Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30159 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che con sentenza del 16/6/2023 la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia emessa il 24/2/2021 dal Tribunale di Rimini, dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 2, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74, limiitatamente all’anno di imposta 2011, per essere estinto per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena per il medesimo delitto quanto alla residua annualità.
Rilevato che propone ricorso per cassazione l’imputato, contestando il vizio di motivazione con riguardo agli specifici motivi di gravame sollevati (ed integralmente riportati) quanto alla prova della inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni fatturate; non potrebbe escludersi, infatti, che le prestazioni fossero in realtà avvenute tra soggetti diversi rispetto a quelli indicati, così come mancherebbe la prova che l’imputato fosse stato a conoscenza dell’inesistenza soggettiva delle operazioni. E’ censurata, poi, l’assoluta mancanza di motivazione sul motivo di appello in punto di confisca.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché – riproponendo nel primo motivo le medesime censure avanzate alla Corte di appello – tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita lettura delle stesse emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole invero preclusa alla Corte di legittimità.
La doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello – pronunciandosi proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato che l’inesistenza oggettiva delle prestazioni fatturate (con documenti poi inseriti dal ricorrente nelle dichiarazioni dei redditi della propria d individuale) risultava da plurimi elementi: l’emittente “RAGIONE_SOCIALE“, infatti, era priva di struttura, di effettiva sede, di mezzi, di dipendent non aveva mai presentato dichiarazioni a fini fiscali. Inoltre, le timbrature apposte sulle fatture destinate ai vari apparenti clienti (compresa la ditta del ricorrente presentavano GLYPH caratteristiche GLYPH all’evidenza GLYPH diverse, GLYPH così GLYPH confermandosi ulteriormente la natura fittizia degli stessi documenti. Ebbene, a fronte di questi dati oggettivi, il ricorso si limita ad affermare che non poteva escludersi che le prestazioni fossero state in realtà effettuate tra soggetti diversi, così introducendo un argomento puramente teorico e congetturale che la Corte di appello correttamente – non ha preso in esame, a fronte di univoci elementi nei termini appena richiamati.
4.1. Considerato poi, quanto al dolo del reato, che questo è stato riconosciuto in sentenza ancora con motivazione non censurabile, in forza dell’inserimento del ricorrente in un collaudato sistema fraudolento, creato al solo fine di emettere fatture attestanti prestazioni mai svolte, con evidente finalità evasiva. Finalità che – con motivazione del tutto adeguata e priva di vizi – è stata dunque riscontrata anche in capo al ricorrente, anche alla luce dei rilevanti imponibili (e conseguente IVA) oggetto delle false fatturazioni, come riportati nei capi di imputazione.
Rilevato che anche il secondo motivo di ricorso è del tutto infondato.
5.1. La Corte di appello ha correttamente confermato la confisca per equivalente (riducendone l’importo alla luce dell’annualità dichiarata prescritta). Ebbene, la costante giurisprudenza di legittimità afferma che in tema di reati tributari, l’intervenuta abrogazione, ad opera del d. Igs. n. 158 del 2015, dell’art. 1 comma 143, I. 24 dicembre 2007, n. 244, che disponeva la confisca dei beni che costituiscono il profitto od il prezzo del reato ovvero, quando la stessa non è possibile, la confisca per equivalente, non determina il venir meno delle misure ablatorie disposte sulla base della suddetta norma, atteso che il nuovo art. 12-bis d. Igs. n. 74 del 2000, introdotto dallo stesso d. Igs. n. 158 del 2015, riproduce il contenuto della disposizione abrogata e si pone in continuità con la stessa (per tutte, Sez. 3, n. 23737 del 28/4/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 267383). Ancora, in materia di reati tributari, sussiste continuità normativa – e non si pone pertanto alcuna questione di diritto intertemporale – tra il reato di cui all’art. 1 bis, comma secondo, citato, che prevede la confisca per equivalente dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato e la fattispecie prevista dall’art. 32 ter cod. pen., richiamato dall’art. 1, comma 143, citato (per tutte, Sez. 3, n. 35226 del 16/6/2016, COGNOME, Rv. 267764). 6. Rilevato, pertanto, che il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 21 giugno 2024
Il .2.sigliere estensore