Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1462 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1462 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Latina il 01/03/1973;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Sessa Aurunca il 21/05/1967,
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze dell’11/10/2022
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale D.ss COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. udito, per l’imputato COGNOME, l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Firenze, in sostituzione d NOME COGNOME del Foro di Firenze, che si riporta al ricorso chiedendone l’accoglime udito, per l’imputato COGNOME, l’Avv. NOME COGNOME del Foro di Roma, in sostituzione d COGNOME NOME del Foro di Siena, che si riporta al ricorso chiedendone l’accoglime
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 16/10/2018, il Tribunale di Siena condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME per i delitti di cui agli artt. 2 e 8 d. Igs. 74/2000, alla p anni uno e mesi otto di reclusione, oltre alle pene accessione di cui all’art. 12 per entrambi e al confisca ex art. 12-bis dello stesso decreto per lo COGNOME relli.
Con sentenza emessa in data 11/10/2022, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concesse allo COGNOME le attenuanti generiche, rideterminava solo per lui la pena in anni uno e mesi due di reclusione, con revoca della confisca disposta in primo grado e conferma nel resto.
Avverso la sentenza gli imputati presentavano, tramite i rispettivi difensori di fiduci ricorso per Cassazione.
3.1. Il ricorso di NOME COGNOME.
3.1.1. Con il primo motivo lamenta violazione di legge e segnatamente dell’articolo 2 d. Igs. 74/2000, e comunque contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova in punto di ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
La Corte di appello ritiene provato il delitto contestato alla luce della documentazione legittimamente acquisita, in riferimento alla inesistenza oggettiva delle operazioni, da intenders nel senso che il contratto era effettivamente esistente fra le parti, ma non concerneva i trasporto, bensì la mera fornitura di manodopera, da ritenersi illegale in quanto avvenuta al d fuori dei meccanismi che disciplinano quest’ultima.
Tale conclusione si porrebbe in insanabile contrasto con le dichiarazioni dei testimoni COGNOME e COGNOME i quali hanno al contrario dichiarato che la prestazione della RAGIONE_SOCIALE corrispondeva a quanto pattuito con la RAGIONE_SOCIALE
3.1.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e segnatamente dell’articolo 2 d. Igs. 74/2000, e comunque contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova in punto di ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione.
La Corte territoriale ha desunto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato nella finalit di risparmio dell’IVA sottesa all’operazione negoziale; in realtà, come chiarito anche da consulente della difesa COGNOME, l’operazione non ha comportato alcun vantaggio dal punto di vista economico per la RAGIONE_SOCIALE; inoltre, nella decisione è presente anche un travisamento del fatto, poiché la Corte di appello introduce nella motivazione un elemento di prova in realtà non presente gli atti del processo, laddove parla di possibili «retrocessioni» denaro tra le due società, desumendo erroneamente tale dato dalla deposizione della teste COGNOME
3.1.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione e travisamento di prova per omessa valutazione di elementi probatori in atti. La Corte d’appello ritiene provato che
l’organizzazione del lavoro di RAGIONE_SOCIALE fosse in realtà predisposta dalla RAGIONE_SOCIALE; tale conclusione è in contrasto con le dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, dipendenti della prima società, nonché COGNOME e COGNOME. Inoltre, il consulente di parte, rag. COGNOME evidenzia come per la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato più conveniente assumere direttamente il personale piuttosto che ricorrere al sotterfugio contestato.
3.1.4. Con il quarto motivo, lamenta violazione di legge e in particolare dell’articolo 10 -bis, comma 13, I. 212/2000 e vizio di motivazione, essendo il caso in esame riconducibile alla mera «elusione fiscale».
Erroneamente la Corte territoriale ritiene inapplicabile tale disposizione in quanto la ratio della disciplina dell’abuso del diritto in sede tributaria presuppone un effetto elusivo otten mediante l’utilizzo di strumenti leciti e non, come in questo caso, di strumenti illeciti.
In realtà, l’Agenzia delle entrate ha dato al rapporto contrattuale una diversa qualificazion giuridica, ma non ha mai negato che effettivamente i lavoratori della RAGIONE_SOCIALE abbiano effettivamente svolto il servizio di distribuzione e ritiro dei quotidiani.
