LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Fatture false: quando il ricorso è inammissibile

Un imprenditore, condannato per l’utilizzo di fatture false, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando vizi procedurali, l’errata valutazione delle prove basata su presunzioni fiscali e la mancata applicazione delle nuove pene sostitutive. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le prove della falsità schiaccianti e non meramente presuntive. Inoltre, ha chiarito che le pene sostitutive richiedono una specifica istanza dell’imputato, che in questo caso non era stata presentata, confermando così la condanna e la confisca del profitto illecito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture False: La Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso

Con la sentenza n. 10233/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di reati tributari, fornendo importanti chiarimenti sulla valutazione delle prove in materia di fatture false e sui nuovi obblighi procedurali legati alle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia. La decisione sottolinea come la solidità degli elementi indiziari possa rendere superflua la rinnovazione del dibattimento e come l’accesso a sanzioni alternative richieda un’iniziativa esplicita della difesa.

I Fatti del Processo

Un imprenditore veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, previsto dagli articoli 2 e 8 del D.Lgs. 74/2000. La Corte di Appello di Torino, pur confermando la responsabilità penale, aveva parzialmente riformato la prima sentenza, riconoscendo le attenuanti generiche e rideterminando la pena finale. Contro questa decisione, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, basandolo su quattro distinti motivi.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa dell’imputato ha sollevato diverse censure contro la sentenza d’appello:

1. Mancata rinnovazione dell’istruttoria: Si lamentava la mancata motivazione sul rigetto della richiesta di ascoltare due testimoni che, a dire della difesa, avrebbero potuto confermare l’effettiva esecuzione delle prestazioni fatturate.
2. Valutazione delle prove: Si sosteneva che la condanna fosse fondata unicamente su presunzioni tributarie derivanti da un verbale di accertamento, senza un’adeguata valutazione critica richiesta dall’art. 192, comma 2, del codice di procedura penale.
3. Mancata applicazione delle pene sostitutive: Si contestava alla Corte d’Appello di non aver valutato l’applicazione delle pene sostitutive, introdotte dalla Riforma Cartabia (D.Lgs. 150/2022), nonostante la pena inflitta (tre anni) rientrasse nei limiti previsti.
4. Erronea determinazione del profitto: Si criticava il calcolo della somma da confiscare, sostenendo che, se i costi erano fittizi, anche la relativa base imponibile IVA doveva essere considerata tale.

L’Analisi delle Prove sulle Fatture False

La Cassazione ha respinto il primo e il secondo motivo, giudicandoli inammissibili. I giudici di legittimità hanno evidenziato che la decisione dei giudici di merito non si basava su mere presunzioni, ma su un solido quadro probatorio composto da plurimi elementi fattuali. Tra questi, spiccavano:

* L’assenza di qualsiasi formalizzazione dei rapporti commerciali tra le società.
* La totale mancanza di tracce dei pagamenti delle fatture contestate.
* La grossolanità delle fatture stesse rispetto a quelle emesse verso altri clienti.

Questi elementi, secondo la Corte, erano più che sufficienti a dimostrare l’inattività sia dell’ente emittente sia della società utilizzatrice, e quindi la natura fittizia delle operazioni. Di conseguenza, la richiesta di nuove testimonianze è stata correttamente ritenuta non indispensabile e non decisiva, rendendo legittimo il rigetto della rinnovazione dell’istruttoria.

La Questione delle Pene Sostitutive (Riforma Cartabia)

Particolarmente rilevante è la statuizione sul terzo motivo. La Suprema Corte ha chiarito che l’applicabilità delle pene sostitutive brevi, ai sensi dell’art. 20-bis c.p.p., nei processi pendenti in appello al momento dell’entrata in vigore della Riforma Cartabia, è subordinata a una richiesta esplicita dell’imputato. Tale richiesta deve essere formulata al più tardi durante l’udienza di discussione.

Nel caso di specie, la difesa non aveva avanzato alcuna richiesta in tal senso. La Corte ha quindi stabilito che il giudice d’appello non ha alcun obbligo di sollecitare le parti a prestare il consenso né di motivare la mancata applicazione delle sanzioni alternative in assenza di un’istanza formale. L’onere di attivarsi, pertanto, ricade interamente sulla parte interessata.

La Determinazione del Profitto da Confiscare

Anche il quarto motivo è stato dichiarato inammissibile per genericità. I giudici hanno osservato che la sentenza di primo grado aveva correttamente quantificato il profitto confiscabile nell’imposta evasa, includendo IRPEF, addizionali, IRAP e IVA. La censura difensiva è stata ritenuta una mera asserzione, priva del necessario supporto probatorio e in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale della normativa tributaria: l’IVA è dovuta anche per le fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. Le motivazioni si fondano sulla coerenza e logicità della sentenza impugnata, che ha basato la condanna su un complesso di prove fattuali gravi, precise e concordanti, superando il livello della mera presunzione tributaria. La Corte ha inoltre precisato i limiti del sindacato di legittimità sulla valutazione delle prove e ha delineato con chiarezza gli oneri procedurali a carico della difesa per poter beneficiare delle nuove pene sostitutive.

Conclusioni

La sentenza in commento offre due importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce che la prova della commissione di reati fiscali legati a fatture false può legittimamente fondarsi su un insieme di indizi logici e convergenti, che vanno oltre il semplice accertamento amministrativo. In secondo luogo, fornisce un’interpretazione chiara delle norme transitorie della Riforma Cartabia, stabilendo che l’accesso alle pene sostitutive non è un automatismo, ma richiede un’esplicita e tempestiva richiesta da parte dell’imputato, il cui silenzio non può essere supplito d’ufficio dal giudice.

Una condanna per l’uso di fatture false può basarsi solo su accertamenti fiscali?
No, la Corte ha chiarito che la condanna non si basava su mere presunzioni tributarie, ma su un insieme di elementi fattuali concreti e concordanti (assenza di pagamenti, di rapporti commerciali, grossolanità delle fatture) che, valutati logicamente, dimostravano la falsità delle operazioni.

Il giudice d’appello è obbligato a proporre l’applicazione delle pene sostitutive introdotte dalla Riforma Cartabia?
No. La sentenza stabilisce che, per i processi in corso, l’applicazione delle pene sostitutive è subordinata a una richiesta esplicita dell’imputato, da presentare al più tardi durante l’udienza di discussione. In assenza di tale richiesta, il giudice non ha alcun dovere di sollecitare le parti o di motivare la mancata applicazione.

In caso di fatture false, l’IVA non versata viene inclusa nel profitto da confiscare?
Sì. La Corte ha confermato la correttezza della confisca che includeva l’importo dell’IVA. Secondo la normativa tributaria, l’imposta sul valore aggiunto è dovuta anche in caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti, e pertanto costituisce parte del profitto del reato da confiscare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati