Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16678 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16678 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME StefanoCOGNOME nato a Udine il 27 novembre 1957 avverso la sentenza del 27/02/2024 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Gorizia del 27 settembre 2022, l’imputato era stato condannato, salva la prescrizione per le annualità 2011 e 2012, riconosciuta la continuazione, alla pena di anni due e mesi due di reclusione, oltre alle pene accessorie, per i seguenti reati: A) artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen., e 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, attuate in differenti periodi di imposta, in concorso con altri,
7e&
emetteva fatture per operazioni inesistenti; B) artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, attuate in differenti periodi di imposta, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, quale avvocato libero professionista, avvalendosi delle fatture indicate al capo che precede relative ad operazioni inesistenti, indicava, nelle dichiarazioni fiscali Modello Unico di più annualità, elementi passivi fittizi. Con decreto del 4 maggio 2017, il Gip del Tribunale di Gorizia aveva precedentemente disposto il sequestro preventivo, anche per equivalente, del profitto del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, pe l’importo pari alla somma dell’IVA evasa di euro 99.820,00 e dell’IRPEF evasa di euro 117.743,48, per un totale di euro 217.563,48.
Con sentenza del 27 febbraio 2024, la Corte di appello di Trieste ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riducendo – a fronte dell’intervenuta prescrizione dei reati già menzionati per le annualità 2011 e 2012 – l’ammontare del profitto oggetto di confisca per equivalente ad euro 115.437,45 ed escludendo, altresì, l’aumento di pena operato dal primo giudice per i suddetti reati, rideterminando la pena nella misura di anni 1, mesi 11 e giorni 12 reclusione.
Avverso la sentenza di appello l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione dell’art. 12bis del d.lgs. n. 74 del 2000, il quale, essendo stato introdotto nel 2015, non avrebbe potuto essere applicato al caso di specie, risultando in malam partem per i fatti antecedenti alla data della sua entrata in vigore, atteso che il reato di fattur per operazioni inesistenti è reato istantaneo e si consuma al momento dell’emissione della fattura.
Secondo la prospettazione difensiva, il GIP, nel rigettare l’istanza di dissequestro, aveva fatto riferimento all’art. 1, comma 143 1 della legge n. 244 del 2007, il quale, abrogato nel 2015, prevedeva che, per i reati di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, si osservavano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 321 e 322-ter cod. pen. Pertanto, il sequestro sarebbe stato erroneamente disposto ai sensi dell’art. 12 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, per somme riguardanti periodi antecedenti alla sua entrata in vigore.
2.2. Con un secondo motivo, la difesa si duole dell’illegittimità costituzionale dell’art. 13 -bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, sul rilievo che detta norma subordina l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. solo al caso in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario, comprese sanzioni amministrative ed interessi, risulti estinto, mentre non consente il ricorso al rito alternativo dell’art. 444 cod. proc. pen. e
l’applicazione della diminuente di cui all’art. 13-bis, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, nel caso in cui, per il medesimo reato, sia stato disposto il sequestro di tutti i beni dell’imputato ed il valore stimato dei beni sequestrati sia superiore alla somma evasa indicata nel capo di imputazione ma non correttamente contestata nel quantum dall’Agenzia delle Entrate.
Nello specifico, secondo la prospettazione difensiva, la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che l’Agenzia delle Entrate non aveva notificato alcun avviso di accertamento o altro provvedimento che indicasse l’ammontare da pagare. Pertanto, l’assenza di qualsivoglia importo richiesto escluderebbe la possibilità di chiedere alcuna rateizzazione all’Agenzia.
2.3. Con un terzo motivo di ricorso, l’imputato denuncia il travisamento dei fatti, ritenendo falsi alcuni degli elementi indicati come probanti dal giudice di primo grado; in particolar modo nella parte in cui si sostiene, dapprima, che la società non aveva sede propria e, successivamente, che l’immobile presso il quale si trovava la sede societaria era in leasing alla stessa.