Risulta quindi evidente la natura elusiva della condotta, con conseguente irrilevanza penale della stessa.
3.1.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione in riferimento a violazione del principio di cui all’articolo 533, comma 1, del codice di procedura penale, secondo cui la colpevolezza va provata «al di là di ogni ragionevole dubbio».
4.2. Il ricorso di NOME COGNOME.
4.2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., in riferimento agli articoli 191 del codice e 220 delle disposizi attuazione dello stesso. Evidenzia come i documenti sono stati acquisiti nel computer che si trovava nella disponibilità della RAGIONE_SOCIALE in violazione della norma c prevede che, quando emergono indizi di reato, le prove debbano essere assunte con l’osservanza delle garanzie stabilite dal codice di procedura penale, cosa non avvenuta nel caso concreto.
Da ciò deriva l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente raccolte ai fini del giudi colpevolezza.
4.2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’erronea interpretazione e applicazione degli articoli 2 e 8 d.lgs. 74/2000.
Evidenzia il ricorrente che, se sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato ipotizzato Corte territoriale ha fornito una adeguata motivazione, non altrettanto ha fatto in relazion all’elemento soggettivo del reato, quantomeno in riferimento alla posizione della società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili.
Prima di analizzare le doglianze, che sono almeno parzialmente sovrapponibili, il Collegio ritiene opportuno riportare, sinteticamente, i contenuti della motivazione della sentenza impugnata.
2.1. Quanto all’elemento oggettivo del reato essa, a pag. 3, riassume, facendoli propri, i contenuti della motivazione della sentenza di primo grado, evidenziando come:
la RAGIONE_SOCIALE era stata costituita nel 2006 ed aveva come unici clienti la S/D e una società del padre dello COGNOME;
le due società condividevano la sede sociale;
anche il personale, nel tempo (fino al 2013), era stato totalmente assorbito dalla S/D, fra cui lo stesso COGNOME.
A pagina 6, poi, precisa che i documenti (sia gli appunti che quelli rinvenuti nel computer) trovati presso la sede della RAGIONE_SOCIALE – pienamente utilizzabili, evidenziano in mod inequivoco come la RAGIONE_SOCIALE (rectius, l’attività dei suoi dipendenti), fosse totalmente «eterodiretta», essendo, di fatto, lo COGNOME colui che disponeva circ:a le modalità con cui dipendenti della RAGIONE_SOCIALE svolgevano la loro attività.
Sussistevano, inoltre, per i secondi giudici, elementi di fatto (la cui valutazione è estran al perimetro dei vizi coltivabili in sede di legittimità) tali da consentire di affermare che, in le due realtà societarie fossero riconducibili ad una sola società di fatto, quali:
la circostanza che SRAGIONE_SOCIALE avesse 18 furgoni (di cui pagava tutte le spese operative, fra cui la benzina) ma un solo autista, e che per i «giri» usasse anche gli autisti di Mediapress;
la medesimezza della sede sociale;
la circostanza che fosse la S/D a tenere la contabilità di RAGIONE_SOCIALE (circostanza riferita dalla comune commercialista);
il rinvenimento di fogli di carta intestata con la firma dell’COGNOME presso la sede della S La Corte territoriale nega valore probatorio decisivo anche alle deposizioni dei testi indica dalla difesa, ritenendo possibile che gli stesso intrattenessero rapporti solo con l’COGNOME circostanza che non si pone in contrasto con i documenti rinvenuti presso la sede della S/D, posto che era l’COGNOME a sua volta a prendere disposizioni dallo COGNOME sulle modalità di svolgimento dell’attività.
