Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2393 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2393 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 17/10/1969
avverso l’ordinanza del 06/09/2024 del TRIB. LIBERTA’ di Napoli
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1.NOME COGNOME ricorre per l’annullamento dell’ordinanza del 6 settembre 2024 del Tribunale di Napoli che ha rigettato la richiesta di riesame dell’ordinanza del 2 agosto 2024 del Tribunale di Torre Annunziata che ha applicato nei suoi confronti la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in relazione al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (illecita detenzione di gr. 60 circa di sostanza stupefacente del tipo marijuana) nella cui flagranza era stato arrestato il giorno 1 agosto 2024.
a
1.1.Con unico motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla affermata carenza di interesse alla riqualificazione del fatto in termini di lieve entità siccome ritenuta irrilevante ai fini del giudizio cautelare considerato, al contrario, che da tale riqualificazione – afferma – potrebbe derivare quantomeno la abbreviazione dei termini di fase e/o comunque la mancata applicazione della misura tout court.
Quanto alla possibile qualificazione del fatto in termini di lieve entità richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione che ha indicato in 108,3 grammi di marijuana il limite che, se superato, osta a tale qualificazione.
L’ordinanza impugnata – prosegue – ha negletto gli argomenti illustrati con la memoria difensiva volti a dimostrare la natura occasionale ed estemporanea della condotta.
2.11 ricorso è inammissibile
3.0sserva il Collegio:
3.1.il ricorrente non contesta i gravi indizi di colpevolezza del reato (e dunque la destinazione alla cessione a terzi della sostanza complessivamente detenuta) bensì la sola qualificazione del fatto in termini di lieve entità, qualificazione esclusa dai Giudici del riesame in considerazione della quantità e qualità della sostanza, dell’occultamento in luoghi diversi (il bar gestito dal ricorrente e la sua abitazione), del fatto che la stessa fosse detenuta all’interno di un esercizio pubblico costituente stabile punto di riferimento per un numero indefinito di avventori;
3.2.il ricorrente se ne duole, da un lato stigmatizzando la poca rilevanza del dato ponderale, dall’altro introducendo elementi di fatto dei quali non lamenta nemmeno il travisamento;
3.3.quanto al dato ponderale, il ricorrente invoca l’applicazione di Sez. 6, n. 45061 del 03/11/2022, COGNOME, Rv. 284149 – 01, secondo cui, in tema di reati concernenti le sostanze stupefacenti, ai fini della valutazione della sussistenza del “fatto lieve”, da effettuarsi con riguardo alla fattispecie complessivamente considerata, quanto al dato ponderale il giudice può tener conto del fatto che lo stesso sia stato ritenuto, dalla giurisprudenza maggioritaria risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, compatibile con l’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (nel caso in questione la Corte ha ritenuto il quantitativo di circa 100 gr. di hashish, caduto in sequestro, rientrante nel valore-soglia che, per tale tipologia di sostanza, delimita l’ambito del fatto lieve secondo le risultanze di detta ricognizione statistica; la stessa sentenza ha indicato in 108,3 grammi il quantitativo di marijuana al di sopra del quale il fatto non può essere ritenuto di lieve entità);
3.4.è stato però condivisibilmente precisato che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può effettuarsi in base al solo dato quantitativo, risultante dalla ricognizione statistica su un campione di sentenze che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della stessa, è necessario fare riferimento all’apprezzamento complessivo degli indici richiamati dalla norma (Sez. 3, n. 12551 del 14/02/2023, Pascale, Rv. 284319 – 01);
3.5.vero è che la non occasionalità della condotta non osta di per sé alla qualificazione del fatto in termini di lieve entità;
3.6.ed invero, è stato affermato che la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990 non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un’attività criminale organizzata o professionale (Sez. 6, n. 28251 del 09/02/2017, COGNOME, Rv. 270397 – 01, che ha precisato che tale principio è desumibile dall’art. 74, comma sesto, d.P.R. n. 309 del 1990, che prevede un’attenuante per l’ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità, cioè riferiti al c.d. piccolo spaccio, ancorché organizzato; nello stesso senso, Sez. 6, n. 5415 del 10/03/2015, Corrente, Rv. 201644 – 01; Sez. 4, n. 1736 del 27/11/1997, Fierro, Rv. 210161 – 01; Sez. 6, n. 6615 del 14/02/1994, Greco, Rv. 199198 – 01);
