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Fattori compensativi: quando escludono il risarcimento

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un detenuto che chiedeva un risarcimento per aver vissuto in una cella con meno di 3 mq di spazio personale. La Corte ha stabilito che la presenza di significativi fattori compensativi, come la possibilità di trascorrere oltre 12 ore al giorno fuori dalla cella in un regime ‘aperto’, svolgendo attività lavorative e comuni, è sufficiente a superare la presunzione di trattamento inumano, escludendo così il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fattori Compensativi e Spazio Vitale in Cella: La Cassazione Fa il Punto

La questione dello spazio vitale nelle carceri è un tema centrale per la tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 47350/2024) ha ribadito un principio cruciale: la presenza di adeguati fattori compensativi può neutralizzare la presunzione di trattamento inumano e degradante, anche quando lo spazio individuale in cella è inferiore alla soglia minima di 3 metri quadrati. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un detenuto aveva ottenuto dal Magistrato di Sorveglianza un risarcimento di 1.600,00 euro per aver subito un danno a causa delle condizioni detentive per un periodo di 200 giorni. Il problema principale era lo spazio personale a sua disposizione in cella, quantificato in soli 2,8 metri quadrati, quindi al di sotto della soglia minima indicata dalla giurisprudenza europea.

Contro questa decisione, il Ministero della Giustizia ha proposto reclamo al Tribunale di Sorveglianza, il quale ha accolto l’istanza e revocato il risarcimento. Il Tribunale ha motivato la sua scelta sostenendo la presenza di elementi positivi nella detenzione che compensavano la mancanza di spazio. Il detenuto ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione di tali elementi.

La Valutazione dei Fattori Compensativi

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione e applicazione dei fattori compensativi. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente e fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 6551/2020), ha chiarito i criteri per questa valutazione.

Secondo le Sezioni Unite, uno spazio vivibile inferiore a 3 metri quadrati crea una forte presunzione di violazione dei diritti. Tuttavia, questa presunzione non è assoluta e può essere superata se coesistono altre condizioni positive, tra cui:

* Breve durata della detenzione.
* Dignitose condizioni carcerarie generali (igiene, luce, aria).
* Sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella.
* Svolgimento di adeguate attività (lavorative, ricreative, formative).

Nel caso specifico, la Cassazione ha ritenuto che il Tribunale di Sorveglianza avesse correttamente applicato questi principi.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha dichiarato infondato il ricorso del detenuto, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. La motivazione si basa su un’analisi concreta delle condizioni di detenzione. È stato provato che, nonostante lo spazio insufficiente, il detenuto beneficiava di un regime penitenziario ‘aperto’.

Questo regime gli garantiva una notevole libertà di movimento, permettendogli di rimanere fuori dalla cella fino a 12 ore e 30 minuti al giorno. Inoltre, aveva la possibilità di svolgere attività lavorativa e di partecipare ad attività comuni. Secondo la Corte, questa combinazione di elementi costituisce un quadro di fattori compensativi così significativo da neutralizzare il pregiudizio derivante dallo spazio angusto. La valutazione non deve essere frammentaria, ma complessiva, e in questo caso l’ampia libertà di movimento e le opportunità offerte hanno superato il dato negativo dello spazio fisico.

Conclusioni Pratiche

La sentenza n. 47350/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale pragmatico. Non basta dimostrare di aver avuto a disposizione meno di 3 mq per ottenere automaticamente un risarcimento. È necessaria una valutazione globale delle condizioni di detenzione. La decisione sottolinea l’importanza del regime ‘aperto’ come principale strumento per garantire una detenzione rispettosa della dignità umana, anche in contesti di sovraffollamento. Per i detenuti, ciò significa che la richiesta di risarcimento ex art. 35 ter ord. pen. deve tenere conto non solo dello spazio, ma di tutte le altre condizioni di vita quotidiana. Per l’amministrazione penitenziaria, la sentenza rappresenta un incentivo a implementare regimi trattamentali che favoriscano la permanenza fuori dalle celle, come soluzione per mitigare i problemi strutturali degli istituti.

A quali condizioni uno spazio in cella inferiore a 3 metri quadrati non dà diritto al risarcimento?
Uno spazio inferiore a 3 mq non dà diritto al risarcimento se sono presenti sufficienti e cumulativi fattori compensativi. Questi includono una sufficiente libertà di movimento fuori dalla cella, la possibilità di svolgere attività lavorative o ricreative e, in generale, dignitose condizioni carcerarie.

Cosa si intende per ‘regime penitenziario aperto’ e perché è rilevante?
Per ‘regime penitenziario aperto’ si intende una modalità di detenzione che consente al detenuto di trascorrere gran parte della giornata (nel caso di specie, fino a 12,5 ore) al di fuori della cella per partecipare a varie attività. È rilevante perché costituisce uno dei principali fattori compensativi che possono neutralizzare il pregiudizio derivante da uno spazio vitale ridotto.

La valutazione dei fattori compensativi deve essere analitica o complessiva?
Secondo la Corte di Cassazione, la valutazione deve essere di carattere complessivo e generale. Non si devono considerare i singoli elementi (spazio, ore d’aria, lavoro) in modo isolato, ma si deve valutare unitariamente se, nel loro insieme, le condizioni di detenzione abbiano rispettato o meno la dignità della persona.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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