Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27707 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27707 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso presentato da COGNOME NOME NOMECOGNOME nato a Corigliano Calabro, il 23/08/1978 avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro dell’11/09/2024 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATI -0
Con sentenza dell’11/09/2024 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui il Tribunale di Castrovillari aveva dichiarato l’odierno ricorrente, nella sua qualità di legale rappresentante p.t. della società RAGIONE_SOCIALE colpevole dei
reati ascrittigli – di cui all’art. 2 d.lvo n. 74/2000 (capo a), e 81 cpv., 10-quater, comma 2, d.lvo 7472000- e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione, con le pene accessorie di legge, e col beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso, affidato a due motivi.
2.1. Col primo motivo il ricorrente deduce violazione ed erronea applicazione di legge -in relazione agli artt. 2, 10-quater d.lvo n. 74/2000, e 192 cod.proc.pen.e travisamento delle risultanze processuali e carenza o comunque illogicità manifesta della motivazione.
La Corte di appello di Catanzaro avrebbe ritenuto acquisita la prova della inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture indicate in imputazione esclusivamente sulla base dell’accertamento tributario condotto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, società emittente, valorizzando quali indizi «gravissimi, univoci e concordanti» quelli risultanti dall’accertamento a carico della medesima, ossia l’assenza di una sede operativa, la mancanza di dipendenti, l’omessa presentazione delle dichiarazioni a fini fiscali e dei bilanci, l’irrintracciabilità del legale rappresentante, le peculiari modalità di pagamento della fornitura.
Con ciò, secondo prospettazione difensiva, affidandosi ad una “automatica applicazione di presunzioni che hanno valore di prova solo in sede tributaria”, laddove, ai fini della dimostrazione dell’illecito tributario, il giudice penale, tenuto all’applicazione del criterio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, corollario del principio di presunzione di innocenza di cui all’art. 27, comma 2, Cost., può valersi, solo, di indizi valorizzabili a mente dell’art. 192, comma 2, cod.proc.pen.
In ordine alla pregnanza probatoria del compendio indiziario comunque, ove valorizzabile, ricorrerebbe vizio motivazionale per violazione dell’art. 192, comma 2, cod.proc.pen., per aver violato la Corte territoriale il divieto della cd. praesumptio de praesumpto, allorquando ha desunto dalla presunzione di inoperatività della RAGIONE_SOCIALE la (presunta) inesistenza delle operazioni di fornitura, da cui la ritenuta sussistenza dei contestati reati.
2.2. Col secondo motivo deduce violazione ed erronea applicazione di legge -in relazione agli artt. 2, e 10-quater d.lvo n. 74/2000- e correlato vizio di motivazione, in ordine all’elemento soggettivo dei contestati reati.
Il ricorrente contesta l’esistenza del dolo specifico di evasione in ragione della emissione, in relazione alle fatture oggetto di imputazione, di note di credito “tali da annullare gli effetti fiscali della detrazione delle imposte conseguenti alla precedente utilizzazione delle fatture stesse, così consentendo la ripresa della relativa imposizione da parte degli uffici tributari, con vanificazione della specifica
finalità di evasione necessaria ai fini della ricorrenza del delitto di cui all’art. 2 del d.lvo n. 74/2000″.
Si tratta di operazione non fittizia, ma solo tardiva, la cui valutazione da parte della Corte di appello sarebbe, secondo prospettazione difensiva, in contrasto col consolidato insegnamento di legittimità, poiché prescinde dalla valutazione complessiva della volontà e della finalità dell’imputato di evadere la propria obbligazione tributaria, occorrendo, ai fini della prova del dolo, non la mera consapevolezza dell’entità dell’imposta evasa, ma il dolo specifico, risultante da elementi specifici da cui trarre la convinzione che la condotta tenuta era effettivamente volta all’evasione dell:posta, quale il mancato pagamento postumo, la reiterazione dell’omissione per più anni, il disinteresse rispetto a richieste e verifiche tributarie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Innanzi tutto osserva il collegio che i motivi qui formulati sono meramente reiterativi di quelli (primo e secondo) proposti con l’atto di appello innanzi alla Corte del territorio, e con la motivazione resa non si confrontano.
Il ricorso è, perciò, intanto per tale motivo, inammissibile, venendo riproposte in questa sede di legittimità doglianze già correttamente, disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale.
E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217). La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, !ungi’ dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, cit.).
2.E’ esattamente quanto accaduto nel caso di specie.
I motivi di ricorso sono, come anticipato, sovrapponibili al primo e secondo motivo di appello, rispettivamente in relazione ai capi a) e b) di imputazione, come risulta evidente dalla sintesi delle lagnanze difensive di cui al «ritenuto in fatto» e dalla discussione che di seguito se ne propone.
2.1.. I motivi sono, altresì, manifestamente infondati.
2.1.1. Con riferimento al primo, la Corte di appello aveva rilevato come le indagini fiscali avessero permesso di accertare, in relazione alla RAGIONE_SOCIALE, non incerti dati reddituali, ma oggettivi elementi e situazioni di fatto non superabili da astratte congetture (quelle difensive) del tutto disancorate dalle risultanze processuali, id est l’inattività della società “RAGIONE_SOCIALE“, la mancata presentazione da parte della stessa -e fin dal 2012- di bilanci e dichiarazioni annuali a fini di imposta, la mancata produzione di prodotti o merce (da cui l’improponibilità anche logica, oltre che per la assoluta sua astrattezza, del ricorso a modalità di fornitura alternative, di tipo informatico, che comunque non la avrebbero esonerata dall’assolvere all’obbligo di redazione e deposito dei bilanci e delle dichiarazioni fiscali), la mancanza di dipendenti, la fittizietà degli indicati sede e domicilio fiscale, e luogo di esercizio dell’attività commerciale, l’irrintracciabilità del legale rappresentante, la esclusività dei rapporti commerciali con la RAGIONE_SOCIALE, le modalità di pagamento delle fatture, in assenza di una derivazione causale da un contratto di fornitura e mercè assegni bancari tratti su conto corrente non rintracciato, escludendo perciò rilevanza sia alla astratta compatibilità della merce asseritamente acquistata dalla RAGIONE_SOCIALE con l’attività in concreto esercitata dalla società dell’odierno imputato che alla esistenza di documenti di trasporto formalmente regolari ma svincolati da rapporti sottostanti.