Inoltre, sarebbe erroneo quanto ritenuto in merito alle dichiarazioni delle segretarie, le quali avrebbero evidenziato come il disbrigo delle attività, quali le visure, erano effettuate dalle segretarie stesse, avendo altresì dichiarato che di tal incombenze si occupava la dott.ssa COGNOME.
La difesa si duole altresì del travisamento del fatto che l’importo delle fatture per le operazioni svolte apparisse sproporzionato rispetto al reale valore economico delle prestazioni, dal momento che ciò non sarebbe indice di falsa fatturazione o di operazioni inesistenti, ma solo della presenza di importi incoerenti.
Il giudice avrebbe inoltre valorizzato erroneamente sia il fatto che la società RAGIONE_SOCIALE operasse esclusivamente per conto dello studio dell’avv. COGNOME sia il fatto che la società non avesse né costi di utenza né una sede diversa da quella dello studio e che la provvista necessaria per i pagamenti delle visure fosse stata fornita dall’avv. COGNOME dal momento che questi era socio al 99% della società e beneficiava della divisione degli eventuali utili.
Infine, la difesa sostiene che il fatto che l’imbarcazione di proprietà della società non sia mai stata noleggiata non è rilevante in ordine alle imputazioni di emissione e uso di fatture per operazioni inesistenti.
2.4. Con un quarto motivo, la difesa si duole del fatto che la Corte avrebbe valutato, quale elemento di colpevolezza, la circostanza che il reale scopo della società fosse quello di consentire un vantaggio fiscale. Tale elemento sarebbe di per sé lecito e riguarderebbe il solo rapporto intercorrente tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate, esulando dalla competenza del giudice penale.
2.5. Si lamenta – in quinto luogo – l’illogicità del ragionamento seguito dal Tribunale in sede di valutazione degli elementi probatori.
Ad avviso della difesa, la costituzione di una società da parte dell’imputato configurerebbe un’azione di tipo elusivo, non contemplata dal d.lgs. n. 74 del 2000, riferibile alla sola fattispecie di evasione.
2.6. Con un sesto motivo, si lamenta la manifesta illogicità della motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte avrebbe errato nel valutare il comportamento processuale dell’imputato come neutro, pur non essendosi egli sottratto alla ricognizione dei suoi beni ed avendo proposto istanza ex art. 444 cod. proc. pen.
Inoltre, la difesa si duole del fatto che la mancanza del risarcimento del danno sarebbe stata erroneamente valutata dalla Corte quale impedimento in tal senso, sebbene essa risulti rilevante per la sola inapplicabilità delle attenuanti comuni ex art. 62 cod. pen. Per la difesa, l’assenza di una qualsivoglia quantificazione del danno da parte dell’Agenzia delle Entrate avrebbe comunque reso impossibile il risarcimento. La Corte avrebbe altresì errato nel considerare la sussistenza di un danno per l’Erario dal momento che il debito IVA sarebbe comunque stato pagato dalla società e il debito Irpef necessiterebbe di una previa quantificazione.
2.7. Infine, la difesa si duole della mancata applicazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 74 del 2000, nel momento in cui l’emittente corrisponda con l’utilizzatore, e dell’assenza di motivazione sul punto. Ad avviso della difesa, la norma ha lo scopo di evitare la duplicazione di reati per la stessa condotta.
2.8. In data 29 ottobre 2024, l’Avv. NOME COGNOME ha presentato istanza di rinvio dell’odierna udienza presso questa Corte per impossibilità di comparire , a causa di altra udienza presso il Tribunale di Gorizia.
2.9. Con memoria del 21 novembre 2024, il difensore dell’imputato ribadisce quanto già dedotto e chiede il riconoscimento della prescrizione in relazione alla dichiarazione presentata in data 16 settembre 2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, deve essere dichiarata inammissibile la richiesta di rinvio della trattazione del procedimento presentata dal difensore.
