Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5657 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5657  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 1408 della Corte di appello di Milano del 20 febbraio 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza pronunziata in data 20 febbraio 2023, ha confermato la sentenza del 22 marzo 2022 con la quale, in esito a giudizio celebrato nelle forme ordinarie, il Tribunale di Milano aveva dichiarato la penale responsabilità, in ordine al reato di cui all’art. 2 del dlgs n. 74 2000, di COGNOME NOME per avere, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte, inserito nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni di imposta 2013 e 2014 elementi passivi di reddito documentati con fatture riguardanti operazioni inesistenti, portando, altresì, in detrazione l’Iva pagata in ordine a tali operazioni, e lo aveva, pertanto condannato alla pena ritenuta di giustizia.
Avversi detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore fiduciario, il COGNOME, sviluppando 5 motivi di impugnazione.
Il primo di tali motivi ha ad oggetto, sotto il profilo del vizio di motivazione, l’affermazione della sussistenza della consapevolezza in capo all’imputato della fittizietà, dal punto di vista soggettivo, delle operazioni documentate con le fatture di cui al capo di imputazione; osserva il ricorrente che nella sentenza impugnata non vi è la chiara dimostrazione della circostanza che il COGNOME fosse consapevole del fatto che la RAGIONE_SOCIALE fosse una società priva di operatività; in realtà, precisa la ricorrente difesa, gli elementi c evidenziano tale caratteristica della RAGIONE_SOCIALE in questione esulavano dall’ambito della doverosa conoscenza del COGNOME il quale legittimamente ignorava i dati valorizzati in sede di indagini, essendo, invece, a conoscenza di una serie di dati che, invece, avrebbero deposto per la piena effettività della predetta RAGIONE_SOCIALE; aggiunge il ricorrente che, diversamente da quanto si legge nella sentenza impugnata, secondo la quale , i rapporti finanziari fra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, beneficiaria ultima dei servizi di cui alle fatture in questione, erano strutturati nel senso che NOME disponeva dei bonifici verso la RAGIONE_SOCIALE, la quale li girava alla RAGIONE_SOCIALE, la quale pagava gli stipendi ai dipendenti, i rapporti in questione erano nel senso che RAGIONE_SOCIALE effettuava dei versamenti a RAGIONE_SOCIALE la qual dopo avere ricevuto i conteggi relativi alle ore lavorate, eseguiva dei bonifici verso la RAGIONE_SOCIALE, avendo trattenuto le somme costituenti il proprio margine di utile, ed era quest’ultima, a sua volta, a provvedere a versare gli stipendi ai propri dipendenti.
Con il secondo motivo è lamentata la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato in capo al COGNOME; in sostanza il ricorrente lamenta il fatto che i giudici del merito, non
abbiano fornito elementi per affermare che la condotta dell’imputato – la società diretta dal quale ha sempre correttamente versato le tasse, sia pure depurate dall’Iva versata a fronte delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, fosse indirizzata alla evasione delle imposte.
Con un terzo, subordinato, motivo si deduce la contraddittorietà della motivazione della sentenza in punto di determinazione della pena; infatti, per argomentare la congruità della stessa si fa riferimento ad un sistema criminoso nel quale il ricorrente sarebbe stato coinvolto, sebbene non sia stata contestata alcuna ipotesi criminosa associativa; la contraddittorietà della sentenza in punto di dosimetria sanzionatoria riposerebbe anche sul fatto che il giudice di primo grado ha ritenuto di dovere concedere le circostanze attenuanti generiche onde meglio graduare la pena al caso, salvo poi non irrogare a tale fine una pena contenuta nel minimo edittale.
Il quarto motivo, erroneamente rubricato come quinto, attiene al vizio di motivazione, in punto di mancata concessione della sospensione condizionale della pena, in relazione alla quale lo status soggettivo del COGNOME non è ostativo, essendo la precedente condanna da lui riportata, relativa ad un decreto penale non opposto, non tale, anche se sommata a quella ora inflittagli, da superare i limiti di legge per il godimento del beneficio; aggiunge il ricorrente che, diversamente da quanto riportato in sentenza, il delitto per il quale vi stata la precedente condanna non è stato commesso nel 2015 ma è stato accertato in tale anno; si tratta, comunque ] di fatti aventi una medesima matrice, dopo i quali, a distanza di diversi anni, nessun altro reato è stat attribuito all’imputato, per cui la prognosi di possibile recidivanza appare ingiustificata.
Infine, con il quinto motivo, questo erroneamente rubricato come sesto, si lamenta la eccessiva entità della durata delle sanzioni accessorie, giustificata inspiegabilmente, sulla base della descrizione di una personalità “protesa alla commissione di violazioni in materia tributaria”, laddove í due reati contestati al prevenuto sono gli unici di tale specie a lui ascritti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è basato su motivi di impugnazione risultato ora manifestamente infondati ora inammissibili, pertanto, come tale lo stesso deve essere dichiarato.
