intento di evitare esposizioni bancarie eccessive, come confermato dal saldo negativo del conto corrente al 31 dicembre 2019, a fronte di una consistente disponibilità in contanti. Secondo la difesa, peraltro, gli organi accertatori non avrebbero fornito alcuna prova in merito a presunte retrocessioni o restituzioni in denaro da parte dell’imputato ai soggetti emittenti, mancando parimenti di individuare elementi
dimostrativi della corresponsione di un compenso a questi ultimi per l’assunzione di un preteso rischio penale.
Ad ulteriore conferma della non fondatezza della prospettazione accusatoria, la consulenza avrebbe, infine, dimostrato – mediante apposite tabelle comparative – che, anche negli anni successivi, si sarebbero registrate oscillazioni tra i fatturato dei collaboratori ed il 30% del fatturato dello studio, talvolta co scostamenti anche di segno opposto rispetto a quelli contestati nel caso di specie, così evidenziando la totale casualità della presunta coincidenza valorizzata a fini accusatori.
2.3.2. In secondo luogo, non si sarebbe debitamente considerata la memoria presentata dalla difesa di NOME e NOMECOGNOME con la quale si ribadiva l’effettiva esistenza delle operazioni sottese alle fatture contestate e l congruità degli importi fatturati rispetto alla qualità e quantità delle prestazio professionali rese. In tale atto si evidenziava, altresì, che non era emersa alcuna prova circa la restituzione di somme corrispondenti all’ipotetico maggior carico fiscale sostenuto, né, ancora una volta, l’esistenza di una forma di compenso da parte del beneficiario volto a retribuire l’emittente per l’assunzione del rischi penale. Si sottolineava, inoltre, che le due coimputate avevano regolarmente dichiarato e versato le imposte dovute, anche con riferimento alle ricevute oggetto di contestazione, costituendo tale circostanza l’unico dato certo emerso dagli atti. Con riguardo alla presunta presenza di correzioni o integrazioni sulle ricevute fiscali, invece, si precisava come la redazione manuale di tali documenti costituisse un adempimento espressamente previsto per gli esercenti la professione medica, ai quali non è richiesto l’utilizzo di particolari formalità.
Secondo la difesa, peraltro, i giudici di merito avrebbero operato un’indebita inversione dell’onere della prova, affermando che l’imputato non avrebbe dimostrato l’effettivo trasferimento delle somme in contanti; tanto più che, nel 2019, il d.lgs. n. 231 del 2007 consentiva pagamenti in contanti fino alla soglia di 3.000,00 euro, e che non risulta essere stata contestata al titolare dello studio alcuna violazione di natura amministrativa in materia valutaria.
Né, infine, sarebbe stato adeguatamente considerato il rilievo delle osservazioni difensive riguardanti la mancata acquisizione della dichiarazione fiscale relativa al periodo d’imposta in cui si sarebbe realizzato l’asserito utilizz delle fatture per operazioni inesistenti, circostanza che rende ancora più evidente l’insussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato ipotizzato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
1.1. Il primo motivo di censura, relativo alla carenza assoluta di motivazione della sentenza impugnata relativamente alle singole posizioni dei coimputati ed al restante materiale probatorio acquisito, è inammissibile, perché in parte generico e in parte manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, infatti, il provvedimento impugnato, senza operare una mera adesione alla comunicazione di notizia di reato, ha analizzato in modo congruo il materiale probatorio acquisito agli atti, tenendo automaticamente conto delle diverse posizioni dell’imputato COGNOME da un lato, e delle coimputate COGNOME e COGNOME dall’altro, opportunamente aggiungendo – imputato per imputato – ancorché sinteticamente, le analitiche valutazioni di merito, le argomentazioni logiche, le considerazioni giuridiche, idonee. Nel corpo della doglianza, peraltro, non viene indicato neppure uno dei passaggi valutativi della c.n.r. che contrariamente al consentito, sarebbero stati impiegati in sede decisionale. La difesa di parte ricorrente, in altre parole, non dimostra mai l’effettiva, piena, aderenza della motivazione all’informativa di polizia giudiziaria – che non richiama puntualmente e nemmeno produce – limitandosi, piuttosto, a censurare la presunta mancata considerazione delle doglianze difensive, senza tuttavia contestare mai l’effettivo apparato argomentativo della decisione; così dunque precludendo qualsivoglia sindacato sul punto.
I giudici di primo grado, infatti, hanno espressamente esaminato le posizioni di ciascun singolo imputato, fondando il proprio autonomo convincimento sull’analitica disamina del materiale investigativo, costituito dalle ricevut rilasciate da COGNOME NOME e COGNOME NOME, dal partitario n. 68/10/20 intestato al COGNOME NOME, nonché dalle dichiarazioni da costoro rilasciate; di talché, anche a voler accedere alla prospettazione difensiva, risulta evidente che i giudici di primo grado abbiano utilizzato la comunicazione di notizia di reato della Guardia di Finanza esclusivamente con riguardo alle parti narrative, oggettive (riferite cioè ai flussi finanziari), evidentemente ritenute talmente chiare, nei lor caratteri descrittivi, da non meritare particolari commenti. In tema di motivazione della sentenza, del resto, è legittimo il ricorso alla tecnica redazionale del richiamo, laddove agevoli la riproduzione della fonte contribuendo ad evitarne il travisamento, quando sia accompagnata dalla dovuta analisi dei contenuti e dall’esplicitazione delle ragioni alla base del convincimento espresso in sede decisoria (ex multis, Sez. 2, n. 13604 del 28/10/2020, dep. 2021, Rv. 281127).
