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Fatto di lieve entità: quando il ricorso è inammissibile

Un individuo ha impugnato una condanna per spaccio, chiedendo la riqualificazione del reato come fatto di lieve entità. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che i motivi di appello introdotti tardivamente non possono essere esaminati. Inoltre, ha ribadito che la valutazione del fatto di lieve entità richiede un’analisi complessiva della condotta criminale, non basata solo sulla quantità di sostanza stupefacente.

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Pubblicato il 8 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità e limiti all’appello: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta due questioni cruciali nel diritto penale: i limiti procedurali per la presentazione dei motivi di appello e i criteri per la valutazione del fatto di lieve entità in materia di stupefacenti. La Corte, dichiarando inammissibile il ricorso, offre importanti spunti sulla necessità di un approccio rigoroso sia nella strategia difensiva sia nell’interpretazione della norma.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sua condanna per un reato legato agli stupefacenti. L’imputato, tramite il suo difensore, aveva presentato tre motivi di ricorso alla Corte di Cassazione. I primi due contestavano la mancata assoluzione, mentre il terzo lamentava il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990.

Un punto chiave della vicenda processuale era che il motivo relativo alla responsabilità penale era stato introdotto per la prima volta solo con una memoria conclusionale in appello, e quindi tardivamente, mentre l’atto di appello originario si concentrava solo sulla qualificazione del reato come fatto lieve e sulla richiesta di attenuanti generiche.

L’analisi della Corte sul fatto di lieve entità

La Corte di Cassazione ha esaminato separatamente i motivi del ricorso. I primi due sono stati dichiarati inammissibili per una ragione prettamente procedurale. I giudici hanno sottolineato che i motivi nuovi, presentati dopo l’atto di impugnazione principale, devono avere una “connessione funzionale” con quelli originari. Non è possibile introdurre tardivamente temi di indagine completamente nuovi e slegati da quelli iniziali. Nel caso specifico, contestare la responsabilità nel suo complesso era un tema nuovo rispetto alla richiesta di derubricazione a fatto di lieve entità.

L’inammissibilità del terzo motivo

Anche il terzo motivo, cuore della questione, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione logica, congrua e giuridicamente corretta per escludere il fatto di lieve entità. Tale esclusione non era arbitraria, ma fondata su una valutazione complessiva di numerosi indicatori della gravità della condotta.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su principi consolidati. In primo luogo, riafferma il principio devolutivo dell’appello: il giudice superiore può decidere solo sui punti della sentenza specificamente contestati. Introdurre nuovi temi tardivamente viola questo principio e lede il diritto di difesa e il corretto svolgimento del processo.

In secondo luogo, e più nel merito, la Corte chiarisce ancora una volta i criteri per l’applicazione dell’art. 73, comma 5. La qualificazione di un reato in materia di droga come fatto di lieve entità non può dipendere unicamente dal dato quantitativo della sostanza. È necessario un apprezzamento globale che tenga conto di tutti gli indici previsti dalla norma: i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente valorizzato elementi come:

* La molteplicità delle transazioni.
* La durata prolungata dell’attività illecita.
* L’uso di utenze telefoniche intestate a prestanome.
* L’esistenza di canali stabili di approvvigionamento e diffusione.
* La gestione di una vera e propria piazza di spaccio.
* La suddivisione dei ruoli tra più soggetti.
* La varietà delle sostanze cedute (droghe pesanti e leggere).
* I quantitativi significativi e i guadagni illeciti non trascurabili.

Questa valutazione complessiva ha portato i giudici di merito a concludere, in modo immune da censure di legittimità, che la condotta non presentava quella “minima offensività penale” richiesta per l’applicazione dell’attenuante.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce due lezioni fondamentali. Dal punto di vista processuale, evidenzia l’importanza di strutturare l’atto di impugnazione in modo completo fin dall’inizio, poiché le possibilità di integrare le proprie difese in un secondo momento sono molto limitate. Dal punto di vista sostanziale, conferma che la qualificazione di un reato come fatto di lieve entità è il risultato di una valutazione multifattoriale e complessa. La difesa non può limitarsi a evidenziare un singolo aspetto favorevole (come un basso quantitativo), ma deve confrontarsi con tutti gli elementi che, nel loro insieme, delineano la reale gravità della condotta illecita.

È possibile aggiungere nuovi motivi a un appello in qualsiasi momento?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che i motivi nuovi, introdotti dopo l’atto di appello originario, sono inammissibili se non presentano una stretta “connessione funzionale” con i motivi già proposti. Non è possibile introdurre argomenti su punti della decisione completamente nuovi e non contestati in precedenza.

Come si stabilisce se un reato di droga è un fatto di lieve entità?
La valutazione non si basa solo sulla quantità di sostanza stupefacente. Il giudice deve effettuare un apprezzamento complessivo di tutti gli indici previsti dalla legge, quali i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione (es. organizzazione, durata dell’attività, profitti illeciti, tipologia di droghe), per determinare la reale e complessiva offensività della condotta.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, il cui importo è stabilito dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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