2.2. Circa la «finalità di evasione», ossia l’elemento soggettivo del reato, la sentenza appello, a pagina 8, precisa che «sussiste anche l’elemento soggettivo dei predetti reati .. … La teste COGNOME, funzionaria dell’Agenzia delle entrate, ha ben spiegato che l finalità del meccanismo applicato dai due imputati è stata quella del risparmio dell’IVA: l’Agenzia delle entrate infatti ha riconosciuto che la S/D Distribuzioni ha sostenuto alti costi per il tras di libri e giornali … ed ha ricalcolato tali costi sulla base degli stipendi degli autisti, rid molto le imposte dovute per IRES e IRAP, appunto perché i redditi dovevano essere decurtati
dei costi comunque realmente sopportati. Il contabilizzare tali costi come una prestazione fornita da terzi, sui quali pagare VIVA, era quindi finalizzata ad ottenere un’Iva passiva da detrarre, e ha consentito l’evasione di questa imposta nei termini calcolati e riferiti dalla predetta testimo
Ella ha anche riferito che la verifica fiscale successivamente svolta a carico della RAGIONE_SOCIALE ha accertato che questa società aveva cessato di versare l’iva apparentemente pagata dalla RAGIONE_SOCIALE stante la commistione anche gestionale tra le due società è quind lecito ipotizzare che il risparmio dell’una, per tale omesso versamento, si sia riverberato in favo dell’altra, con forme di retrocessione, peraltro non accertate».
Si confronta, quindi, con la dedotta rilevanza decisiva pro reo della consulenza di parte redatta dal rag. COGNOME sostenendo che se è corretta l’affermazione del consulente della difesa, secondo cui l’appalto del servizio di trasporto costava alla RAGIONE_SOCIALE più di un traspor fatto con proprio personale e con autisti direttamente assunti, è altresì vero che tale maggio costo derivava esclusivamente dall’applicazione dell’IVA, che serviva però alla RAGIONE_SOCIALE per ridurre quella che altrimenti avrebbe dovuto versare essa stessa, mentre assumendo direttamente gli autisti si risparmiavano i costi, ma si riduceva anche la possibilità di detr VIVA da quella da versare.
In conclusione, secondo la Corte territoriale «vi era quindi un indubbio vantaggio economico, costituito dal risparmio in merito all’IVA da versare, ed è quindi provata la sussistenza del do specifico di evadere tale imposta; se poi VIVA pagata alla RAGIONE_SOCIALE non veniva neppure versata all’Erario, il risparmio era addirittura più elevato. È dunque provata la finalità di evasi tributaria del meccanismo contestato».
2.3. Così ricostruito il percorso motivazionale del provvedimento impugnato, appare evidente come i primi tre motivi di ricorso proposti dallo COGNOME e il secondo motivo proposto dall’COGNOME siano inammissibili per genericità, in quanto non si confrontano criticamente con l’ampia motivazione offerta dalla Corte di appello di Firenze.
Essi, infatti, esulano dal percorso di una «ragionata censura» della motivazione del provvedimento impugnato, risolvendosi in una frammentazione del ragionamento seguito dai giudici del merito di cui si isolano singoli elementi, il cui significato viene scisso ed esami atomisticamente rispetto all’intero contesto, che viene pretermesso nel suo respiro di insieme.
In tal modo, i ricorsi violano il necessario onere di specificazione delle critiche mosse provvedimento (sul tema, v. Sez. 6, n. 10539 del 10 febbraio 2017, COGNOME, Rv. 269379).
Ciò vale sia per l’elemento oggettivo del reato che per quello soggettivo: in entrambi i casi infatti, i ricorrenti hanno valorizzato singoli elementi di prova, da un lato estraendol complesso della motivazione, dall’altro non confrontandosi con le specifiche motivazioni formulate dalla sentenza impugnata a fronte delle analoghe censure proposte con l’atto di appello.
2.4. Manifestamente infondata è poi la censura di travisamento della prova formulata dallo COGNOME con il secondo motivo di ricorso, in quanto la stessa Corte di appello, nel «ventilare»
l’esistenza di forme di retrocessione dell’IVA (ben possibile alla luce della circostanza che, da u certo momento in poi, Mediapress abbia smesso di versare all’Erario VIVA ricevuta da S/D per le operazioni oggettivamente inesistenti), afferma in modo tranchant che tale ipotesi non ha neppure costituito oggetto di accertamento.
Il primo motivo di ricorso presentato dall’COGNOME Francesco e l’ultimo motivo di ricors dello COGNOME sono inammissibili per tardività, in quanto dedotti per la prima volta Cassazione.
