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Fatto di lieve entità: quando lo spaccio non è lieve

Due individui ricorrono in Cassazione contro una condanna per spaccio di stupefacenti, chiedendo il riconoscimento del fatto di lieve entità. La Corte dichiara i ricorsi inammissibili, sottolineando che la valutazione non può basarsi solo sulla quantità. Nel caso di specie, l’ingente quantitativo (oltre 2600 dosi di cannabis) e l’organizzazione ‘semiprofessionale’ con due serre indoor e gestione dei clienti escludono la possibilità di qualificare il reato come lieve.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: La Cassazione Chiarisce i Limiti per lo Spaccio

L’applicazione della fattispecie di fatto di lieve entità nel contesto dei reati legati agli stupefacenti rappresenta un punto cruciale del diritto penale, capace di modificare significativamente l’entità della pena. Tuttavia, la sua concessione non è automatica e dipende da una valutazione attenta di tutti gli elementi del caso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i criteri per distinguere il ‘piccolo spaccio’ da un’attività criminale più strutturata, anche se non pienamente professionale.

Il Caso in Esame: Oltre il ‘Piccolo Spaccio’

La vicenda riguarda due soggetti condannati dalla Corte d’Appello per coltivazione e spaccio di sostanze stupefacenti. Gli elementi raccolti durante le indagini hanno delineato un quadro operativo ben definito: il sequestro ha portato alla luce una quantità di cannabis sufficiente per confezionare oltre 2600 dosi. Inoltre, l’attività era supportata da una struttura logistica non indifferente, comprendente due serre indoor complete di attrezzature per la coltivazione e la gestione dei contatti con i clienti tramite messaggi WhatsApp. A questo si aggiungeva un’accusa per furto aggravato di energia elettrica, presumibilmente per alimentare le serre.

La Questione Giuridica e i motivi del ricorso

Il nucleo del ricorso presentato alla Corte di Cassazione verteva sulla richiesta di riqualificare il reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990, ovvero come fatto di lieve entità. Secondo la difesa, l’attività non possedeva le caratteristiche di un’impresa criminale tale da giustificare la pena prevista per l’ipotesi ordinaria di spaccio. Oltre a ciò, i ricorrenti contestavano la condanna per il furto di energia e l’applicazione della recidiva per uno di loro, ritenuta eccessiva.

L’Analisi della Corte e la definizione di fatto di lieve entità

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi inammissibili per manifesta infondatezza, fornendo una chiara lezione sui criteri di valutazione del fatto di lieve entità. Richiamando la giurisprudenza consolidata, inclusa una pronuncia delle Sezioni Unite, i giudici hanno ribadito che l’accertamento richiede una ‘valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta’.

In altre parole, non ci si può limitare a un solo parametro, come quello quantitativo. Sebbene la quantità di stupefacente sia un indice fondamentale, esso deve essere letto insieme a tutti gli altri elementi. Nel caso specifico, la ‘semiprofessionalità’ dimostrata dall’esistenza di due serre, dalla disponibilità di locali e strumenti, e dai contatti con la clientela, è stata ritenuta incompatibile con la nozione di ‘piccolo spaccio’. Questi elementi, nel loro insieme, delineano un’attività con una portata offensiva significativa, che esula dalla minore gravità che la norma intende tutelare.

Altri Motivi di Ricorso: Furto di Energia e Recidiva

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati respinti. La contestazione relativa al furto di energia è stata giudicata generica e basata su ‘mere clausole di stile’, senza confrontarsi con le prove emerse nel processo, come le dichiarazioni del tecnico della società elettrica. Allo stesso modo, il motivo sulla recidiva è stato ritenuto inammissibile, poiché la Corte d’Appello aveva correttamente motivato come i precedenti penali di uno degli imputati per reati gravi (ricettazione e detenzione illegale di armi) indicassero una ‘progressiva pericolosità sociale’ tale da giustificare la contestazione.

Le Motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è radicata nel principio che la qualificazione di un fatto di lieve entità richiede una valutazione globale di tutti gli elementi concreti del caso. I giudici hanno rilevato che la mera quantità di droga, combinata con la struttura organizzativa (due serre, strumenti, contatti con i clienti), indicava un’attività che superava di gran lunga l’ambito del ‘piccolo spaccio’. Questo carattere semiprofessionale dimostra una significativa capacità offensiva, incompatibile con la clemenza riservata ai reati minori. La Corte ha inoltre respinto gli altri motivi di ricorso in quanto generici e non in grado di confrontarsi con il dettagliato ragionamento della sentenza di grado inferiore, confermando così l’inammissibilità del ricorso.

Le Conclusioni

L’ordinanza rafforza un principio fondamentale: il fatto di lieve entità non è un beneficio automatico basato esclusivamente su soglie quantitative. I tribunali devono condurre un’indagine approfondita sul contesto complessivo dell’attività criminale. La presenza di elementi organizzativi, anche se non pienamente professionali, può essere decisiva per escludere la qualificazione di reato minore. Questa decisione serve da chiaro monito che anche la coltivazione indoor, se organizzata e destinata a un mercato significativo, sarà trattata come un reato grave, indipendentemente dai tentativi degli imputati di minimizzarne la portata.

La sola quantità di droga è sufficiente per escludere il fatto di lieve entità?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la valutazione deve essere complessiva. Tuttavia, un dato quantitativo importante, come le oltre 2600 dosi in questo caso, è un elemento fondamentale che, unito ad altri indici come l’organizzazione, può portare a escludere la lieve entità.

Cosa intende la Corte per ‘semiprofessionalità’ dell’attività di spaccio?
Nel caso specifico, la ‘semiprofessionalità’ è dimostrata da elementi organizzativi come l’allestimento di due serre indoor, la disponibilità di locali e strumenti per la coltivazione e la gestione dei contatti con i clienti tramite messaggi, indicando un’attività non occasionale ma strutturata.

Perché il ricorso sulla recidiva è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile per genericità. La Corte ha ritenuto che la sentenza impugnata avesse motivato adeguatamente sul perché i precedenti penali di uno degli imputati (per ricettazione e detenzione di armi) dimostrassero una pericolosità sociale tale da giustificare l’applicazione della recidiva e non una sua qualificazione più mite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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