Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22968 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22968 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CATANIA il 27/01/1991
avverso la sentenza del 10/12/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe, con la quale la Corte di Appello di Catania ha confermato la pronuncia del Tribunale di Caltagirone del 18 gennaio 2024 in ordine al reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 73, comma 1, d. P.R., n. n. 309/1990.
Il ricorrente deduce violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 73, comma 5 d.P.R. 309/90 in relazione al mancato riconoscimento del fatto di lieve entità previsto dalla norma, nonché vizio di motivazione sub specie di travisamento della prova in punto di affermazione di responsabilità, per avere i giudici di merito affermato che l’imputato risultava appartenere all’ambiente criminale locale, dedito al traffico di sostanze stupefacenti, con contatti consolidati con distributori “all’ingrosso”, sulla base di elementi probatori inesistenti e meramente congetturali.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
Quanto al primo motivo, lo stesso, lungi dal confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato, si limita a reiterare profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dalla Corte di appello.
I giudici del gravame del merito hanno dato infatti conto con ampia motivazione, pienamente corrispondente ai principi più volte affermati sul punto, del perché hanno ritenuto i fatti in contestazione non riconducibili alla previsione incriminatrice di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. 309/90 (cfr. pag. 6 e 7 della sentenza impugnata), a tal fine evidenziando l’eterogeneità e il quantitativo di sostanza rinvenuta (pari a 194, 1 grammi di hashish e 49,5 grammi di cocaina, con un principio attivo idoneo a ricavare, rispettivamente, circa 1.861 e 240 dosi medie singole di hashish e 240); l’accertato grado di purezza della cocaina (pari al 72,96 %), le modalità di confezionamento e occultamento, nonché le circostanze dell’azione, posta in essere in una zona della città avvezza ad attività di spaccio, così integrando la condotta censurata un’attività di spaccio di stupefacenti di carattere professionale presumibilmente calata nei locali circuiti di criminalità organizzata.
La sentenza de quo, pertanto, appare pienamente conforme al dictum di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di stupefacenti, la fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, co. 5, d.P.R. n. 309 del 1990 – anche all’e della formulazione normativa introdotta dall’art. 2 del D.L. n. 146 del 2013 (conv.
in legge n. 10 del 2014) e della legge 16.5.2014 n. 79 che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 20.3.2014 n. 36 – può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, desumibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati espressamente dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell’azione), con una valutazione che deve essere complessiva, ma al cui esito è possibile che uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione restando priva di incidenza sul giudizio (così Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076 che, a pag. 14 della motivazione, ricordano che rimangono pertanto attuali i principi affermati nei precedenti arresti delle Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911 e Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216668 cfr. anche ex multis, Sez. 3, n. 23945 del 29/4/2015, COGNOME, Rv. 263551, nel giudicare un caso in cui è stata ritenuta legittima l’esclusione dell’attenuante in esame per la protrazione nel tempo dell’attività di spaccio, per i quantitativi di droga a quistati e ceduti, per il possesso della strumentazione necessaria per il confezionamento delle dosi e per l’elevato numero dì clienti; conf. Sez. 3, 32695 del 27/03/2015, Genco, Rv. 264491, in cui la Corte ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’attenuante la diversità qualitativa delle sostanze detenute per la vendita, indicativa dell’attitudine della condotta a rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori).
Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, in quanto in appello non erano state proposte doglianze in punto di responsabilità, per cui le stesse, introdotte solo in questa sede di legittimità devono ritenersi inammissibili per interruzione della catena devolutiva.
Invero, alla luce di quanto disposto dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia omesso di pronunciare perché non devolute alla sua cognizione, ad eccezione di quelle rilevabili di ufficio in ogni stato e grado de giudizio e di quelle che non sarebbe stato possibile proporre in precedenza.
E’ stato, infatti, chiarito che «il parametro dei poteri di cognizione del giudic di legittimità è delineato dall’art. 609 cod. proc. pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degl elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con
quella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale», (così, Sez. 2, Sentenza n. 29707 del 08/03/2017 Rv. 270316, in motivazione).
Peraltro, il motivo in questione sarebbe stato comunque inammissibile in quanto volto a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle font probatorie estranea al sindacato di legittimità e avulsi da pertinente individuazione di specifici travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito.
Giova, al riguardo, rammentare che il vizio di travisamento della prova che si risolve nella utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ra gionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 2/7/2019, S., Rv. 277758 01; Sez. 6, n. E146 del 16/1/2014, COGNOME, Rv. 258774-01; Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758 – 01). Ai fini della deducibilità in cassazione di tale vizio è invero necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Sez. 3, n. 2039, del 2/2/2018, COGNOME, Rv. 274816; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, COGNOME, Rv. 249035-01). Tale decisività non è stata adeguatamente esaminata dal ricorrente, il quale si è limitato a censurare l’erronea valutazione di taluni elementi di prova, senza tuttavia prospettare l’idoneità degli stessi a compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione (Cfr. Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280117 – 01), trattandosi, nella specie, di un elemento- attinente all’asserita appartenenza dell’imputato al contesto criminale di riferimento – di per sé solo non sufficiente a inficiare il giudizio di esclusione del fattispecie di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309/1990, fondato per contro, su una valutazione unitaria e non parcellizzata sia del profilo qualiquantitativo della sostanza sia di quello afferente alla dimensione oggettiva dell’azione.
N.
8999/2025 GLYPH
R.G.
3. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc.
non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammiss bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorre
pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della san- zione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
mende.
Così deciso il 10/06/2025