3.1. Per quanto concerne l’COGNOME, nell’unico motivo di appello dallo stesso proposto egli contestava che il giudizio di colpevolezza formulato dal primo giudice fosse basato sulle presunzioni contabili dell’Agenzia delle entrate conseguenti alla verifica fiscale, compiuta so sulla RAGIONE_SOCIALE e mai sulla RAGIONE_SOCIALE, presunzioni inutilizzabili nel proces penale; censurava inoltre che l’affermazione dell’inesistenza oggettiva delle prestazioni, fosse smentita dagli stessi testi dell’accusa, e che la prova del reato contestato all’COGNOME non potess essere ritratta dal PVC redatto dall’Agenzia delle entrate, in quanto svolto a carico di una divers società e fondato sulle presunzioni valide solo in ambito tributario. La sussistenza del reat sarebbe stata inoltre smentita anche dalla consulenza del rag. COGNOME che escludeva la sussistenza del dolo di evasione.
Come appare evidente, la violazione dell’articolo 220 disp. att. cod. proc. pen. (e conseguentemente dell’art. 191 del Codice) non compariva in alcun punto.
Per giurisprudenza costante della Corte che (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 – 01; Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Costa, Rv. 269632 – 01), «non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbi correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione», ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e di quelle che non sarebbe possibile proporre in precedenza (Sez. 2, n. 8890 del 31/01/2017, COGNOME, Rv. 269368 – 01), circostanze non ricorrenti nel caso di specie.
Da ciò consegue l’inammissibilità del motivo di ricorso, in quanto proposto in violazione dell’articolo 606, comma 3, cod. proc. pen..
3.2. Per quanto concerne lo COGNOME, dal non contestato riepilogo dei motivi di appello, riportato nella sentenza impugnata (pag. 4-5, per quanto concerne lo COGNOME), emerge che i primi tre motivi sono i medesimi riproposti con il ricorso per cassazione, il quarto concerneva trattamento sanzionatorio e il quinto la confisca. La violazione dell’articolo 533 cod. proc. pe non compariva in alcun punto del riepilogo dei motivi di appello.
3.3. Ad ogni buon conto, il Collegio evidenzia come il primo motivo di ricorso dell’COGNOME manifestamente infondato.
Questa Corte, infatti, si è anche pronunciata sulle conseguenze della eventuale inosservanza della disposizione in esame, chiarendo che essa non determina automaticamente l’inutilizzabilità
dei risultati probatori acquisiti nell’ambito di attività ispettive o di vigilanza, essendo al co necessario che l’inutilizzabilità o la nullità dell’atto sia autonomamente prevista dalle norme d codice di rito a cui l’art. 220 disp. att. rimanda.
Da ciò consegue, dunque, che non può dedursi la generica violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen., essendo necessaria la specifica indicazione della violazione codicistica che avrebbe determinato l’inutilizzabilità con riguardo ai singoli atti compiuti e riportati nel proc verbale di constatazione redatto dalla medesima (Sez. 3, n. 54379 del 23/10/2018, COGNOME, Rv. 274131, cit.; Sez. 3, n. 6594 del 26/10/2016, dep. 2017, COGNOME e altro, Rv. 269299; v. anche Sez. 3, n. 5235 del 24/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269213).
In definitiva, è onere di chi eccepisce la trasgressione di quest’ultima disposizione precisar quali parti del P.V.C. siano state redatte dopo gli indizi di reato e in contrasto a precise previs codicistiche. Il che – nel caso di specie – non è accaduto.
Il motivo sarebbeeLnque inammissibile per genericità.
3.4. Altrettanto generico è l’ultimo motivo di ricorso dello COGNOME, che si duole de violazione del canone di giudizio di cui all’articolo 533 cod. proc. pen., senza tuttavia specific in alcun modo in cosa consisterebbe la violazione lamentata.
Resta da analizzare il quarto motivo di ricorso formulato dallo COGNOME.
Esso è manifestamente infondato.
4.1. Come noto, il divieto di interposizione di manodopera era sanzionato dagli artt. 1 e 2 I 23/10/1960, n. 1369, oggi sostituito dagli artt. 4 e 18 d. Igs. 10/09/2003, n. 276 (fattispecie cui è ravvisabile un’ipotesi di «continuità normativa», Sez. 4, n. 40499 del 20/10/2010, COGNOME Rv. 248861 – 01), che prevedono specifiche condizioni per la «somministrazione» del lavoro, la cui effettuazione, in assenza dei presupposti, è sanzionata penalmente.
