Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23165 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a LACCO AMENO il DATA_NASCITA
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/07/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, a mezzo del difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo vizio motivazionale in relazione alla ritenuta responsabilità in concorso della COGNOME e, per entrambi, al mancato riconoscimento dell’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Chiedono, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, non sono scanditi da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata e sono privi della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricor e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione)
Ne deriva che i proposti ricorsi vanno dichiarati inammissibile.
I ricorrenti, in concreto, non si confrontano adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità in concorso della COGNOME, ritenendo che la condotta della stessa non possa affatto essere intesa di mera connivenza rispetto allo spaccio operato dal suo convivente COGNOME perché in essa si sono rivelati chiaramente i sintomi di un’adesione consapevole e fattiva all’attività di spaccio posta in essere nel territorio di Forio.
Richiamati i fatti che hanno portato alla denuncia da parte di COGNOME NOME (zia del COGNOME), i giudici evidenziano che appare evidente che il contributo prestato dalla lacono era quello di una persona che aveva una cointeressenza nell’attività di spaccio (che il COGNOME si è autoattribuito in via esclusiva), essendosi attivata in prima persona per il recupero dei monili contenenti il borsello. E ovviamente la ragione di questa preoccupazione non poteva essere legata ad un pericolo di sottrazione dei monili da parte della zia o del padre, bensì ai ritrovamento all’interno della borsa che li conteneva del borsello con la droga. Inoltre, viene ricordato che le altre sostanze stupefacenti sono state rinvenute non all’interno
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dell’abitazione occupata da! COGNOME (quella attigua alla COGNOME), bensì nell’appartamento in cui la lacono era residente e che doveva probabilmente essere una sede alternativa o una nuova sede individuata per lo spaccio di sostanze stupefacenti.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il difensore ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.
2.2. I giudici del gravame del merito hanno dato conto con ampia motivazione, pienamente corrispondente ai principi più volte affermati sul punto, anche del perché hanno ritenuto i fatti in contestazione non riconducibili alla previsione incriminatrice di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90 ritenendo condivisibile la scelt operata dal giudice di prime cure, sia in ragione della variegata offerta di droghe di natura diversa, sia del volume di affari desumibile dalle annotazioni di contabilità rinvenute, sia infine dalla diversificazione delle piazze di spaccio, collocate presso i due appartamenti.
La sentenza de qua, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatt di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’esito de formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv. in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, COGNOME, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga acquistat e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero di clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015, NOME, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa
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dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 29/05/2024