Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5699 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5699 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato in Albania il 04/08/1984; avverso la sentenza del 26/10/2023 della Corte di appello di Genova; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la relazione del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del -26 ottobre 2023, la Corte di appello di Genova ha confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del GUP del Tribunale di Imperia, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e la continuazione, per reati di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, quale titolare di °ditta individuale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al
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fine di evadere le imposte, indicato nelle dichiarazioni IVA e imposte dirette relative agli anni dal 2015 al 2017, elementi passivi fittizi pari a euro 114.346,00 per il 2015, euro 37.660,00 per il 2016, euro 165.280,00 per il 2017, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti. La Corte di appello ha ridotto la pena a un anno e due mesi di reclusione, applicando le pene accessorie di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 74 del 2000, e determinando la durata di quelle temporanee in misura pari alla pena inflitta.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano il travisamento della prova e vizi della motivazione, in particolar modo nella valutazione del processo verbale di constatazione, in riferimento alla riconosciuta genericità dell’oggetto delle fatture e alla ritenuta regolarità delle stesse rispetto all’art. 21 del d.P.R. n. 63 del 1972, con conseguente loro idoneità alla realizzazione dell’evento di evasione. Nel caso di specie, si tratterebbe di documenti inidonei a sviare l’attività di accertamento, vista la loro irregolarità in relazione al citato art. 21, per l mancanza di certezza di quanto indicato nelle fatture stesse. Secondo la ricostruzione difensiva, in presenza di una solo generica identificazione dell’oggetto della prestazione non sarebbe configurabile il reato di quell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000.
2.2. In secondo luogo si lamenta la violazione dell’art. 135 cod. pen., per l’eccessività della pena applicata, non essendo stata considerata la sanzione pecuniaria già irrogata di euro 87.107,95, e in presenza delle circostanze attenuanti e di una positiva personalità del reo riconosciuta dalla Corte distrettuale.
2.3. La difesa ha depositato memoria con motivi aggiunti, con la quale insiste in quanto già dedotto, evidenziando come vi siano stati accordi di rateizzazione per gli anni di imposta in questione; con la conseguenza che il debito tributario sarebbe in corso di estinzione. Mancherebbe, in ogni caso, il pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale e la difesa chiede, dunque, il dissequestro delle somme oggetto di vincolo cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. La tesi difensiva secondo cui la mancanza dei requisiti di cui all’art. 21, comma 2, del d.P.R. 633 del 1972 – nel senso che i documenti utilizzati al fine di esporre elementi passivi fittizi in dichiarazione non sarebbero fatture – impedisce
la configurazione del reato dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 è manifestamente infondata. L’irregolarità del documento, quanto alla generica indicazione dell’oggetto della prestazione, non fa venire meno la sua natura di fattura e, dunque, la sua utilizzazione in dichiarazione configura pienamente la fattispecie penale per la quale qui si procede.
Nel caso di specie, i giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, hanno pacificamente individuato la fittizietà delle operazioni, in quanto portate da fatture emesse da un’impresa priva di personale, di mezzi, di regolare contabilità, di dichiarazioni a fini di imposta, e in mancanza di prova del pagamento integrale, oltre che di una contabilità specifica da parte della ditta dell’imputato, a fronte di inverosimili e contraddittorie spiegazioni circa i rapport commerciali asseritamente intercorsi.
Quanto alla prospettazione difensiva secondo cui le fatture sarebbero grossolanamente false e, come tali, non idonee a costituire il presupposto per la riduzione dei costi ivi indicati, la Corte d’appello evidenzia con chiarezza come tale grossolanità sia meramente asserita della difesa, a fronte di documenti pienamente riconducibili alla categoria dell’art. 21, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, posto che gli stessi riportavano espressamente la data, il numero progressivo, la denominazione e la partita Iva delle parti, l’oggetto, ancorché generico, della prestazione, i corrispettivi, l’aliquota applicabile. Nessuna grossolanità è dunque riscontrabile nel caso di specie, in cui i documenti sono stati considerati quali fatture anche dallo stesso ricevente e usati come tatini frodatori.
1.2. Del tutto generico è il secondo motivo di censura, riferito alla determinazione della pena, la quale è stata generosamente ridotta, pur a fronte di una pervicace attività frodatoria, essendo stata presa espressamente in considerazione la sanzione amministrativa già applicata, in un giudizio di congruità complessivo, che tiene conto degli importi delle imposte evase e della pluralità degli anni (pag. 6 della sentenza impugnata).
1.3. Le considerazioni che precedono precludono l’esame dei motivi nuovi di impugnazione proposti con la memoria difensiva, perché l’inammissibilità dei motivi principali si estende a questi ultimi (art. 585, comma 4, cod. proc. pen.).
Il ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato -che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/11/2024.