4.2. A pagina 8, la sentenza impugnata ritiene infondata la analoga doglianza formulata dallo COGNOME con i motivi di appello, ritenendo che la sua condotta non può essere qualificata in termini di una mera elusione fiscale, «perché l’abuso del diritto previsto da questa norma richiede l’utilizzo di rapporti giuridici leciti, mentre in questo caso si è creato un meccanismo c simulando l’esistenza di un contratto lecito, occultava un rapporto illecito: non vi era qui neppure il rispetto formale delle norme fiscali, bensì sono stati commessi una pluralità di fat costituenti reato».
È, infatti, emerso dall’insindacabile accertamento di fatto (cui si dà esaustivamente conto nella motivazione della sentenza mediante puntuali riferimenti alle risult:anze probatorie, come richiamate dal Collegio al par. 2.1.), che la società RAGIONE_SOCIALE non ha mai esercita alcun potere direttivo o organizzativo in ordine all’espletamento delle mansioni affidate ai suo dipendenti, né ha assunto alcun rischio di impresa, essendo l’attività organizzata in toto (ivi comprese le spese per il trasporto e il carburante) dalla RAGIONE_SOCIALE.
Alla luce di tali risultanze, pertanto, non vi è dubbio che il contratto tra le due socie configurava come frutto di una «simulazione negoziale relativa», in cui il contratto realmente stipulato dissimula una mera fornitura di prestazione lavorativa da parte della RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALEr.RAGIONE_SOCIALE, vietata in assenza della prescritta autorizzazione e soggetta – in caso di violaz della relativa disciplina – alla sanzione penale di cui all’articolo 18 d. Igs. 276/2003 (v. sul p per un caso analogo al presente, Sez. 3, n. 7070 del 23/01/2013, COGNOME, n.m.).
Né, aggiunge il Collegio, valore alcuno può essere attribuito alla deduzione difensiva secondo cui i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE hanno effettivamente proceduto alla consegna e al ritiro dei giornali, posto che tale attività hanno svolto in costanza di contratto nullo (art. cod. civ.) perché stipulato in frode alla legge o con causa illecita (artt. 1343 e 1344 cod. civ. comunque per un motivo illecito (in questo caso corrispondente con la finalità di evasione) comune a entrambe le parti (art. 1345 cod. civ.) e pertanto operante indipendentemente dalla declaratoria giudiziale di nullità.
Tale condotta è stata correttamente ritenuta dai giudici del merito integrare anche (v. par. 2.2) i delitti di cui agli articoli 2 e 8 d. Igs. 74/2000, di emissione/utilizzazione di fat operazioni oggettivamente inesistenti.
4.3. Ciò premesso, il Collegio evidenzia che per costante giurisprudenza (Sez. 3, n. 5809 del 04/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275789 – 01; Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017, COGNOME, Rv. 270550 – 01; Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015, COGNOME, Rv. 264950 – 01) l’istituto dell’«abuso del diritto» di cui all’art. 10-bis I. 27 luglio 2000, n. 212, ha applicazione residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al d. Ig 10/03/2000, n. 74, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi; esso, in particolare, potrebbe es configurato «solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di disposizioni del d.lgs. n. 74/2000, ovvero la violazione di altre disposizioni», cosicché «se, esempio, una situazione configura fattispecie regolata dal d.lgs. n. 74/2000 in quanto frode o simulazione, l’abuso non può essere invocato» (sent. n. 40272/2015, cit., in motivazione, pag. 19).
Il motivo di censura, che non si confronta con la sedimentata giurisprudenza della Corte, è pertanto manifestamente infondato. In proposito, il Collegio evidenzia come (v. Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; da Sez. 2 – , Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916 – 01; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, COGNOME, Rv. 276062 – 01) la «manifesta infondatezza» consiste, tra l’altro, nella «proposizione di censure caratterizzate da evidenti erro di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle v contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell’ordinamento (solo per indicare le più frequenti ipotesi di applicazione dell’art. 606, comma 3, secondo periodo).
5. I ricorsi, pertanto, devono essere dichiarati inammissibili. Alla luce della sentenza giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussiston elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro tremila ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2023.