Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25454 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25454 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nata a Reggio Emilia il 29/01/1980, avverso la sentenza del 19/11/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME del foro di Reggio Emilia, difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 08/01/2024, il Tribunale di Milano condannava NOME COGNOME alla pena di due anni di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74/2000, avendo costui, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, nel periodo dal 30/09/2018 al 30/04/2019, per un ammontare pari ad euro 218.599,00 nel 2018 e ad euro 186.538,00 nel 2019, applicando le pene accessorie di legge.
Con sentenza del 19/11/2024, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, NOME COGNOME tramite il difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., per insufficienza e/o comunque illogicità della motivazione.
Deduce la difesa di aver prodotto, nel giudizio di primo grado, atti di altro procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Parma, segnatamente richiesta di applicazione di misure cautelari personali e reali del 12/03/2020 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Parma nei confronti dell’imputato e l’informativa a sostegno di tale richiesta, laddove era stato scritto che, a differenza delle altre società cartiere, non esercenti attività economica reale, la RAGIONE_SOCIALE, negli anni oggetto di indagine 2019-2021, aveva esercitato realmente attività di impresa nel settore di pertinenza (pulizie), anche se, parallelamente, aveva emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti relative ai settori di lavori di meccanica, carpenteria metallica, noleggio.
Di tale produzione documentale che avrebbe posto in evidenza come le asserite false fatture in realtà non fossero tali, il giudice di primo grado non ne aveva confutato le conclusioni, limitandosi ad affermare come detti atti non avessero inficiato le conclusioni sulla ritenuta responsabilità penale dell’imputato.
La Corte di appello, altrettanto illogicamente, si era limitata a confermare la sentenza di primo grado, affermando del tutto astrattamente ed insufficientemente che i requisiti motivazionali in ordine alla produzione difensiva sarebbero stati adeguatamente assolti, senza argomentare sul perché le produzioni difensive non fossero attendibili e ragionevoli, così integrando il vizio motivazionale per mancanza di completezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato perché generico.
Occorre a tal fine premettere che, nel caso in esame, ricorre la cd. “doppia conforme”, poichè la sentenza di appello, nella sua struttura argonnentativa, si salda con quella di primo grado, richiamandosi ad essa e adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale.
Tanto premesso, il giudice di primo grado ha illustrato, senza vizi logici, come la RAGIONE_SOCIALE, fiscalmente inattiva ed inadempiente rispetto agli obblighi dichiarativi, oltre ad essere priva di utenze, avesse, nel periodo contestato in imputazione, un unico dipendente, con emissione di fatture per ingenti importi nei confronti di 239 soggetti, senza che ad esse corrispondessero fatture di fornitori. Per altro verso, le attività di pulizia e manutenzione di impianti svolte dalla RAGIONE_SOCIALE erano incompatibili con l’attività che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva (somministrazione di manodopera) in assenza, peraltro, del previo rilascio delle autorizzazioni necessarie e di una reale sede operativa ove sarebbe stato possibile effettuare i servizi genericamente indicati nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE (“lavorazione eseguita presso i vostri cantieri”), società quest’ultima che aveva operato, proprio nell’anno 2018, in regime di evasione totale d’imposta, non avendo presentato le dichiarazioni fiscali, né le comunicazioni di liquidazione periodica dell’IVA, né ancora i bilanci.
A fronte delle circostanze esposte, i giudici di merito, con logica linearità, sono pervenuti alla conclusione che la RAGIONE_SOCIALE funzionasse per il periodo contestato in imputazione come una società cartiera priva di reale consistenza aziendale, emettendo fatture relative ad operazioni inesistenti allo scopo di consentire ad altri soggetti, segnatamente alla RAGIONE_SOCIALE, di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Né la difesa del ricorrente, che si duole del mancato esame della documentazione di altro procedimento penale in cui era emerso che la RAGIONE_SOCIALE, negli anni 2019-2021, aveva esercitato realmente attività di impresa nel settore di pertinenza (pulizie), pur avendo emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti nel settore delle manutenzioni, ha fornito spiegazioni in ordine alle plurime e gravi anomalie individuate dagli accertatori e poste a base della fattispecie di reato contestata, non confrontandosi integralmente con gli argomenti contenuti nelle sentenze di merito; né ha spiegato se i periodi di imposta presi in considerazione nei due procedimenti penali fossero sovrapponibili, considerato che il periodo preso in esame nel presente
?
procedimento (30/09/2018-30/04/2019) riguarda solo i primi mesi del 2019; né
ancora ha spiegato, sostenendo un’ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, come potesse escludersi il dolo nel fornire un
servizio di pulizie per importi così significativi (genericamente riferiti a cantieri d lavoro) nei confronti di una società priva di sede operativa e svolgente attività di
somministrazione di manodopera senza autorizzazione, come affermato dai giudici di merito.
In definitiva, il motivo di ricorso è generico in quanto non si confronta con gli elementi probatori esposti dai giudici territoriali nelle due conformi sentenze
di merito.
2. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze formulate, il ricorso proposto nell’interesse del ricorrente deve essere dichiarato
inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente stesso, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13
giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/05/2025