Fatture False: La Cassazione Conferma la Condanna e Dichiara il Ricorso Inammissibile
L’utilizzo di fatture false per operazioni inesistenti è uno dei reati tributari più insidiosi, con conseguenze penali significative per gli imprenditori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti, ma una sede dove si controlla esclusivamente la corretta applicazione della legge. Analizziamo il caso.
Il Caso: Una Condanna per l’Uso di Fatture False
Un imprenditore era stato condannato sia in primo grado dal Tribunale sia in secondo grado dalla Corte d’Appello alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 74/2000.
Secondo l’accusa, confermata nei primi due gradi di giudizio, l’imprenditore aveva utilizzato fatture emesse da un’impresa edile per documentare costi fittizi e abbattere così il proprio carico fiscale. La difesa dell’imputato sosteneva, al contrario, che i lavori fossero stati realmente eseguiti e che le sentenze di condanna si basassero unicamente su presunzioni tributarie, senza prove concrete.
Il Ricorso in Cassazione e le Motivazioni della Difesa
Di fronte alla condanna definitiva, l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero considerato adeguatamente alcuni elementi a favore dell’imputato, tra cui:
* La confessione dell’emittente delle fatture, che in un separato processo aveva negato il coinvolgimento del ricorrente.
* Le testimonianze che confermavano l’effettiva esecuzione dei lavori da parte di un’impresa edile esistente e operante.
L’obiettivo del ricorso era dimostrare che la motivazione della sentenza di condanna fosse insufficiente sia riguardo all’elemento oggettivo (l’effettiva inesistenza delle operazioni) sia a quello soggettivo (il dolo).
Le Motivazioni della Cassazione: Perché il Ricorso sulle Fatture False è Inammissibile
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su un punto cardine del diritto processuale: la Cassazione non può riesaminare i fatti.
I giudici hanno chiarito che il ricorso non presentava reali vizi di legge, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. In pratica, si chiedeva alla Cassazione una nuova valutazione delle prove, un compito che non le spetta.
La Corte ha sottolineato come la motivazione della sentenza d’appello fosse tutt’altro che carente. Anzi, era congrua, logica e basata su risultanze oggettive emerse durante il processo, tra cui:
1. Natura dell’impresa emittente: Gli accertamenti avevano rivelato che la società che aveva emesso le fatture false era una mera “scatola vuota”, priva di sede, beni strumentali, materiali e, soprattutto, della forza lavoro necessaria per eseguire le prestazioni indicate.
2. Genericità dei documenti: Le fatture erano risultate estremamente generiche, senza indicazioni precise sul numero di ore lavorate, sul tipo di attività svolta o sui cantieri specifici. L’unico cantiere menzionato, peraltro, presentava evidenti elementi di fittizietà.
3. Inattendibilità delle testimonianze: Le dichiarazioni dell’emittente delle fatture e dei testimoni a difesa sono state giudicate inattendibili e smentite dagli elementi oggettivi raccolti.
4. Assenza di prova dei pagamenti: Non vi era alcun riscontro dei pagamenti, che secondo la difesa sarebbero avvenuti tutti in contanti. Questa versione è stata ritenuta inverosimile, date anche le modeste movimentazioni bancarie sul conto del ricorrente, che non giustificavano la disponibilità di tali somme in contanti.
Conclusioni: Limiti del Ricorso e Onere della Prova
Questa ordinanza è un monito importante: la difesa contro un’accusa di utilizzo di fatture false deve essere costruita solidamente fin dai primi gradi di giudizio. Non è possibile sperare di ribaltare una condanna in Cassazione chiedendo ai giudici di rileggere le carte processuali con una lente diversa.
La Corte di legittimità interviene solo in caso di errori di diritto o di motivazioni manifestamente illogiche o contraddittorie, non per offrire una terza chance di valutazione del merito. La decisione conferma che, di fronte a un quadro probatorio solido che indica l’inesistenza delle operazioni, spetta all’imputato fornire prove concrete e credibili del contrario, non bastando testimonianze generiche o versioni dei fatti prive di riscontri oggettivi.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e le testimonianze di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove (come testimonianze o documenti), ma verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e fornito una motivazione logica e non contraddittoria.
