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Fatture false: la Cassazione e le società di comodo

Un professionista è stato condannato per aver utilizzato una società di comodo per emettere e utilizzare fatture false al fine di evadere le imposte. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna e chiarendo importanti principi sulla continuità normativa in materia di confisca, sulla distinzione tra elusione ed evasione fiscale, e sulla non applicabilità di alcune deroghe quando l’emittente e l’utilizzatore delle fatture false coincidono.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatture False e Società di Comodo: Quando il Risparmio Fiscale Diventa Reato

L’utilizzo di fatture false rappresenta una delle pratiche più insidiose e diffuse nell’ambito dell’evasione fiscale. Attraverso la creazione di costi fittizi, le aziende e i professionisti possono abbattere il proprio reddito imponibile, sottraendo risorse allo Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso di un professionista che aveva costituito una società ad hoc proprio per questo scopo, offrendo chiarimenti fondamentali sulla linea di demarcazione tra elusione lecita e evasione criminale.

I Fatti: L’Uso di Fatture False Tramite una Società Schermo

Il caso riguarda un avvocato condannato in primo grado e in appello per i reati di emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. L’imputato, al fine di evadere l’IRPEF e l’IVA, aveva costituito una società che, di fatto, operava esclusivamente per fatturare allo stesso professionista prestazioni fittizie o dal valore gonfiato. Questa società non aveva una sede propria, non sosteneva costi operativi reali e i suoi unici movimenti finanziari erano legati alle fatture emesse verso lo studio legale del suo socio di maggioranza. A seguito delle indagini, erano stati sequestrati beni per un valore equivalente al profitto del reato, calcolato sull’imposta evasa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:
1. L’illegittima applicazione della confisca: Sosteneva che la norma sulla confisca per equivalente (art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000) non potesse applicarsi a fatti commessi prima della sua entrata in vigore nel 2015.
2. L’incostituzionalità del patteggiamento condizionato: Lamentava l’illegittimità della norma (art. 13-bis) che subordina la possibilità di patteggiare al pagamento integrale del debito tributario.
3. Il travisamento dei fatti: Contestava la valutazione delle prove, sostenendo che la società era reale e che la creazione di un’entità per ottenere vantaggi fiscali rientrasse nella lecita elusione fiscale e non nell’evasione.
4. La doppia punibilità: Riteneva di non poter essere condannato sia per l’emissione che per l’utilizzo delle fatture, in quanto autore di entrambe le condotte.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulle Fatture False

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo motivazioni dettagliate su ciascun punto.

In primo luogo, i giudici hanno respinto la tesi sull’irretroattività della confisca. Hanno chiarito che l’art. 12-bis del 2015 si pone in continuità normativa con una legge precedente (la n. 244 del 2007), che già prevedeva la confisca per equivalente per i reati tributari. Non vi è stata, quindi, alcuna applicazione retroattiva di una norma sfavorevole.

Sul tema del patteggiamento, la Corte ha ribadito la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, richiamando una precedente sentenza della Corte Costituzionale (n. 95/2015). La condizione del pagamento del debito è legittima, in quanto risponde all’interesse generale di ripristinare il danno causato all’Erario e rappresenta un segno del ravvedimento del reo. Inoltre, l’imputato avrebbe potuto chiedere lo svincolo parziale delle somme sequestrate per saldare il debito.

La distinzione tra elusione ed evasione è stata al centro del ragionamento. La Cassazione ha sottolineato che la costituzione di una società di comodo, del tutto fittizia e creata ad hoc al solo scopo di emettere fatture false, non è un’operazione di pianificazione fiscale, ma uno strumento fraudolento. Tale condotta esprime una “deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte” che integra pienamente il reato di evasione.

Infine, è stato confermato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la norma che esclude la punibilità del concorrente nel reato (art. 9 D.Lgs. 74/2000) non si applica quando la stessa persona, agendo tramite una società-schermo da lui controllata, riveste contemporaneamente il ruolo di emittente e di utilizzatore delle fatture.

Conclusioni

La sentenza ribadisce la netta linea di confine tra la legittima pianificazione fiscale e la frode penalmente rilevante. La creazione di strutture societarie prive di sostanza economica, finalizzate unicamente a produrre documentazione fittizia per abbattere il carico fiscale, costituisce un reato grave. La decisione della Cassazione conferma la solidità dell’impianto sanzionatorio, inclusa la misura ablativa della confisca, e sottolinea come il sistema giuridico non offra scappatoie a chi realizza schemi fraudolenti basati sull’uso di fatture false. Per i professionisti e le imprese, il messaggio è chiaro: l’ottimizzazione fiscale è lecita, ma la costruzione di finzioni giuridiche per evadere le tasse porta a severe conseguenze penali e patrimoniali.

Quando la creazione di una società per risparmiare sulle tasse diventa un reato di evasione fiscale?
Secondo la Corte, si passa dalla lecita elusione al reato di evasione quando la società è totalmente fittizia (una ‘società di comodo’), creata al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti. L’uso di uno strumento societario come mero schermo per realizzare una frode fiscale integra pienamente il reato.

La confisca dei beni per reati tributari commessi prima del 2015 è legittima?
Sì, è legittima. La Corte di Cassazione ha chiarito che la norma introdotta nel 2015 (art. 12-bis D.Lgs. 74/2000) si pone in continuità con una legge precedente (L. 244/2007) che già consentiva la confisca per equivalente per questo tipo di reati. Pertanto, non si tratta di un’applicazione retroattiva di una norma sfavorevole.

Chi emette e utilizza le stesse fatture false può essere punito per entrambi i reati?
Sì. La giurisprudenza costante, confermata in questa sentenza, stabilisce che la deroga che esclude la punibilità per il concorso di persone nel reato (art. 9 D.Lgs. 74/2000) non si applica quando la stessa persona agisce sia come emittente (ad esempio, tramite una società di comodo da lui controllata) sia come utilizzatore delle fatture false.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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