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Fatture false: Cassazione su pena e continuazione

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso di un imprenditore condannato per l’utilizzo di fatture false. La Corte ha confermato la responsabilità penale e la legittimità della confisca del profitto del reato, ma ha annullato la sentenza limitatamente al calcolo della pena. È stato ritenuto illogico l’aumento di pena per il reato continuato, in quanto non teneva conto della diversa gravità degli episodi di evasione fiscale. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello per una nuova determinazione della sanzione.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Diritto Tributario, Giurisprudenza Penale

Fatture false: la Cassazione detta i principi sul calcolo della pena

L’utilizzo di fatture false è una delle pratiche più diffuse per evadere il fisco, un reato che prevede conseguenze severe. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 34071/2025, è intervenuta su un caso emblematico, offrendo chiarimenti cruciali non solo sulla prova della colpevolezza e sulla confisca dei profitti illeciti, ma soprattutto sui criteri per determinare la pena in caso di violazioni ripetute nel tempo (il cosiddetto reato continuato).

I Fatti del Caso

Un imprenditore, legale rappresentante di una società operante nel commercio di calzature e prodotti in pellame, era stato condannato in primo e secondo grado per aver utilizzato fatture false relative a operazioni inesistenti nelle dichiarazioni fiscali degli anni 2013 e 2014. Attraverso questo meccanismo, aveva abbattuto il reddito imponibile, ottenendo un significativo risparmio d’imposta. La condanna complessiva era stata di due anni di reclusione.

L’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione, contestando tre aspetti principali:
1. La condanna si basava su prove di carattere presuntivo, inadatte a fondare una responsabilità penale.
2. L’aumento di pena per il secondo anno di evasione era sproporzionato rispetto alla minore entità dell’importo evaso.
3. La confisca dell’IVA era illegittima.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i tre motivi di ricorso, giungendo a una decisione articolata che conferma la colpevolezza ma interviene sulla sanzione.

La Prova della Responsabilità Penale

Il primo motivo è stato dichiarato inammissibile. I giudici hanno chiarito che la condanna non si fondava su mere presunzioni, ma su elementi concreti e convergenti: i pagamenti delle fatture erano avvenuti con mezzi non tracciabili, le società fornitrici erano risultate prive di una reale struttura operativa (le cosiddette ‘cartiere’) e l’imputato non era stato in grado di dimostrare l’effettività della maggior parte delle operazioni contestate. Questi indizi, considerati nel loro insieme, sono stati ritenuti sufficienti a provare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’utilizzo di fatture false.

La Legittimità della Confisca del Profitto

Anche il motivo relativo alla confisca è stato respinto. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’IVA indicata su fatture per operazioni inesistenti, e indebitamente portata a credito, costituisce un profitto illecito. Tale profitto, che si manifesta come un ‘risparmio di spesa’, deve essere oggetto di confisca, anche per equivalente, come previsto dall’art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000. La natura fittizia dell’operazione, sia essa oggettiva o soggettiva, non cambia la sostanza: l’imposta non è mai stata legittimamente versata e quindi non può generare un credito.

Il Calcolo della Pena per le Fatture False e il Reato Continuato

Il secondo motivo di ricorso è stato invece accolto. La Cassazione ha rilevato un’evidente irragionevolezza nel calcolo della pena effettuato dai giudici di merito. L’evasione fiscale relativa al 2014 era di importo sensibilmente inferiore (meno della metà) rispetto a quella del 2013. Nonostante ciò, i giudici avevano applicato un aumento di pena di sei mesi, partendo da una ‘pena autonoma’ identica a quella del reato più grave. Questa valutazione è stata giudicata illogica e priva di adeguata motivazione. L’aumento di pena per il reato continuato deve, infatti, tenere conto della specifica gravità di ogni singola violazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando la distinzione tra gli indizi validi in sede tributaria e le prove necessarie per una condanna penale. In questo caso, gli elementi raccolti (pagamenti non tracciabili, fornitori inesistenti) superavano la soglia della presunzione, assumendo il carattere di prova reale e concordante della frode. Per quanto riguarda la pena, la motivazione ha censurato l’automatismo sanzionatorio dei giudici di merito, ribadendo la necessità di una valutazione ponderata e proporzionata della gravità di ciascun reato, anche nell’ambito del disegno criminoso unitario. L’annullamento parziale della sentenza si è reso necessario per correggere questo vizio di motivazione, senza intaccare l’accertamento della responsabilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa sentenza offre due importanti indicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che un quadro indiziario solido, basato su elementi oggettivi come la natura dei fornitori e le modalità di pagamento, è sufficiente per fondare una condanna per l’uso di fatture false. In secondo luogo, stabilisce un principio di proporzionalità fondamentale nel calcolo della pena per il reato continuato in materia fiscale: l’aumento di pena deve essere commisurato alla reale entità e gravità di ogni singola violazione, non può essere un’applicazione automatica e sproporzionata. La sentenza è stata quindi annullata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà rideterminare l’aumento di pena per il secondo reato in modo più equo e motivato.

Quali elementi provano l’uso di fatture false in un processo penale?
Secondo la sentenza, la prova può essere raggiunta attraverso un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, come pagamenti effettuati con mezzi non tracciabili, l’assenza di una struttura operativa delle società fornitrici (le cosiddette ‘cartiere’) e l’incapacità dell’imputato di dimostrare l’effettiva esecuzione delle prestazioni fatturate.

L’IVA indicata su fatture false può essere confiscata?
Sì. La Corte ha confermato che l’IVA indebitamente detratta sulla base di fatture per operazioni inesistenti costituisce profitto del reato, in quanto rappresenta un risparmio di spesa. Di conseguenza, tale somma è soggetta a confisca, anche nella forma per equivalente.

Come si calcola la pena se si usano fatture false per più anni consecutivi?
In caso di reato continuato, l’aumento di pena per i reati successivi al primo deve essere proporzionato alla gravità di ciascun singolo episodio. La sentenza ha stabilito che è illogico applicare un aumento significativo per un’evasione di importo molto inferiore a quella del reato base, richiedendo una valutazione ponderata e motivata della sanzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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