Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 15546 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 15546 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOMECUI 04701HY) nato il 12/08/1990
avverso la sentenza del 091 – 10/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Motivi della decisione
1. NOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo, con tre motivi, con i primi due violazione di legge e vizio motivazionale in ordine alla mancata assoluzione in relazione al reato di cui all’art. 73 co. 4 d.P.R. n. 309/1990 di cui al capo d’imputazione sub 61); con il terzo violazione di legge in punto di mancata riqualificazione dei reati ai sensi dell’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309/1990.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I primi due motivi, in punto di responsabilità, sono inammissibili.
Ed invero, già la sentenza impugnata – e se ne trova conferma in attiaveva sottolineato come con l’atto di appello del 15/04/2024 a firma dell’Avv. NOME COGNOME erano stati proposti due motivi, uno in relazione al diniego dell’ipotesi meno grave di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. E l’altro in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il motivo sulla responsabilità, con particolare riferimento alla sua corretta identificazione (che peraltro, la Corte territoriale a pag. 9 sottolinea con motivazione congrua come sia correttamente avvenuta), era stato introdotto solo con la memoria conclusionale, ma, come aveva correttamente rilevato la sentenza impugnata, tardivamente, perché riguardante un punto della decisione in alcun modo devoluto o messo in dubbio nei motivi di appello originari.
Sul punto conferentemente la Corte territoriale richiama il dictum di Sez. 5 n. 34892 del 27/04/2016; COGNOME, non mass., secondo cui è necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (cfr. Sez. 6, n. 45075 del 02/10/2014, COGNOME Rv. 260666 – 01 che ha ritenuto inammissibili i motivi aggiunti di appello con cui era stata prospettata la sussistenza delle condizioni per ritenere l’imputato non punibile per errore sul fatto che costituisce il reato, ai sensi dell’art. 47, cod. pen., dopo che, nell’originario atto di impugna zione, erano stati dedotti motivi concernenti l’elemento materiale del reato, ed era stata sollecitata, nelle conclusioni, l’assoluzione dell’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste” ovvero, in subordine, e senza addurre argomentazioni pertinenti in proposito, perché il fatto non costituisce reato”; conf. Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262343 – 01 che, in applicazione del principio, ha rilevato la inammissibilità del capo di ricorso riguardante la condanna civile, in quanto eccepito tardivamente nel corso del giudizio di appello, con memoria depositata oltre i termini fissati dall’art. 585, comma quarto, cod. proc. pen.
I motivi nuovi di impugnazione debbono essere inerenti ai temi specificati nei capi e punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata essendo necessaria la sussistenza di una connessione funzionale tra i motivi nuovi e quelli originari (così Sez. 1, n. 5182 del 15/01/2013, Vatavu, Rv. 254485 – 01 cha ha ritenuto inammissibili i motivi aggiunti con cui erano stati richiesti, per l prima volta al giudice di appello, il riconoscimento dell’attenuante del risarcimento del danno ed una diversa valutazione deile attenuanti generiche).
Quanto al terzo motivo, afferente al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, lo stesso non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché riproduttivo di profili di censura già ade guatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente con la motivazione della Corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto con ampia motivazione, pienamente corrispondente ai principi più volte affermati sul punto, del perché hanno ritenuto i fatti in contestazione non riconducibili alla previsione incriminatrice di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), sia con riferimento alla molteplicità delle transazioni perfezionate, alla durata della condotta, al possesso di plurime utenze dedicate intestate a terzi soggetti prestanome, alla costante disponibilità di stabili canali di approvvigionamento e di diffusione, alla concreta gestione di una storica piazza di spaccio della Provincia di Vercelli e comuni limitrofi, alla suddivisione di ruoli tra vari soggetti con distinzio di compiti, alla differente tipologia di sostanze illecite detenute e cedute (droga ad alto impatto ma anche droghe leggere), al quantitativi movimentati nell’ordine di centinaia di grammi di sostanza e ai non trascurabili guadagni illeciti percepiti.
La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’esito de formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere
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complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di inci-
denza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi
affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv.
ex
247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche multis,
Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la
protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistat e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento
delle dosi e per l’elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015,
COGNOME, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’at- tenuante la diversità qualitative delle sostanze detenute per la vendita, indicativa
dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
Va anche evidenziato che, seppure è stata in talune occasioni riconosciuta la forma lieve del reato contestato in casi in cui la quantità di sostanza stupefacente rinvenuta è stata superiore rispetto a quella del caso qui in esame, la più recente giurisprudenza di legittimità ha condivisibilmente chiarito il principio secondo cui in tema di stupefacenti, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n, 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, come da sempre detto, per l’accertamento della stesse, è necessario fare riferimento all’apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023, Rv. 284319 – 01).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle arnmende.
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Così deciso in Roma il 08/04/2025