Il primo motivo di impugnazione non ha pregio; premesso, infatti, che l’imputazione contestata al COGNOME è di avere utilizzato nelle dichiarazioni dei redditi da lui sottoscritte in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, indicato elementi passivi di reddito documentati da fatture, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, relative ad operazioni inesistenti, si osserva che, sotto il profilo oggettivo, la dimostrazione della fittizietà sostanziale de operazioni, e pertanto dei relativi costi, che il COGNOME aveva indicato quale fonti di elementi passivi di reddito della RAGIONE_SOCIALE, è stata data, secondo la Corte di Milano, dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE – la quale emetteva le ricordate fatture per pretesi servizi resi nei confronti della compagine sociale gestita da COGNOME (unico cliente della medesima RAGIONE_SOCIALE) – è risultata del tutto priva di una sua struttura aziendale; è in particolare emerso che la predetta compagine era, persino, priva di una sua sede operativa e che il personale della stessa, tramite l’intermediazione di RAGIONE_SOCIALE, era interamente utilizzato dalla società di logistica RAGIONE_SOCIALE.
Nessun rilievo ha la circostanza che effettivamente RAGIONE_SOCIALE si servisse di personale, solo apparentemente fornito da RAGIONE_SOCIALE tramite la RAGIONE_SOCIALE, e che, quindi vi fosse in realtà un effettivo esborso di danaro che RAGIONE_SOCIALE inviava a RAGIONE_SOCIALE che, a sua volta, lo rimetteva a RAGIONE_SOCIALE che, pertanto, provvedeva in tale modo al versamento degli importi dei compensi dovuti al personale cfie, solo OL, apparentemente, le era fornito da RAGIONE_SOCIALE; ciò in quanto – stante-natura meramente fittizia della interposizione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nella fornitura di manodopera che, in realtà, era da KL direttamente offerto a RAGIONE_SOCIALE – si realizzava, come ampiamente dimostrato dalla Corte di appello di Milano con motivazione che, per essere esente da vizi di carattere logico (tanto più ove si consideri ch gli stessi per essere rilevabili di fronte a questa Corte sarebbe dovuti esser macroscopici) non è più sindacabile in questa sede di legittimità, un meccanismo, ancorché meramente soggettivo, di fatturazione fittizia che, tuttavia, non differisce sotto il profilo della sua rilevanza penale dalla ipotesi inesistenza oggettiva delle operazioni documentate con le fatture “false” (in tale senso, cioè nel senso della equivalenza sotto il profilo penale fra fittizie oggettiva e soggettiva, fra le molte, si vedano: Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 marzo 2022, n. 11633; Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 gennaio 2020, n. 1998).
Venendo al secondo motivo di impugnazione, riguardante la carenza di motivazione in relazione alla mancanza dell’elemento soggettivo proprio del reato in contestazione – si tratta, come è noto, di dolo specifico – è sufficien osservare che erra il ricorrente nel ritenere che la Corte territoriale abb
omesso di motivare sul punto, ovvero abbia formulato una motivazione solo apparente.
Viceversa, la Corte ambrosiana ha, in piena adesione con gli orientamenti di questa Corte regolatrice, rilevato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in contestazione, sulla base del dato, non oggetto di contestazione, che il COGNOME ha, attraverso il meccanismo fraudolento dianzi descritto, indicato elementi passivi fittizi di reddito per un importo superiore ad 1.900.000,00 di euri, portando in detrazione a titolo di IVA, non corrisposta al soggetto reale fornitore del servizio documentato con le fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, la complessiva somma, nelle due annate oggetto di contestazione, di oltre 423.000,00 euri.
Infatti, come questa Corte ha rilevato, la finalità all’evasione fiscale dell condotte previste dall’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, può anche essere desunta, in via deduttiva, dai comportamenti tenuti dall’agente successivamente alla realizzazione della condotta tipica, compreso fra questi il mancato versamento della imposta, il cui esatto ammontare è stato occultato attraverso la dichiarazione fiscale mendace (Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio 2020, n.16469).
Con riferimento al terzo motivo di ricorso, subordinato ai precedenti in quanto riferito alla sola determinazione della pena, si osserva – quanto alla ritenuta contraddittorietà della motivazione relativa alla sua dosimetria essendo stato richiamato, a tale fine, il preteso inserimento del prevenuto nell’ambito d un “sistema criminoso”, sebbene allo stesso non sia stata contestata alcuna ipotesi associativa – che la descrizione del fatto contestato al COGNOME presuppone effettivamente l’esistenza di una articolata struttura finalizzata a scopi criminosi; il fatto che la stessa non sia stata ritenuta assurgere al live di elemento sintomatico della esistenza di un’associazione per delinquere non esclude che, tuttavia, la sinergia espressa dal fatto che nel reato contestato COGNOME COGNOME coinvolte ben tre società commerciali sia rappresentativa di una spiccata, e pertanto, allarmante, capacità di coagulare a fini criminosi forze fr loro diverse, sebbene ciò non fosse espressivo di quella concorde volontà di più soggetti indirizzata verso un progetto criminoso prevedente la commissione di un indeterminato numero di fatti illeciti, tipico della associazione per delinquere.
