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Fatto di lieve entità: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un indagato per detenzione di 60 grammi di marijuana. La richiesta di riqualificare il reato come fatto di lieve entità è stata respinta per carenza di interesse, poiché non avrebbe modificato la misura cautelare applicata. La Corte ha inoltre sottolineato che la qualificazione dipende da una valutazione complessiva che va oltre il mero dato quantitativo.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: L’Inammissibilità del Ricorso per Carenza di Interesse

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 2393/2025) offre importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità di un ricorso che mira alla riqualificazione di un reato di spaccio in fatto di lieve entità. La decisione sottolinea un principio fondamentale del diritto processuale: per impugnare un provvedimento, è necessario avere un interesse concreto e attuale a ottenere una modifica favorevole, non basta una mera pretesa alla correttezza teorica della decisione. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso e le sue implicazioni.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dall’arresto in flagranza di un soggetto, trovato in possesso di circa 60 grammi di marijuana. In seguito all’arresto, il Tribunale di Torre Annunziata applicava nei suoi confronti la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’indagato proponeva riesame al Tribunale di Napoli, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza e, in particolare, la riqualificazione del reato nella fattispecie attenuata del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990. Il Tribunale del riesame rigettava la richiesta, confermando la misura.
Contro questa decisione, l’indagato presentava ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione.

La Questione Giuridica: Interesse Concreto e Riqualificazione del Reato

Il nucleo del ricorso si basava sulla tesi che la riqualificazione del reato in fatto di lieve entità avrebbe potuto portare a conseguenze più favorevoli, come una riduzione dei termini di fase della misura cautelare o addirittura la sua revoca. L’indagato sosteneva che il Tribunale avesse errato nel considerare irrilevante la questione della qualificazione giuridica ai fini del giudizio cautelare.

I Criteri per il Fatto di Lieve Entità

La Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per ragioni processuali, coglie l’occasione per ribadire i criteri di valutazione del fatto di lieve entità. Viene chiarito che il solo dato quantitativo, sebbene importante, non è l’unico elemento da considerare. La giurisprudenza ha individuato soglie indicative (ad esempio, 108,3 grammi per la marijuana), ma la valutazione deve essere complessiva e tenere conto di tutti gli indici previsti dalla norma:

* Modalità della condotta: ad esempio, se lo spaccio avviene in modo organizzato o occasionale.
* Mezzi utilizzati: l’impiego di strumenti per il confezionamento o la pesatura.
* Qualità e quantità della sostanza: non solo il peso lordo, ma anche il principio attivo.
* Altre circostanze del caso: come il luogo dello spaccio (in questo caso, un esercizio pubblico).

Le Motivazioni della Decisione della Cassazione

La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile sulla base di un principio cardine: la carenza di interesse ad agire. I giudici spiegano che, per poter impugnare una decisione, l’indagato deve dimostrare di poter ottenere un vantaggio pratico e concreto dalla modifica richiesta. Nel caso specifico, anche se il reato fosse stato riqualificato come fatto di lieve entità, la misura cautelare non custodiale dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria sarebbe rimasta invariata. I termini di durata massima della misura, infatti, sono gli stessi (tre mesi) per entrambe le fattispecie di reato.

La Corte precisa che l’interesse a una diversa qualificazione giuridica sussiste solo quando questa incide sull'”an” (l’esistenza stessa della misura) o sul “quomodo” (le modalità di applicazione, ad esempio la sua durata). Poiché in questo caso non vi era alcuna conseguenza pratica sulla misura in atto, il ricorso era privo di un interesse concreto e attuale, risolvendosi in una mera discussione accademica sulla corretta qualificazione del fatto.

Inoltre, la Corte ha ritenuto non manifestamente illogica la motivazione del Tribunale del riesame, che aveva escluso la lieve entità anche nel merito, valorizzando elementi come:

1. La quantità non trascurabile di sostanza.
2. L’occultamento in luoghi diversi (bar e abitazione).
3. La circostanza che lo spaccio avvenisse all’interno di un esercizio pubblico, considerato un punto di riferimento stabile per un numero indefinito di acquirenti.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un importante principio processuale: non è sufficiente lamentare un errore di diritto per poter accedere al giudizio di legittimità. È indispensabile che da tale errore derivi un pregiudizio concreto per l’indagato. Nel contesto delle misure cautelari, l’interesse a ottenere una riqualificazione del reato in fatto di lieve entità deve essere legato a un effettivo beneficio, come la revoca della misura, la sua sostituzione con una meno afflittiva o una riduzione dei termini di durata.

In assenza di tale vantaggio pratico, il ricorso viene dichiarato inammissibile per carenza di interesse. La decisione serve quindi da monito: le impugnazioni devono essere finalizzate a risultati tangibili e non a mere rettifiche teoriche, che non producono effetti sulla posizione processuale dell’indagato.

Quando un ricorso per la riqualificazione di un reato in fatto di lieve entità è considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando l’indagato non ha un interesse concreto e attuale a ottenere la diversa qualificazione. Ciò si verifica se la riqualificazione non comporterebbe alcuna modifica favorevole della misura cautelare applicata, né in termini di tipologia né di durata.

La sola quantità di droga è sufficiente per escludere il fatto di lieve entità?
No. La Corte chiarisce che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 non può basarsi solo sul dato quantitativo. È necessaria una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli indici richiamati dalla norma, come le modalità della condotta, i mezzi usati e le altre circostanze del caso.

Svolgere l’attività di spaccio in un locale pubblico influisce sulla qualificazione del reato?
Sì. Secondo la sentenza, la circostanza che l’attività di spaccio venga gestita all’interno di un esercizio pubblico è un elemento che il giudice può legittimamente valorizzare per escludere la lieve entità del fatto, poiché suggerisce una condotta non occasionale e un punto di riferimento stabile per gli acquirenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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