Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23182 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23182 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a AUGUSTA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/04/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo vizio motivazionale e violazione di legge in relazione al mancato accoglimento del motivo con cui chiedeva il riconoscimento del fatto di lieve entità ex art. 73 co. 5 DPR. 309/90. Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto con ampia motivazione, pienamente corrispondente ai principi più volte affermati sul punto, del perché hanno ritenuto i fatti in contestazione non riconducibili alla previsione incriminatrice di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 sia con riferimento al dato quantitativ della sostanza detenuta che agli indicatori specificati a pag. 4 da cui si desume che l’attività di spaccio poteva contare su un elevato numero di acquirenti, ai quali veniva assicurato un continuativo servizio di vendita, e che sussisteva, in capo all’imputato, la potenzialità di procurarsi quantitativi rilevanti attraverso sicuri nali di approvvigionamento e di procurarsi un elevato guadagno.
Osservano i giudici del gravame del merito che non si trattava di condotta occasionale, bensì sistematica, giacché l’imputato ammetteva che la detenzione fosse finalizzata alla vendita a terzi, in tal modo indirettamente confermando -in rapporto all’ingente quantitativo detenuto- la destinazione ad un ampio bacino di assuntori. E che, in assenza di attività lavorative lecite svolte dal COGNOME, ed a fronte dell’ingente somma rinvenuta, l’attività illecita in esame doveva considerarsi la sua principale fonte di reddito.
Peraltro, con motivazione logica si rileva in sentenza che l’ampia disponibilità di stupefacente rende evidente il collegamento dell’imputato con terzi soggetti e il suo inserimento in un circuito ben più ampio, superiori elementi che vengono ritenuti avere rilievo preponderante rispetto al fatto che la contestazione sia circoscritta ad un solo giorno (9.09.2022), peraltro spiegabile perché coincidente con l’accertamento di una detenzione finalizzata allo spaccio.
Coerente, dunque, appare la conclusione che tali elementi orientano univocamente nel senso della finalizzazione ad un’attività di spaccio non occasionale o su scala ridotta, bensì stabile ed organizzata in modo professionale. E che, pertanto, ad una valutazione globale del fatto, deve escludersi che la lesione del bene giuridico protetto possa considerarsi di lieve entità.
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La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’es della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015, COGNOME, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024