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Fatto di lieve entità: quando è escluso? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio, confermando la decisione dei giudici di merito di non applicare l’ipotesi del “fatto di lieve entità”. La Suprema Corte ha ritenuto corretta la valutazione basata su una serie di indici complessivi: il considerevole quantitativo di sostanza sequestrata (190 grammi di hashish), il rinvenimento di 2.640 euro in contanti, due cellulari, un bilancino di precisione e precedenti condanne per reati analoghi.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: La Cassazione e i Criteri per Escluderlo

L’applicazione dell’ipotesi di reato attenuata del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, rappresenta un punto cruciale in molti processi penali per spaccio. Questa norma permette di ridurre notevolmente le pene quando il fatto presenta una minore gravità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza quali sono gli elementi che i giudici devono considerare per escludere tale beneficio, sottolineando la necessità di una valutazione complessiva e non frammentaria.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un individuo condannato dalla Corte d’Appello per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa del ricorrente si basava principalmente su due punti: la richiesta di riconoscere il fatto di lieve entità, data la natura della sostanza e le modalità della condotta, e la contestazione dell’applicazione delle norme sulla recidiva.

La Corte d’Appello aveva rigettato tali richieste, confermando una valutazione di gravità del fatto incompatibile con l’ipotesi attenuata. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

I Criteri per Escludere il Fatto di Lieve Entità

La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione precedente. Il punto centrale della pronuncia risiede nella motivazione con cui i giudici hanno escluso il fatto di lieve entità. Secondo la Corte, la doglianza del ricorrente era generica e non si confrontava criticamente con le argomentazioni della sentenza impugnata.

I giudici di merito avevano correttamente escluso la minore gravità del fatto basandosi su una valutazione globale di diversi indici sintomatici, tra cui:

* Il quantitativo della sostanza: 190 grammi di hashish, una quantità ritenuta considerevole.
* La disponibilità di denaro: Il rinvenimento di 2.640 euro in banconote di piccolo e medio taglio, considerato un chiaro indicatore di un’attività di spaccio consolidata.
* Gli strumenti per l’attività: Il possesso di due telefoni cellulari, un bilancino di precisione e rotoli di cellophane, tutti elementi tipici per il confezionamento e la vendita delle dosi.

La Corte ha ribadito che, conformemente all’insegnamento delle Sezioni Unite, l’accertamento della lieve entità del fatto richiede una valutazione complessiva di tutti questi elementi, non potendo basarsi su un singolo aspetto isolato.

La questione della recidiva

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’erronea applicazione della recidiva, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse congrua e adeguata, avendo evidenziato come le pregresse condanne per reati analoghi in materia di stupefacenti dimostrassero una maggiore pericolosità sociale dell’imputato, giustificando così un trattamento sanzionatorio più severo.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità sottolineando come il ricorso mancasse di una reale analisi critica delle argomentazioni della sentenza di secondo grado. La valutazione della Corte d’Appello non era affatto implausibile, ma al contrario ben ancorata agli elementi concreti emersi nel processo. L’insieme degli indici (quantità dello stupefacente, denaro, attrezzatura e precedenti) delineava un quadro chiaramente incompatibile con la nozione di ‘lieve entità’. La nuova violazione, inserita in un contesto di precedenti specifici, è stata vista come un sintomo di una pericolosità non occasionale dell’imputato.

Le Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha confermato un principio fondamentale: per stabilire se un reato di spaccio possa essere qualificato come fatto di lieve entità, è necessaria un’analisi globale e non parziale di tutti gli indicatori previsti dalla norma. La presenza simultanea di una quantità di droga non irrisoria, di una somma di denaro significativa e di strumenti per il confezionamento è sufficiente a escludere l’applicazione della norma di favore. La decisione comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Quali elementi portano a escludere il “fatto di lieve entità” in un reato di spaccio?
Secondo questa ordinanza, l’esclusione è giustificata da una valutazione complessiva che considera più fattori insieme: un quantitativo di sostanza non trascurabile (nel caso specifico, 190 gr. di hashish), la disponibilità di una cospicua somma di denaro in banconote di piccolo taglio (€ 2.640), il possesso di strumenti per il confezionamento e la vendita (bilancino, cellophane) e la presenza di precedenti condanne specifiche.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché non conteneva una necessaria analisi critica delle argomentazioni della sentenza impugnata. In altre parole, la difesa non ha contestato in modo efficace e specifico il ragionamento logico e completo della Corte d’Appello, limitandosi a una generica lamentela.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta per il ricorrente la condanna definitiva, l’obbligo di pagare le spese del procedimento e il versamento di una sanzione pecuniaria, in questo caso fissata in 3.000 euro, in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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