3.7.tale principio sembra essere stato fatto proprio dal legislatore che con l’art. 4, comma 3, dl. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 159, ha modificato il quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 da un lato aumentando la pena edittale massima da quattro a cinque anni di reclusione (invariata la pena della multa), dall’altro prevedendo un ulteriore aumento di pena (da diciotto mesi a sei anni di reclusione e la multa da euro 2.500 a euro 10.329) «quando la condotta assume caratteri di non occasionalità»;
3.8.occorre tuttavia ribadire che la “non occasionalità” esclude la lieve entità del fatto quando sia manifestazione di un’attività organizzata attraverso la quale vengono immessi sul mercato consistenti (e di certo non modici) quantità di sostanze stupefacenti;
3.9.”non occasionalità” non equivale a “piccolo spaccio”, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine” (Sez. 6, n. 41090 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 256609 – 01; nello stesso senso, Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068 – 01);
3.10.sicché quando deve essere escluso il “piccolo spaccio”, la natura non occasionale del fatto non vale a recuperarne la qualifica come di lieve entità;
3.11.occorre pur sempre una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01);
3.12.nel caso di specie, la circostanza che l’attività di spaccio venisse gestita all’interno di un esercizio pubblico costituisce elemento che, con motivazione non manifestamente illogica (e dunque insindacabile in sede di legittimità), il Tribunale ha valorizzato per escludere la lieve entità del fatto;
3.13.i Giudici del riesame hanno in ogni caso escluso l’interesse del ricorrente a ottenere la diversa qualificazione del fatto in termini di lieve entità, avuto riguardo al tipo di misura non custodiale applicata;
3.14.vero è che la modifica introdotta dall’art. 4, comma 3, d.l. n. 123 del 2023, cit., consente (e avrebbe consentito) l’applicazione anche della custodia cautelare in carcere, ma è altrettanto vero che la diversa qualificazione del fatto in termini di lieve entità non avrebbe inciso sui termini di fase previsti dall’art. 304, comma 1, lett. a), n. 1, b), n. 1, b-bis), n. 1, cod. proc. pen., per i quali è previsto lo stesso termine di tre mesi;
3.15.in ogni caso, in tema di misure cautelari personali, sussiste l’interesse ad impugnare quando l’indagato tende ad ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto dalla quale consegua per lui una concreta utilità, mentre non rileva la sua mera pretesa all’esattezza teorica della decisione che non realizzi alcun vantaggio pratico (Sez. 6, n. 46387 del 24/10/2023, Giordano, Rv. 285481 – 01, che ha escluso l’interesse del ricorrente all’inquadramento del fatto ascrittogli nella più lieve fattispecie di cui dell’art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, poiché la derubricazione non avrebbe avuto alcuna valenza ostativa rispetto alla misura dell’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria, nelle more disposta dal riesame in sostituzione di quella degli arresti domiciliari; Sez. 6, n. 10941 del 15/02/2017, COGNOME, Rv. 269783 – 01; Sez. 6, n. 41003 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 264762 – 01; Sez. 5, n. 7468 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258984 – 01; Sez. 6, n. 48488 del 11/12/2008, COGNOME, Rv. 242429 – 01);
3.16.nemmeno la diversa durata dei termini di custodia cautelare dipendenti dalla qualificazione del fatto integra l’interesse al gravame, che deve essere attuale e concreto (Sez. 5, n. 45940 del 09/11/2015, COGNOME, Rv. 233219 – 01);
3.17.sicché l’interesse alla diversa qualificazione del fatto può essere agito solo con la domanda di declaratoria di inefficacia della misura per la scadenza del termine di fase relativo al reato per come riqualificato dall’autore del fatto oppure quando, in tesi difensiva, la decisione del tribunale del riesame sia intervenuta successivamente alla scadenza del termine di fase prevista per il reato del quale
si chiede la diversa qualificazione, non quando, come nel caso di specie, il termine di fase non è comunque spirato anche per il reato come diversamente qualificato;
3.18.ed invero, sussiste l’interesse concreto e attuale dell’indagato alla proposizione del riesame o del ricorso per cassazione quando l’impugnazione sia volta ad ottenere l’esclusione di un’aggravante ovvero una diversa qualificazione giuridica del fatto, nel solo caso in cui ciò incida sull'”an” o sul “quomodo” della misura (Sez. 2, n. 17366 del 21/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284489 – 01, in fattispecie relativa ad associazione per delinquere di tipo mafioso, in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso, in quanto finalizzato alla sola esclusione del ruolo apicale dell’indagato all’interno del sodalizio, elemento privo di riflessi sui presupposti della misura cautelare e sulla sua durata; Sez. 6, n. 5213 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275028 – 01; Sez. 3, n. 36731 del 17/04/2014, COGNOME, Rv. 260256 – 01).
4.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di C 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024.