Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17171 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17171 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 05/01/2005
avverso l’ordinanza del 25/10/2024 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 25 ottobre 2024, ha rigettato l’istanza proposta da NOME COGNOME di rideterminare la pena inflitta con la sentenza n. 1446/2023 con la quale il Tribunale di Genova lo ha condannato per il reato di cui all’art. 628, comma secondo, cod. pen.
Con la richiesta il ricorrente ha chiesto il riconoscimento dell’attenuante a seguito della sentenza n. 86 del 2024 della Corte cost. i che ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevedeva che la pena sia diminuita di un terzo se il fatto risulta di lieve entità.
Il giudice di esecuzione, considerate le modalità dell’azione, ritenuto che la condotta non era occasionale e che erano stati commessi più reati, ha escluso che il fatto possa ritenersi di lieve entità e ha pertanto rigettato la richiesta.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il condannato che, a mezzo del difensore, ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione evidenziando che la conclusione del giudice dell’esecuzione sarebbe errata in quanto non avrebbe in effetti considerato quanto accertato dalla sentenza di condanna, dalla quale risulta che il valore dei beni sottratti (un gettone di autolavaggio, una ricarica del cellulare, un passaporto, un cacciavite, una pinza e due confezioni di profumo) è minimo e che le modalità dell’azione sono consistite in una unica spinta che non ha prodotto lesioni. Sotto altro profilo sarebbe anche errato ritenere che il reato non sia occasionale.
In data 14 gennaio 2025 sono pervenute in cancelleria le conclusioni con le quali il Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME chiede che il ricorso sia rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nell’unico motivo di ricorso la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla valutazione effettuata circa la reale consistenza della gravità del fatto.
La doglianza è infondata.
2.1. Al ricorrente, ritenute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e, prese le mosse dal minimo edittale, è stata applicata la pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. in relazione al reato di rapina impropria per avere sottratto, in concorso con un altro soggetto, degli oggetti da alcune autovetture in sosta e di avere spintonato un agente nel frattempo intervenuto al fine di darsi alla fuga.
2.2. La norma incriminatrice di cui all’art. 628 cod. pen., successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, è stata oggetto della sentenza n. 86 del 2024 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 628 cod. pen. «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Ciò in quanto, come già evidenziato nella sentenza n. 120 del 2022, la Corte ha rilevato che a fronte dell’attuale cornice edittale prevista per il reato di rapina il rispetto dei principi costituzionali impone di prevedere un “valvola di sicurezza” poiché, in sintesi, «in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi
«violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità», e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.»
2.3. A seguito di tale pronuncia il giudice dell’esecuzione, analogamente a quanto avvenuto per altre fattispecie attinte dalla medesima tipologia di declaratoria di illegittimità costituzionale, può essere legittimamente adito ai fini della rideterminazione del trattamento sanzionatorio invocando l’applicazione dell’attenuante.
In questo senso Sez. 1, n. 14861 del 16/2/2024, COGNOME, n.m. che, con riferimento al delitto di estorsione a seguito della sentenza Corte cost. n. 120 del 2022, ha richiamato il principio di diritto già espresso da questa Corte a seguito della dichiarazione di illegittimità dell’art. 630 cod. pen. a causa della mancata previsione della lieve entità del fatto per cui «in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, il condannato con sentenza divenuta irrevocabile prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cu non prevedeva l’attenuante della lieve entità del fatto (Corte cost., sent. 19 marzo 2012, n. 68), può richiedere, con incidente di esecuzione, l’applicazione della predetta attenuante al fine di rideterminare il trattamento sanzionatorio, ed il giudice adito “in executivis” è tenuto a compiere una valutazione circa la sussistenza della circostanza nei limiti consentiti dalla decisione di merito, ovvero sulla base delle risultanze acquisite e degli apprezzamenti operati, in base ad esse, nel giudizio di cognizione» (Sez. 1, n. 5973 del 04/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262270 – 01).
Anche nell’ipotesi in esame, quindi, trova applicazione il principio generale secondo cui «quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d’illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest’ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell’esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento “correttivo” da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l’applicazione di norme più favorevoli eventualmente
“medio tempore” approvate dal legislatore» (Sez. U, n. 42858 del 29/05/2014, COGNOME, Rv. 260697 – 01).
2.4. Nell’operazione di rideterminazione della pena, il giudice deve operare discrezionalmente e considerare i parametri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., tenendo conto degli elementi fattuali accertati nel giudizio di cognizione e coperti dal giudicato definitivo.
Nella valutazione, comunque, deve fare riferimento agli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto evidenziati dalla stessa Corte costituzionale, costituiti dall’estemporaneità della condotta, dalla scarsità dell’offesa personale alla vittima, dall’esiguità del valore sottratto e dall’assenza di profili organizzativi, così come poi ulteriormente specificati dalle Sezioni unite per cui «ai fini della configurabilità, in relazione al delitto di rapina, della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, che lede, oltre al patrimonio, anche la libertà e l’integrità fisica e morale del soggetto aggredito per la realizzazione del profitto, sicché può farsi luogo all’applicazione della predetta attenuante solo nel caso in cui sia di speciale tenuità la valutazione complessiva dei pregiudizi arrecati ad entrambi i beni tutelati» (Sez. U, n. 42124 del 27/06/2024, Nafi, Rv. 287095 – 02) di talché «la riduzione della pena deve essere riservata alle ipotesi di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona» (così espressamente Corte cost. nelle sentenze n. 86 del 2024 e n. 120 del 2022).
2.5. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione si è conformato ai principi indicati.
La motivazione dell’ordinanza impugnata, infatti, con lo specifico riferimento alle modalità dell’azione -caratterizzata da una pluralità di condotte, sottrazione di numerosi oggetti da più auto in sosta sulla pubblica via e reazione violenta posta in essere nei confronti di diversi agenti- dà conto della valutazione complessivamente effettuata e delle ragioni poste a fondamento della conclusione per cui il fatto non può ritenersi di lieve entità.
Ciò pure considerato che il valore dei beni sottratti è solo una delle componenti della valutazione da effettuare e non è di per sé, da solo, dirimente quanto alla configurabilità dell’attenuante invocata, e questo, peraltro, senza considerare che la sottrazione di un documento, come nel caso di specie un passaporto, non di norma qualificabile come di lieve valore economico (Sez. 2, n. 14895 del 18/12/2019, dep. 2020, Pg, Rv. 279194 – 01; Sez. 4, n. 24648 del 03/03/2015, COGNOME, Rv. 263724 – 01).
Il giudizio così effettuato è coerente agli indici imposti dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità e la decisione, coerente espressione dei parametri
di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., non è pertanto sindacabile in questa sede.
3. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 gennaio 2025
Il Consig e estensore
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