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Fatture false: quando il reato non è di lieve entità

La Corte di Cassazione conferma la condanna per l’uso di fatture false emesse da una ‘società cartiera’. I ricorsi degli imputati sono stati dichiarati inammissibili. La Corte ha ritenuto infondata sia la difesa sulla presunta realtà delle operazioni, sia la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, nonostante un’evasione IVA relativamente modesta.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture False: la Cassazione nega la lieve entità anche per evasioni modeste

L’utilizzo di fatture false rappresenta una delle pratiche più insidiose nel panorama dei reati tributari. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7546/2024) ha ribadito la gravità di questa condotta, chiarendo i limiti per l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Questo caso offre spunti cruciali per imprenditori e professionisti sulla valutazione del rischio penale legato alla gestione contabile e fiscale.

I Fatti: La Contestazione di Utilizzo di Fatture False

Il caso ha visto protagonisti i legali rappresentanti di una società in nome collettivo, condannati in primo e secondo grado per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. Nello specifico, avevano inserito nelle dichiarazioni IVA e dei redditi relative all’anno d’imposta 2014 alcuni elementi passivi fittizi, derivanti da fatture emesse da una ditta individuale. Le indagini avevano rivelato che quest’ultima era una cosiddetta “società cartiera”, priva di una reale struttura operativa (personale, mezzi, magazzino) e creata al solo scopo di emettere documenti fiscali falsi. La condanna inflitta era stata di un anno di reclusione per entrambi gli imputati.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomentazioni principali:

1. Erronea applicazione della legge penale: Sostenevano che i giudici di merito avessero errato nel ritenere le operazioni inesistenti. A loro dire, le prestazioni fatturate (fornitura di bancali in legno) erano reali e necessarie per l’attività di commercializzazione di metalli svolta dalla loro società. Contestavano inoltre la sussistenza del dolo, l’intenzione di evadere le imposte, attribuendo l’accaduto al più a una condotta colposa nella gestione aziendale.

2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Chiedevano l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., evidenziando l’importo dell’evasione IVA, pari a 17.000 euro, ritenuto minimo. A supporto di tale tesi, menzionavano anche di aver avviato una procedura di conciliazione con l’Agenzia delle Entrate, comportamento che, a loro avviso, avrebbe dovuto essere valutato positivamente.

La Decisione della Corte: l’uso di Fatture False e la Tenuità del Fatto

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, confermando integralmente la sentenza di condanna della Corte d’Appello. La decisione si fonda su un’analisi rigorosa di entrambi i motivi di ricorso.

Sull’inesistenza delle operazioni e il dolo

I giudici hanno definito il primo motivo come una mera riproposizione di censure già respinte nei gradi di merito. La Corte ha sottolineato come la decisione impugnata fosse basata su un solido impianto probatorio che dimostrava in modo inequivocabile la natura di “cartiera” della società emittente. L’assenza di personale, di documenti di trasporto, di una sede operativa e le modalità di pagamento anomale (in parte in contanti, in parte con bonifici non tracciabili) costituivano prove schiaccianti dell’inesistenza oggettiva delle operazioni. Anche il dolo è stato ritenuto provato dalle versioni contraddittorie fornite dagli imputati e dalla loro incapacità di esibire le scritture contabili a supporto delle loro affermazioni.

Sulla non applicabilità della particolare tenuità del fatto

Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte, richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite, ha spiegato che la valutazione sulla tenuità del fatto non può basarsi solo sull’importo dell’imposta evasa. È necessario un giudizio complessivo che tenga conto di tutte le peculiarità del caso concreto, incluse le modalità della condotta e l’intensità del dolo.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte è chiara: l’importo di 17.000 euro di IVA evasa, sebbene definito “modesto”, non è stato considerato di “minima offensività”, soprattutto perché si inseriva in un contesto di evasione fiscale più ampio, che includeva anche una evasione IRES di oltre 78.000 euro. La Corte ha precisato che la non particolare tenuità dell’offesa deriva da una valutazione congiunta di tutti gli indicatori: la condotta (l’uso di un sistema fraudolento basato su una società cartiera), il danno (l’entità complessiva dell’evasione) e la colpevolezza (il dolo specifico di evasione).

Inoltre, riguardo alla procedura di conciliazione con il fisco, i giudici hanno osservato che, sebbene la condotta successiva al reato possa essere valutata, non può da sola trasformare un’offesa grave in una di lieve entità. In ogni caso, nel caso specifico, gli imputati si erano limitati a menzionare tale procedura senza fornire alcuna prova documentale a sostegno.

Le Conclusioni

La sentenza n. 7546/2024 della Cassazione invia un messaggio inequivocabile: il ricorso a fatture false emesse da società cartiere è una condotta di particolare gravità che difficilmente può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La valutazione non si ferma al mero dato quantitativo dell’imposta evasa, ma considera l’intero schema fraudolento e l’intenzionalità della condotta. Per le aziende, ciò significa che la massima attenzione nella scelta dei fornitori e una rigorosa documentazione delle operazioni commerciali non sono solo buone prassi gestionali, ma elementi essenziali per prevenire gravi conseguenze penali.

L’uso di fatture false da una “società cartiera” può essere giustificato se le merci (es. bancali) sono plausibili per l’attività svolta?
No. Secondo la sentenza, la plausibilità del bene o servizio non è sufficiente a dimostrare la realtà dell’operazione. La prova decisiva è la dimostrazione che la società emittente sia una vera entità operativa e non una “cartiera”, supportata da elementi concreti come documenti di trasporto, pagamenti tracciabili e una reale struttura aziendale.

Un’evasione IVA di importo modesto (es. 17.000 euro) è sufficiente per ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No, non automaticamente. La Corte ha stabilito che un importo ritenuto “modesto” non significa che l’offesa sia di “minima offensività”. La valutazione deve considerare il contesto complessivo, incluse le modalità fraudolente della condotta (uso di una cartiera) e l’eventuale evasione di altre imposte (in questo caso, l’IRES per oltre 78.000 euro).

Aver iniziato una conciliazione con l’Agenzia delle Entrate dopo il reato garantisce l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No. Sebbene la condotta successiva al reato, come il pagamento del debito tributario, possa essere considerata, non è di per sé sufficiente a rendere lieve un’offesa che non lo era al momento della sua commissione. Inoltre, è necessario documentare concretamente tali procedure, cosa che nel caso di specie i ricorrenti non avevano fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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