Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18726 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 07/07/2023 la Corte di appello di Perugia ha confermato la sentenza del Tribunale di Perugia del 23/03/2022, che aveva condannato~NOME in ordine al reato di cui all’articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/90, alla pena di anni 4 giorni 1 di reclusione ed euro 17.334.000 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della fattispecie di cui al comma 5 dell’articolo 73 d.P.R. 309/90.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per genericità.
La norma invocata dal ricorrente prevede una serie di «indicatori» da cui desumere la «lieve entità»: i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero (si tratta di una disgiuntiva corrispondente al termine latino «ve!») la qualità e quantità delle sostanze.
Le Sezioni Unite della Corte sono reiteratamente intervenute sul punto, affermando in primo luogo (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01) che la fattispecie in esame è configurabile «solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio».
Tale principio è stato poi ribadito, dopo l’autonomizzazione della fattispecie, dalle Sezioni semplici, affermandosi (Sez. 3, Sentenza n.23945 del 29/04/2015, Xhihani, Rv. 263651-01) che «la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, anche all’esito della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014), può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio».
Nel caso di specie, la sentenza impugnata, all’esito di una valutazione globale di tutti gli indici di cui alla norma in parola, in modo non illogico ne aveva escluso l’applicabilità, in ragione:
del dato ponderale (237 dosi singole);
della circostanza che numerose cessioni erano già state effettuate nei confronti del medesimo acquirente;
del collegamento con altro acquirente (tale “NOME“), con cui si alternava a rispondere al medesimo telefono per le chiamate dei clienti, da cui si desume una certa professionalità nello spaccio;
della valutazione secondo cui il peso sia dello stupefacente sia lordo che netto supera quello normalmente valutato come di lieve entità (pari a 23,66 gr);
dell’alta percentuale di principio attivo, che mostra come l’imputato, pur se incensurato, è inserito in un circuito di spaccio molto più organizzato di quello medio da strada.
Il ricorso non si confronta affatto in modo realmente critico con la ampia motivazione addotta dalla Corte territoriale, limitandosi a generiche doglianze riferite alla giurisprudenza di questa Corte ma disancorate con il contenuto motivo del provvedimento impugnato.
Non può quindi che concludersi, data la manifesta infondatezza delle doglianze, nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso in Roma il 23 febbraio 2024.