Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9351 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9351 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Di NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/9/2023 del tribunale del riesame di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 28/9/2023, il Tribunale del riesame di Roma – in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l’ordinanza del 30/5/2023 del Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale applicava ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari con riguardo a vari capi di imputazione, riqualificati ai sensi dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
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Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo i seguenti motivi:
mancanza e contraddittorietà della motivazione quanto alle esigenze cautelari. Il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato la giovane età del ricorrente al momento dei fatti (21 anni), nonché l’immediato cambiamento di vita sin dall’applicazione della misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria; in oltre 100 giorni, il COGNOME non avrebbe commesso alcuna violazione, così da scongiurare il pericolo di recidiva ed eliminare ogni legame con presunti ambienti criminali;
le stesse censure sono poi mosse in ordine alla riqualificazione delle condotte, con incidenza sulle misure cautelari. L’esame dei cinque capi di imputazione farebbe agevolmente emergere il modesto carattere delle attività, da valutare singolarmente, che avrebbero avuto ad oggetto quantitativi minimali di sostanza. Le indagini, durate circa due mesi, non avrebbero poi accertato una vera e propria circolazione di denaro, né tantomeno guadagni ingenti, come dimostrato da perquisizioni e sequestri, così da doversi riconoscere la fattispecie lieve di cui al comma 5 dell’art. 73.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta infondato.
Con riguardo alla seconda censura (da trattare in via logica per prima), che – impregiudicata ogni valutazione sul fumus commissi delicti contesta l’esclusione su molti capi, ad opera del Tribunale, della fattispecie attenuata di cui al comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, deve ribadirsi che questa è configurabile nelle ipotesi di c.d. piccolo spaccio, che si caratterizzano per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati, che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (tra le altre, Sez. 6, n 45061 del 3/11/2022, Restivo, Rv. 284149). Ai fini del riconoscimento del reato di cui all’art. 73, comma 5, in oggetto, dunque, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata solo al quantitativo singolarmente spacciato o detenuto, ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al ripar da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine (Sez. 6, n. 13982 del 20/2/2018, Lombino, Rv. 272529). Ne consegue che è legittimo il mancato
riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva (per tutte, Sez. 3, n. 6871 dell’8/7/2016, Bandera, Rv. 269149).
Tanto premesso in termini generali, il Collegio rileva che l’ordinanza impugnata ha fatto buon governo di questi principi, riformando l’ordinanza del G.i.p. con una motivazione del tutto solida, ancorata a precisi esiti investigativi e tale da sostenere in modo adeguato la riqualificazione delle condotte ai sensi del comma 1 dell’art. 73.
cui si dava conto di luoghi dove la cocaina veniva nascosta, come il “mattone” o la “macchina”; quest’ultima, peraltro, trovata nella piena disponibilità del COGNOME (oltre che del COGNOME, con cui la divideva) e con una non modesta quantità di cocaina a bordo (quasi 30 grammi), nonché di ben 4 bilancini di precisione. Infine, a dimostrazione dell’inserimento del ricorrente in un contesto illecito certamente radicato, il Tribunale ha evidenziato che lo stesso – sempre insieme al COGNOME – si occupava stabilmente anche della preparazione delle dosi, come da intercettazioni richiamate. Queste, peraltro, erano state tenute su utenze intestate a soggetti stranieri, così evidenziando uno stratagemma volto a celare l’identità del vero utilizzatore.
5.2. Ne risultava, pertanto, un’attività di spaccio che, seppur non costituita in associazione, evidenziava una sicura stabilità, con divisione di ruoli e di compiti, di luoghi da presidiare quotidianamente, di orari da rispettare; un’attività, quindi, che il Tribunale – diversamente dal G.i.p. – ha riconosciuto non riconducibile alla fattispecie lieve di cui al comma 5 dell’art. 73, con motivazione congrua ed alla luce della giurisprudenza sopra richiamata. Ulteriore elemento valorizzato a sostegno dell’ampiezza del circuito criminale, poi, è quello economico, relativo al profitto; sul punto, l’ordinanza – lungi dal procedere per mere presunzioni, come affermato nel ricorso – ha richiamato il chiaro contenuto di alcune intercettazioni, dalle quali risultavano guadagni per 1.500/2.000 euro al giorno.
5.3. La motivazione stesa dal Tribunale in ordine alla qualificazione delle condotte contestate al COGNOME, pertanto, non merita censure.
In ordine, poi, alle esigenze cautelari, il Collegio conclude nei medesimi termini.
6.1. L’ordinanza ha richiamato lo stabile inserimento nel traffico degli stupefacenti, per tutto il periodo preso in considerazione, in piena condivisione con il referente COGNOME, in detenzione domiciliare. Ancora, è stato evidenziato il precedente specifico per fatti commessi il 22/2/2022, dunque nel corso dello stesso anno di quelli qui in esame. Di seguito, è stato sottolineato che l’indagato non svolge alcuna attività lavorativa lecita, non avendo dedotto o prodotto al riguardo alcunché, così dovendosi fondatamente ritenere che lo stesso – se non sottoposto ad adeguata cautela – continui a delinquere per garantirsi il sostentamento. Infine, è stato affermato che, nel corso della perquisizione della vettura sopra citata (nella disponibilità del COGNOME e del COGNOME), era risultato manomesso il sistema di intercettazione ambientale installato dalla polizia giudiziaria. Dal che, non solo il pericolo di reiterazione del reato, ma anche l’esigenza di salvaguardarlo con la misura detentiva domiciliare, unica ritenuta idonea; sul punto, tuttavia, il ricorso non spende argomento.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2024
Il Cgonsi liere estensore
Il Presidente