Perché il ricorso per l’utilizzo di fatture false è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, invece di contestare vizi di legge, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, chiedendo di fatto una nuova e diversa interpretazione delle prove. Questo tipo di richiesta esula dalle competenze della Cassazione.
Quali elementi hanno convinto i giudici della colpevolezza dell’imputato per il reato di fatture false?
I giudici hanno basato la condanna su prove oggettive: l’impresa emittente era una “scatola vuota” (senza sede, beni o personale), le fatture erano generiche, le dichiarazioni del presunto fornitore e dei testimoni della difesa sono state ritenute inattendibili e contraddette dai fatti, e mancava qualsiasi prova dei pagamenti, che sarebbero avvenuti solo in contanti nonostante l’assenza di disponibilità economiche adeguate.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30163 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30163 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VERZINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/01/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
A
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che con sentenza del 18/1/2024 la Corte di appello di Genova confermava la pronuncia emessa il 1°/3/2023 dal Tribunale di Savona, con la quale NOME COGNOME era stato dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 2, d. Ig 10 marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione.
Rilevato che propone ricorso per cassazione l’imputato, contestando il vizio di motivazione. La sentenza si fonderebbe soltanto su presunzioni tributarie, a seguito di un accertamento contabile induttivo che non avrebbe ricevuto alcuna conferma istruttoria. In senso contrario, l’emittente NOME COGNOME (giudicato in separato processo) avrebbe reso ampia confessione, negando ogni coinvolgimento del ricorrente; ancora, i testimoni avrebbero confermato l’effettiva esecuzione dei lavori, attraverso un’impresa edile – quella del COGNOME – esistente e concretamente operante. Ne deriverebbe una motivazione insufficiente, quanto al profilo oggettivo ed al dolo del reato.
Considerato che il ricorso è inammissibile, perché – riproponendo le medesime censure avanzate alla Corte di appello – tende ad ottenere in questa sede una nuova e non consentita lettura delle stesse emergenze istruttorie già esaminate dai Giudici di merito, sollecitandone una valutazione diversa e più favorevole invero preclusa alla Corte di legittimità.
La doglianza, inoltre, trascura che la Corte di appello – pronunciandosi proprio sulla questione qui riprodotta – ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e non manifestamente illogica; come tale, quindi, non censurabile. La sentenza, in particolare, ha evidenziato che la responsabilità del ricorrente, lungi dal basarsi su argomenti presuntivi o meramente induttivi, trovava il proprio fondamento negli accertamenti compiuti sull’emittente “RAGIONE_SOCIALE NOME“, risultato ente privo di sede, di beni strumentali, di materiali di consumo, oltre che di forza lavoro necessaria per eseguire le prestazioni indicate nelle fatture; questi documenti, peraltro, erano risultati del tutto generici, non indicando il numero delle ore lavorate, il gene delle attività appaltate o i cantieri in cui sarebbero state prestate (tranne che un caso – RAGIONE_SOCIALE di Varazze – nel quale, tuttavia, erano comunque emersi chiari elementi di fittizietà, richiamati alla pag. 1 della sentenza e non contestat La Corte di appello, di seguito, ha ritenuto inverosimili le dichiarazioni del COGNOME (adeguatamente valutato come soggetto inattendibile), anche perché smentite dagli oggettivi elementi appena richiamati. Ancora a conferma della fittizietà delle opere, è stata evidenziata l’assenza di riscontri ai pagamenti, che si assumono essere avvenuti tutti per contanti; peraltro’ la difesa non aveva provato in che
modo il ricorrente avrebbe potuto acquisire le necessarie disponibilità, date le modeste movimentazioni del conto che lo stesso COGNOME aveva eseguito nel tempo. Infine, la sentenza ha analizzato le dichiarazioni dei testi a difesa (COGNOME, COGNOME), evidenziandone il carattere generico e motivando in modo del tutto logico ed adeguato quanto alla loro inattendibilità. Così da c:onfermare il giudizio di responsabilità, anche quanto al profilo soggettivo del reato, con motivazione che non merita censura.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve esser dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 21 giugno 2024
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