Come costantemente affermato da questa Corte, l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso
processo; c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro co-difensore che possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (ex plurimis, Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 02/02/2015, Rv. 262912 – 01),
Nel caso di specie, il difensore ha prospettato solo la natura dell’impedimento e l’assenza in entrambi i procedimenti di un co-difensore, omettendo totalmente di integrare la propria istanza con le indicazioni relative alle ragioni che avrebbero reso essenziale l’espletamento delle sue funzioni nell’altro processo e all’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. Dunque, la richiesta risulta incompleta quanto ai parametri di valutazione rilevanti.
2. Il ricorso è inammissibile. 2.1. In merito al primo motivo – con cui si sostiene che l’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 non sarebbe applicabile a somme riguardanti periodi antecedenti alla sua entrata in vigore – è necessario evidenziare come l’ambito di applicazione della confisca per equivalente, inizialmente previsto per alcuni reati del codice penale, sia stato esteso anche ai delitti tributari dall’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre.2007, n. 244, a mente del quale «nei casi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento di Iva, indebita compensazione e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all’art. 322-ter cod. pen.». La disposizione, oggetto di abrogazione per effetto del disposto dell’art. 14 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, è stata contestualmente riproposta nell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 – introdotto proprio dal decreto n. 158 citato – che così stabilisce: «Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. 2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tale essendo il quadro normativo, deve qui essere richiamato e ribadito il noto principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di
reati tributari, l’intervenuta abrogazione, ad opera del d.lgs. n. 158 del 2015, dell’art. 1 / comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, non determina il venir meno delle misure ablatorie disposte sulla base della suddetta norma, atteso che il nuovo art. 12 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000 riproduce il contenuto della disposizione abrogata e si pone in continuità con la stessa (ex plurimis, Sez. 3, n. 50338 del 22/09/2016, Rv. 268386; Sez. 3, n. 35226 del 16/06/2016, Rv. 267764; Sez. 3, n. 23737 del 28/04/2016, Rv. 267383).
Ne deriva la manifesta infondatezza della doglianza del ricorrente, poiché basata sull’asserzione della mancanza di una continuità normativa fra le due norme in questione.
2.2. Il secondo motivo di ricorso – con cui si prospetta l’illegittimit costituzionale dell’art. 13 -bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui subordina la presentazione della richiesta di patteggiamento all’integrale estinzione del debito tributario – è inammissibile.
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 13-bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000, norma astrattamente applicabile ai reati ascritti al ricorrente, risulta manifestamente infondata, avendo già la Corte costituzionale respinto un’analoga questione di legittimità costituzionale del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che, per i delitti materia tributaria sanzionati nel medesimo decreto, le parti possano chiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. (c.d. patteggiamento) solo nel caso di estinzione, mediante pagamento, dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei già menzionati delitti. Più precisament giudice delle leggi ha affermato che la negazione legislativa di tale rito alternativo non vulnera il nucleo del diritto di difesa, giacché la facoltà di chiedere l’applicazione della pena, peraltro esclusa per un largo numero di reati, non può essere considerata condicio sine qua non per un’efficace tutela della posizione giuridica dell’imputato. Inoltre, l’onere patrimoniale imposto non genera alcuna disparità di trattamento, perché risulta giustificato da ragioni obiettive, ossia dal generale interesse alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche per il valore sintomatico del ravvedimento del reo, oltre che dallo specifico interesse alla integrale riscossione dei tributi (Corte cost., sentenza n. 95 del 2015). Peraltro, è principio consolidato nella giurisprudenza costituzionale quello secondo il quale la discrezionalità legislativa, in materia di limitazioni di accesso ad un rito alternativo nel processo penale, può essere sindacata soltanto laddove trasmodi nella manifesta irragionevolezza e nell’arbitrio (ex multis, Corte cost., ordinanza n. 455 del 2006), situazione, nella specie, non ricorrente.