Si tratta di argomenti incontestabili, che,sinergicamente valutati integranoquella gravità, univocità e concludenza necessaria e sufficiente a integrare, ex art. 192, comma 2, cod.proc.pen., prova della oggettiva inesistenza delle operazioni formalmente sottese alle fatture dedotte in imputazione, non certo -come denunciato dalla difesa- semplice derivazione dell’utilizzazione di presunzioni, valide, al più, in sede tributaria, e che rendono del tutto infondata la censura di
violazione del divieto della cd. praesumptio de praesumpto, per l’ovvia considerazione dell’assenza di qualsivoglia presunzione nel primo blocco logico considerato quale base del percorso inferenziale conducente alla affermazione della responsabilità del ricorrente.
Si rammenta che il principio per il quale il giudice pronuncia sentenza di condanna «al di là di ogni ragionevole dubbio» non si riferisce alla necessità di considerare ovvero di confutare ogni possibile e diversa ricostruzione fornita dalle parti (Sez. 2, Sentenza n. 28957 del 03/04/2017, Sandra, Rv. 270108), operazione logica comunque nella specie effettuata correttamente . Il citato criterio di valutazione, infatti, impone al giudice di procedere ad una valutazione complessiva nella quale siano considerate in modo coerente e logico tutte le risultanze processuali e siano considerate, anche implicitamente, solo le ipotesi che non siano frutto di ragionamenti congetturarli (Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014 dep. 2015, Rv 262280). In tale contesto, pertanto, la violazione dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» è configurabile esclusivamente quando il giudice, ancorando la decisione ad elementi privi di riscontro nelle emergenze processuali, non tenga in alcun conto della diversa e più coerente (in quanto fondata su elementi concreti, emersi ed acquisiti nel processo) ricostruzione alternativa, solo così idonea ad ingenerare un dubbio ragionevole.
Nè può, al contrario, tale principio essere dedotto in sede di legittimità invocando una diversa valutazione delle fonti di prova, ovvero un’attività esclusa dal perimetro della giurisdizione di legittimità, ma solo evidenziando vizi logici manifesti e decisivi del tessuto motivazionale, dato che oggetto del giudizio di cassazione non è la valutazione (di merito) delle prove, ma la tenuta logica della sentenza di condanna. Non ogni «dubbio» sulla ricostruzione probatoria fatta propria dalla Corte di merito si traduce in una «illogicità manifesta», essendo necessariache sia rilevato un vizio logico che incrini in modo severo la tenuta della motivazione, evidenziando una frattura logica non solo manifesta, ma anche decisiva, in quanto essenziale per la tenuta del ragionamento giudiziale giustificativo della condanna.
La nuova o diversa valutazione delle prove, invocata nei gradi di merito, quando il rispetto del criterio dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» non incontra il limite funzionale che caratterizza il giudizio di cassazione (Cass. Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270108), è stata dalla Corte territoriale vagliata ed esclusa con argomentazioni corrette in diritto e motivate senza illogicità manifeste, sicchè si sottrae a qualsiasi censura. Il parametro di valutazione indicato nell’art. 533 cod. proc. pen., che richiede che la condanna sia pronunciata se è fugato ogni «dubbio ragionevole», opera in questa sede di legittimità solo nella misura in cui la sua inosservanza si traduca in una manifesta illogicità del tessuto motivazionale
(Sez. 2, n. 18313 del 09/01/2020, Curca, n.m.), posto che può essere sottoposta al giudizio di cassazione solo la tenuta logica della motivazione, ma non la capacità dimostrativa delle prove, ove le stesse siano state legittimamente assunte, come nel caso di specie.
2.1.2. Quanto al secondo motivo già la Corte di merito aveva ritenuto la nota di storno delle fatture di cui alle imputazioni un mero tardivo artificio contabile (come ritenuto in primo grado), in quanto tale inefficace ad elidere il dolo di evasione.
Sulla tardività dello storno corretta si palesa la ricostruzione dei giudici di merito, che hanno fatto corretta applicazione del disposto di cui all’art. 26 dPR 633/76, secondo cui un adempimento siffatto deve esser posto in essere entro un anno dalla effettuazione dell’operazione da annullarsi.
Laddove il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, si perfeziona al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno d’imposta, non essendo altresì necessario che l’Agenzia delle entrate validi l’effettuata compensazione del debito tributario con i crediti indicati nel modello, atteso che questa è un’operazione successiva e l’eventuale disconoscimento del credito costituisce un elemento suscettibile di aggravare il reato, quantomeno sotto il profilo dell’intensità del dolo.
Corretta è, anche, la sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’esistenza dell’elemento soggettivo che, Come noto, in fatto di reato di indebita compensazione di crediti inesistenti, valorizza, a tal fine, la stessa inesistenza del credito quale indice rivelatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l’Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, ingannando il fisco (a differenza di quanto necessari( * ) per il caso in cui vengano dedotti crediti “non spettanti”, sebbene certi nella loro esistenza e ammontare, ipotesi in cui si ritiene necessario provare la consapevolezza da parte del contribuente che il credito non sia utilizzabile in sede compensativa).
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13 marzo 2025
Il Presidente