Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4147 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato in Iran il 04/11/1955
avverso la sentenza del 16/06/2022 della Corte d’appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, d Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; lette le memorie del difensore, avv. NOME COGNOME del foro di Firenze, che
insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Firenze, per quanto rileva in questa sede, ha confermato la decisione emessa dal Tribunale di Firenze, appellata dagli imputati, la quale aveva condannato NOME COGNOME nella sua qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE alla pena ritenuta di giustizia in relazione a tre violazioni dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2 relative alle annualità di imposta 2011, 2012 e 2013, contestate ai capi 1), 2) e 3) dell’imputazione.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il ministero dei difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sviluppato in due motivi.
2.1. Con un primo motivo, eccepisce il vizio di assenza di motivazione per omesso esame delle censure mosse con l’appello. Rappresenta il difensore che, a fronte delle ampie censure contenute nell’atto di appello, distinte per ciascun emittente le fatture asseritamente fittizie, la Corte di appello ha offerto una motivazione scarna e assolutamente generica, essendo priva di riferimenti specifici in merito all’asserita inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate i fatture; aggiunge il difensore che la Corte di merito, laddove ha affermato che spetta all’appellante allegare elementi da cui desumere un minimo di attività, ha violato il principio secondo cui spetta all’accusa dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza dell’imputato, presunto innocente fino alla sentenza irrevocabile di condanna.
2.2. Con un secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 per insussistenza dell’elemento oggettivo del reato di dichiarazione fraudolenta. Espone il difensore che gli elementi posti a fondamento del giudizio di penale responsabilità hanno natura meramente presuntiva. In particolare: 1) quanto alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, l’operante, m.11o COGNOME, non ha saputo riferire nulla in merito al luogo e alla tempistica dell’accesso presso la sede della società, né nell’avviso di accertamento viene fatto cenno alle indagini svolte; parimenti, l’omessa presentazione di dichiarazioni fiscali rappresenta un mero elemento presuntivo, che nulla dice in ordine all’inesistenza delle prestazioni indicate in fattura, né può porsi a carico dell’acquirente l’onere di indagare preventivamente sulla posizione contributiva e fiscale del fornitore; dagli atti, inoltre, risulta che la COGNOME ha inviato all’amministrazio finanziario il cd. spesometro, il che dimostrare che aveva una certa operatività, e che tutte le fatture furono regolarmente pagate mediante assegni e, in piccolissima parte, in contanti; 2) quanto alla fattura emessa dalla RAGIONE_SOCIALE, gli elementi indicati dal Tribunale o hanno una valenza neutra, come la
riconducibilità della società alla moglie dell’imputato, o non trovano riscontro negli atti probatori, come la circostanza che la sede sociale fosse nello stesso luogo dove pure aveva sede la RAGIONE_SOCIALE ovvero sono irrilevanti, quale l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2012; inoltre, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la fattura fu integralmente pagata e, in ogni caso, non è stato effettuato alcun accertamento bancario; 3) quanto alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE espone il difensore che una società, pur in liquidazione, può emettere fatture e che nulla è emerso in ordine all’asserito svuotamento dei cespiti patrimoniali, come risulta dalla deposizione del brig. COGNOME il quale ha negato di aver svolto alcun accertamento sulla società; ancora, gli ulteriori elementi indicati dal tribunale – ossia la registrazio delle fatture il 31 dicembre 2012 e il parziale pagamento delle prestazioni – sono privi di consistenza probatoria; 4) quanto alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE NOME di COGNOME NOME, evidenzia il difensore che gli elementi addotti dal Tribunale, ossia il fatto che la società fu attiva solo per un breve periodo nel 2009 e che il COGNOME non fosse, da tempo, più reperibile in Toscana, sono privi di riscontro probatorio; 5) quanto alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE NOME di NOME COGNOME, anche in tal caso gli elementi presuntivi indicati dal Tribunale ossia che la società era cessata nel 2012 e il mancato pagamento delle imposte non trovano riscontro nella deposizione del m.NOME COGNOME come riportata, per sunto, nel ricorso (a p. 29).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. In premessa, vale osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione (di responsabilità), il che limita all’evidenza i poteri d rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nel senso che, ai limiti conseguenti all’impossibilità per la Cassazione di procedere ad una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, essendo è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del qua neppure potrebbe evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito – ma non è certamente questo il caso, alla luce dei motivi dedotti – abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tale ipotesi, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valuta
dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti element sussistano.
Va, poi, ulteriormente precisato che, ai fini del controllo di legittimità s vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si sald con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615).
Nel caso di specie, si osserva che la Corte di appello, con una motivazione sintetica ma non per questo non esaustiva o, addirittura, apparente, come dedotto con il primo motivo, ha mostrato di condividere le considerazioni, ampie ed analitiche, svolte dal Tribunale in relazione alla oggettiva inesistenza delle operazioni economiche indicate nelle fatture in contestazione (in particolare, alle p. da 9 a 18 della sentenza di primo grado), e ciò sulla base degli elementi che la Corte stessa ha riassunto alle p. 4 e 5 della sentenza impugnata, da cui emerge un dato dirimente, ossia che nessuno degli emittenti le fatture utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE risultava svolgere attività di impresa.
Si osserva, poi, che le argomentazioni dedotte con il secondo motivo hanno un contenuto fattuale, attinendo unicamente ed esclusivamente alla valutazione delle prove – il ricorrente, infatti, non deduce il vizio di travisament – e a profili ricostruttivi della vicenda, come emerge ictu ()cui/ dalla tecnica redazionale del motivo stesso, essendo strutturato a confutare la valenza probatoria degli elementi individuati dal Tribunale a sostegno della fittizietà delle operazioni indicate nelle fatture, ad essa contrapponendo una diversa lettura di quei dati, il che esula dai casi previsti dell’art. 606 cod. proc. pen.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17/12/2024.