Né può essere dato seguito all’affermazione difensiva, secondo cui il pagamento non avrebbe potuto essere effettuato perché i beni e il denaro
6 GLYPH
714L
dell’imputato erano sottoposti a sequestro, ben potendo egli chiedere lo svincolo delle somme necessarie per effettuare i pagamenti; richiesta che la difesa non afferma che sia stata proposta.
Quanto alla mancata notifica dell’avviso di accertamento, tale questione non si riverbera sul processo penale, stante il principio di autonomia di quest’ultimo rispetto alle vicende del procedimento tributario amministrativo. Infatti, secondo l’interpretazione di questa stessa Sezione, l’omessa notifica dell’avviso di accertamento dell’imposta non pregiudica in alcun modo il diritto di difesa dell’imputato; come stabilito dalla Corte costituzionale con sentenza del 27 aprile 1982, n. 88, l’accertamento della imposta e della relativa sovrimposta, divenuto definitivo in via amministrativa, non fa stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati preveduti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. Le vicende attinenti, quindi, all’avviso di accertamento ed alla sua notifica, come del resto reso palese dall’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000, non si riflettono sul procedimento penale (Sez. 3, n. 22253 del 22/03/2016, non mass.). Sono dunque manifestamente infondate le asserzioni difensive che ruotano attorno alla mancata notifica dell’atto impositivo, visto che il giudice penale – proprio per l’autonomia del procedimento tributario da quello penale – non può ritenersi vincolato da quanto verificatosi nella parallela sede amministrativa, stante l’assenza di qualsiasi rapporto di pregiudizialità.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, relativo al travisamento dei fatti in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, è inammissibile, in quanto generico e diretto a ottenere una rivalutazione delle risultanze probatorie, non consentita in sede di legittimità.
. Il ricorrente, nel contestare gli elementi posti · dal giudice di appello a dimostrazione del carattere fittizio della RAGIONE_SOCIALE e delle operazioni da essa fatturate, analizza i plurimi risultati probatori separatamente l’uno dall’altro, omettendo di esaminarli congiuntamente, come fatto dal giudice di primo grado e dalla Corte di appello (pag. 4 del provvedimento), con conforme valutazione; offre, dunque, una mera prospettazione parziale e arbitraria del quadro istruttorio.
Secondo il corretto apprezzamento dei giudici di primo e secondo grado, permettono di desumere con certezza il carattere fittizio della società e la sua strumentalità ai fini dell’evasione: a) le deposizioni rese dai marescialli COGNOME e NOME sui costi fatturati all’imputato, sempre dello stesso importo, palesemente sproporzionati e con cifre tonde; b) gli accertamenti bancari, i quali hanno appurato che le ingenti spese della società riguardavano per lo più i costi di manutenzione, leasing e rimessaggio dello yacht; c) le comunicazioni relative alla modifica del contratto di assicurazione dell’imbarcazione, riferite non alla società ma all’imputato, quale indice di una illecita commistione.
2.4. Il quarto motivo di doglianza, relativo alla liceità della costituzione di società ai fini fiscali, è inammissibile.
Il rilievo difensivo per il quale tale pratica è esercitata da una molteplicità di professionisti – oltre a essere basato su una massima di esperienza meramente asserita – è palesemente erroneo, perché prescinde dal fatto che, nel caso di specie, il ricorrente, non solo ha usato fatture provenienti da una società fittizia con lo scopo di abbassare il proprio imponibile, ma ha altresì emesso tali fatture tramite una società fittizia creata ad hoc, usando lo strumento societario quale fine per raggiungere scopi evasivi. Manifestamente infondata è poi l’affermazione del ricorrente secondo cui il risparmio fiscale illecito non potrebbe essere oggetto di sindacato da parte del giudice penale; la stessa si scontra infatti con la ragion d’essere dell’intero sistema sanzionatorio penale di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, precipuamente rivolto a tale scopo, anche attraverso il penetrante strumento della confisca del profitto.
