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Fatture false: la Cassazione sulla responsabilità penale

Un amministratore di società è stato condannato per l’utilizzo di fatture false relative a operazioni soggettivamente inesistenti, al fine di evadere l’IVA. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, respingendo i motivi di ricorso dell’imputato. La sentenza chiarisce importanti principi, tra cui la sufficienza del dolo eventuale, l’irrilevanza della distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva ai fini del reato, e i limiti della nullità per la mancata traduzione della sentenza d’appello a un imputato straniero.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Dichiarazione fraudolenta con fatture false: la Cassazione conferma la responsabilità dell’amministratore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37930 del 2024, è tornata a pronunciarsi sul tema della dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture false, consolidando principi fondamentali sulla responsabilità penale dell’amministratore. Il caso analizzato riguarda un imprenditore condannato per aver utilizzato fatture emesse da società “cartiere” per abbattere il carico fiscale della propria azienda, evadendo oltre 500.000 euro di IVA in quattro anni d’imposta. La decisione offre spunti cruciali sul dolo, sulla distinzione tra inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni e su alcuni aspetti procedurali di grande rilevanza.

I fatti del caso

L’amministratore di una società a responsabilità limitata è stato accusato e condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000. Nello specifico, aveva inserito nelle dichiarazioni IVA annuali elementi passivi fittizi, avvalendosi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Sebbene le merci fossero state effettivamente acquistate, le fatture non provenivano dai reali fornitori, ma da diverse società cinesi risultate essere mere “cartiere”, entità prive di una reale struttura aziendale e create al solo scopo di emettere documenti fiscali fittizi.

L’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
1. La mancata traduzione della sentenza d’appello nella sua lingua madre, essendo cittadino straniero.
2. Una presunta contraddizione nella motivazione della sentenza di secondo grado.
3. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, sostenendo di essere stato accusato per inesistenza soggettiva e, di fatto, giudicato per inesistenza oggettiva.
4. La carenza di prova sulla sua colpevolezza e, in particolare, sull’elemento soggettivo del reato.

L’analisi della Cassazione sull’uso di fatture false

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. Analizzando i singoli motivi, i giudici hanno ribadito e chiarito principi di diritto consolidati.

In primo luogo, è stato affrontato il tema della mancata traduzione della sentenza d’appello. La Corte ha spiegato che, a seguito delle recenti riforme, l’imputato non può più ricorrere personalmente per cassazione. Di conseguenza, l’omessa traduzione non impedisce al difensore di esercitare pienamente il suo mandato e non costituisce, di per sé, una causa di nullità della sentenza.

Successivamente, i giudici hanno smontato la tesi della difesa sulla colpevolezza. Le indagini della Guardia di Finanza avevano dimostrato in modo inequivocabile la natura di società “cartiere” delle imprese fornitrici: erano prive di strutture, dipendenti e risorse, cessavano l’attività dopo poco tempo e movimentavano ingenti somme di denaro verso l’estero senza giustificazione. L’imputato, gestendo personalmente gli acquisti, non poteva non essere a conoscenza di questa realtà. Pertanto, la sua consapevolezza e la sua volontà di evadere le imposte sono state ritenute provate.

Il dolo eventuale e le operazioni soggettivamente inesistenti

Un punto centrale della sentenza riguarda l’elemento soggettivo del reato. La Cassazione ha ribadito che, per il delitto di dichiarazione fraudolenta, è sufficiente il dolo eventuale. Ciò significa che non è necessario che l’evasione fiscale sia lo scopo unico o principale dell’agente; basta che egli abbia accettato il rischio che la sua condotta (la presentazione della dichiarazione con fatture fittizie) potesse comportare l’evasione delle imposte. L’amministratore, utilizzando fatture provenienti da soggetti palesemente inesistenti, ha accettato il rischio di commettere il reato.

Il principio di correlazione tra accusa e sentenza

Infine, la Corte ha respinto la doglianza relativa alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Ha chiarito che, ai fini del reato di cui all’art. 2 D.Lgs. 74/2000, ciò che conta è l’utilizzo di fatture per “operazioni inesistenti”, senza che la legge distingua tra inesistenza oggettiva (l’operazione non è mai avvenuta) e soggettiva (l’operazione è avvenuta tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura). Pertanto, condannare per un tipo di inesistenza quando l’accusa ne menzionava un altro non viola il diritto di difesa, poiché il nucleo del fatto contestato rimane identico.

Le motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su un’analisi rigorosa degli elementi probatori e su un’applicazione coerente della giurisprudenza. Le motivazioni evidenziano come la responsabilità penale dell’amministratore non possa essere esclusa semplicemente affermando che le operazioni commerciali sono state effettivamente eseguite. Quando ci si avvale di fornitori che sono palesemente delle entità fittizie (società cartiere), l’amministratore che gestisce gli acquisti non può nascondersi dietro un’ignoranza di comodo. Le anomalie riscontrate (mancanza di struttura, flussi finanziari anomali, breve durata di vita delle società fornitrici) costituivano indizi gravi, precisi e concordanti della natura fraudolenta del sistema, di cui l’imputato era pienamente consapevole o, quantomeno, di cui aveva accettato il rischio. La conferma della condanna e della confisca del profitto del reato (pari all’IVA evasa) è stata quindi una logica conseguenza.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma la linea dura della giurisprudenza nei confronti delle frodi fiscali realizzate tramite fatture false. Per gli amministratori e gli imprenditori, il messaggio è chiaro: la dovuta diligenza nella scelta dei partner commerciali è un dovere non solo gestionale ma anche legale. Ignorare evidenti segnali di anomalia dei fornitori può portare a gravi conseguenze penali, poiché la legge presume che chi gestisce un’impresa sia in grado di riconoscere e evitare di partecipare a schemi fraudolenti. La sufficienza del dolo eventuale amplia ulteriormente l’area della responsabilità, rendendo difficile per l’imputato sostenere la propria buona fede di fronte a un sistema palesemente illecito.

L’uso di fatture emesse da una società ‘cartiera’ per operazioni realmente avvenute con un fornitore diverso è reato?
Sì. Secondo la sentenza, integra il reato di dichiarazione fraudolenta (art. 2, D.Lgs. 74/2000), in quanto si tratta di ‘operazioni soggettivamente inesistenti’ utilizzate al fine di evadere le imposte.

Se la sentenza d’appello non viene tradotta per un imputato straniero, è automaticamente nulla?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’omessa traduzione della sentenza di appello non è di per sé una causa di nullità, poiché l’imputato non può più ricorrere personalmente in Cassazione e il suo diritto di difesa è garantito dal suo avvocato.

Per la condanna per dichiarazione fraudolenta è necessario provare che l’amministratore voleva evadere le tasse o basta che abbia accettato il rischio?
È sufficiente che abbia accettato il rischio. La sentenza conferma che il reato è integrato anche a titolo di dolo eventuale, ovvero quando l’amministratore, pur non avendo come scopo primario l’evasione, si rappresenta e accetta la concreta possibilità che la sua condotta (l’uso di fatture false) porti a tale illecito risultato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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