Quanto all’ulteriore profilo di contraddittorietà, connesso al fatto che i giudici del merito hanno ritenuto di riconoscere, sebbene non sino alla loro massima portata, le circostanze attenuanti generiche, salvo poi irrogare la pena in concreto partendo da una sanzione non coincidente con il minimo edittale, è
sufficiente, onde dimostrare la palese infondatezza dell’assunto difensivo, confermare l’insegnamento di questa Corte secondo il quale non vi è una necessaria corrispondenza fra il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 62bis cod. pen. e la irrogazione della pena in misura corrispondente al minimo edittale previsto per il reato accertato, ben potendo questa essere determinata, senza che ciò determini un qualche vizio della decisione in tal modo presa, anche nel massimo previsto (Corte di cassazione Sezione III penale, 19 gennaio 2018, n. 2268; Corte di cassazione, Sezione V penale. 29 marzo 2010, n. 12049).
La circostanza che ciò non sia più avvenuto, potrebbe spiegare un ruolo sintomatico solo ove fosse stato quanto meno allegato, in termini di effettiva configurabilità dell’elemento fattuale in questfène, che l’imputato, stante l’attività di impresa materialmente svolta, sarebbe stato nella materiale possibilità di nuovamente delinquere, ma, in assenza di elementi conoscitivi da fornire e valutare nelle competenti sedi in tale . senso, il mero dato temporale evidenziato non appare tale da rendere manifestamente illogiche – anche tenuto conto della ampia discrezionalità di cui nella particolare materia gode il giudice del fatto (cfr. Corte di cassazione, 8 ottobre 1992, n. 9693) – le argomentazione spese dalla Corte di merito onde escludere nella fattispecie il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il successivo quarto motivo – come accennato indicato, invece, come quinto dal ricorrente – attiene alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena in favore del COGNOME; sostiene, in sostanza, il ricorrente che la prognosi infausta sul comportamento del ricorrente, futuro rispetto alla commissione delle condotte per cui è processo, sarebbe smentito, rebus ipsis et factis , dal dato obbiettivo che, successivamente alle condotte di cui ora si discute, l’imputato non ha commesso altri reati; si tratta di argomentazione che in realtà non si coniuga con i rilievi, pur validi, esaminati dai giudici del meri per negare la concessione del beneficio de quo, aventi ad oggetto il fatto che non solamente il COGNOME risulta gravato da un precedente penale espressivo della stessa indole delittuosa di quello ora in questione ma, nel tempo decorso dalla commissione degli illeciti per cui è ora processo, non ha compiuto alcun atto volto a mitigare gli effetti dannosi del suo comportamento, in tale senso non destando giustificate aspettative di un sostanziale ravvedimento e di una comprensione dell’effettivo disvalore della condotta posta in essere, affidabile parametro questo onde ritenere che, per il futuro egli si asterrà dal commettere nuovamente illeciti penali. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo all’ultimo motivo di doglianza – riferito alla ritenuta contraddittorietà della motivazione in punto di determinazione dell’entità delle sanzioni accessorie irrogate a carico del COGNOME, essendo stata questa bí , sviluppata con riferimento alla ritenta indole dell’imputato, indicata dalla Corte di Milano come “protesa alla commissione di violazioni in materia tributaria”, laddove a carico dell’imputato vi sarebbe una solctcondotta del tipo ora indicato – è anche in questo caso da rilevare la manifesta infondatezza della impugnazione; invero, oltre alla non trascurabile circostanza legata al fatto che a carico del COGNOME sono state contestate attualmente violazioni tributarie duplici, in quanto almeno riguardanti due distinte annualità di imposta, va anche considerato che, sebbene non specificamente afferente alla materia tributaria in senso stretto, l’ulteriore precedente penale gravante sull’odiern ricorrente, avente ad oggetto il mancato versamento di oneri contributivi previdenziali ed assistenziali, risulta espressivo della medesima indole criminale desumibile da quelli ora in questione, trattandosi di condotte volte in entrambi i casi a sottrarre il soggetto agente all’adempimento dei doveri di solidarietà contributiva gravanti sul medesimo.
Siffatta medesimezza di tipologia criminosa esclude, in radice, la dedotta contraddittorietà motivazionale
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile ed il ricorrente, visto l’art. 616 cod. proc. pen. va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2023
Il AVV_NOTAIO estensore
GLYPH Il Presi nte