2.5. Il quinto motivo di ricorso, attinente alla riconducibilità della condotta contestata alla fattispecie elusiva anziché all’evasione fiscale, è manifestamente infondato, in quanto basato su una lettura errata della disposizione normativa.
Nel caso di specie, la condotta contestata al ricorrente rientra con evidenza nelle fattispecie previste dalle disposizioni incriminatrici (artt. 2 e 8 del d.lgs. 74 del 2000), non potendo ricondursi ad una mera elusione, in virtù dello strumento di cui l’imputato si è avvalso, ovvero la costituzione di una società del tutto fittizia ad hoc, che esprime la deliberata ed esclusiva intenzione di sottrarsi al pagamento delle imposte, nella piena consapevolezza della illiceità del fine e del mezzo, ovvero esprime un disvalore specifico e ulteriore, idoneo a selezionare gli illeciti penalmente rilevanti da quelli che tali non sono.
2.6. Il sesto motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è inammissibile.
La Corte di appello richiama il mancato risarcimento per sottolineare la totale assenza di elementi positivi di giudizio, peraltro, non prospettati dalla difesa neanche con il ricorso per cassazione. Come correttamente evidenziato in sentenza, il ricorrente, a sostegno del riconoscimento delle attenuanti in parola, si limita a rammentare l’istanza di patteggiamento formulata, non accolta a causa del mancato pagamento del debito tributario, senza considerare la negatività ex se di tale ultimo elemento.
Quanto all’affermazione della difesa circa l’impossibilità per l’imputato di saldare il proprio debito a causa della confisca dei propri conti correnti, la Corte come già visto sub 2.2. – valorizza correttamente (pag. 5 del provvedimento) il fatto che l’imputato ben avrebbe potuto, anche con un piano di rateizzazione, saldare i propri debiti fiscali, ottenendo proporzionalmente la riduzione e financo
la revoca del sequestro preventivo, così rientrando nella piena disponibilità dei propri averi, senza subire alcuna duplicazione nel trattamento punitivo. Né la circostanza – anch’essa meramente asserita dalla difesa – della mancanza di un provvedimento di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria è di per sé preclusiva rispetto al pagamento di quanto dovuto all’erario.
2.7. Il settimo motivo di ricorso – con cui la difesa si duole della mancata applicazione dell’art. 9 del d.lgs. 74/2000 nel momento in cui l’emittente corrisponda con l’utilizzatore, come nel caso di specie – è manifestamente infondato.
Lo stesso ricorrente – pur astenendosi dagli opportuni richiami giurisprudenziali – ammette di essere conscio del fatto che la relativa questione di diritto è risolta dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che l’art. 9 richiamato, contenente una deroga alla regola generale fissata dall’art. 110 cod. pen. in tema di concorso di persone nel reato, esclude la rilevanza penale del concorso dell’utilizzatore nelle condotte del diverso soggetto emittente, ma non trova applicazione quando la medesima persona proceda in proprio sia all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, sia alla loro successiva utilizzazione (ex plurimis, Sez. 3, n. 34021 del 29/10/2020, Rv. 280370; Sez. 3, n. 5434 del 25/10/2016, dep. 06/02/2017, Rv. 269279; Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, Rv. 260993; Sez. 3, n. 19025 del 20/12/2012, dep. 02/05/2013, Rv. 255396).
2.8. Il motivo aggiunto di ricorso, presentato con memoria del 21 novembre 2024, con il quale si chiede il riconoscimento della prescrizione con riferimento alla dichiarazione del 16 settembre 2014, è inammissibile sia perché, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., “l’inammissibilità dell’impugnazione si estende anche ai motivi nuovi”, sia perché riferita ad una prescrizione maturata dopo la sentenza di appello. Trova dunque applicazione il noto principio secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (ex plurimis, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, Rv. 217266).
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto – conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
• GLYPH quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 12/12/2024.