1.2. Il secondo motivo di doglianza – con il quale si denunciano la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento gravato, avuto riguardo alla valutazione di non credibilità dell’imputato NOME e alla riconducibilità delle asserite correzioni delle fatture alle du coimputate, NOME e NOME – è anch’esso inammissibile.
La prospettazione difensiva, infatti, non contesta mai la principale ratio decidendi del provvedimento gravato, che fa specifico riferimento alle falsità materiale delle ricevute emesse dalle due professioniste a favore del coimputato NOMECOGNOME Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, la motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, appare logica e congruente, essendo fondata su dati oggettivi puntualmente richiamati alle pagg. 1-2, afferenti alle evidenti integrazioni apportate agli importi delle ricevute modificate manualmente e sempre nel senso di un incremento pari ad euro 3.000,00, rispetto al valore originario; modifiche che, in maniera non manifestamente illogica, sono state ritenute incompatibili con i restanti compensi fatturati nel corso del medesimo anno dalle imputate, coerenti, invece, con gli importi originari. Come correttamente rilevato dai giudici di primo grado, del resto, dalla disamina delle ricevute rilasciate dalle due coimputate al Penè è emerso con evidenza che: la ricevuta n. 532 del 1° gennaio 2019, d’importo originario pari ad euro 473,00 è stata rideterminata in euro 3.473,00; la ricevuta n. 603 del 31 ottobre 2019, d’importo originario pari ad euro 526,00 è stata rideterminata in euro 3.526,00; la ricevuta n. 665 del 2 dicembre 2019, d’importo originario pari ad euro 760, è stata rideterminata in euro 3.760,00; la ricevuta n. 429 del 1° ottobre 2019, d’importo pari ad euro 1.120,00, è stata rideterminata in euro 4.120,00; la ricevuta n. 504 del 2 dicembre 2019, d’importo originario pari ad euro 521,00 è stata rideterminata in euro 4.521,00, mentre quella n. 538 del 30 dicembre 2019, d’importo originario pari ad euro 886,00, è stata rideterminata in euro 3.886,00. E non è manifestamente illogico ritenere che tali alterazioni siano in realtà preordinate ad una sistematica ed indebita sovrafatturazione a favore del ricevente NOME tenuto peraltro conto che proprio la differenza tra l’importo originario e quello corretto risulta essere stata versata in contanti, pe somme inferiori alla soglia di euro 3.000,00 – nello specifico, pari ad euro 2.998,00 – verosimilmente allo scopo di evitare eventuali violazioni di natura valutaria, come evidenziato dal trattenimento dei 2.00 euro per l’imposta di bollo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, peraltro, la dedotta contraddittorietà nella valutazione delle dichiarazioni rese dal coimputato COGNOME non trova riscontro nel testo del provvedimento impugnato, il quale, in maniera del tutto corretta e logica, ha ritenuto attendibile quando dichiarato dal medesimo limitatamente alla sussistenza, alla natura ed al valore economico dei rapporti intercorrenti con le due coimputate, ed inattendibili le dichiarazioni spontanee rese nell’ambito dell’interrogatorio, ben potendo l’imputato essere ritenuto non credibile quanto alle ragioni giustificatrici della contestata sovrafatturazione ed a contempo attendibile in ordine all’effettivo rapporto di natura professionale intercorrente con le coimputate.
Le predette censure si risolvono, dunque, in una non consentita rilettura del materiale probatorio, come tale preclusa in sede di legittimità.
1.3. Anche la terza doglianza – riferita all’omesso esame delle prove a discarico prodotte dalla difesa nonché alla mancata valutazione, da parte dei giudici di merito, delle tesi difensive prospettate nella documentazione di parte, successiva alla comunicazione della notizia di reato del 10 giugno 2022 – deve, infine, essere dichiarata inammissibile, risolvendosi in una diversa valutazione di merito delle risultanze probatorie, non consentita in questa sede.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, invero, in tema di motivazione della sentenza, è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del proprio convincimento, così da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata, essendo irrilevante il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame ove essa sia disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, posto che non è necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi disattese, ma è sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione, senza lasciare spazio ad una valida alternativa (ex multis, Sez. 3, n. 3239 del 04/10/2022, dep. 2023, Rv. 284061)
Ebbene, nel caso di specie, la sentenza impugnata, pur senza soffermarsi analiticamente sugli scritti difensivi e sulla consulenza tecnica depositata, ha comunque illustrato con argomentazioni congrue e non manifestamente illogiche le ragioni poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, debitamente valorizzando il quadro probatorio emerso dalle indagini della Guardia di Finanza – valgono sul punto le considerazioni al riguardo già svolte sub 1.1. e 1.2. – di talché è dalla complessiva trama argomentativa del provvedimento impugnato che emerge, ancorché implicitamente, l’irrilevanza della consulenza tecnica di parte e della memoria difensiva presentata ai sensi dell’art. 415-bis cod. proc. pen., le quali rappresentano, nuovamente, una riproposizione della non credibile prospettazione difensiva, perché nulla apportano al quadro istruttorio se non il tentativo di una sua rilettura.
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in C 3.000,00.
P. Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 13/03/2025.