Fatto di lieve entità: quando non si applica secondo la Cassazione
L’ordinanza della Corte di Cassazione che analizziamo oggi offre importanti chiarimenti su quando sia possibile escludere l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti. La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso di un imputato, confermando che la valutazione non può limitarsi al solo dato quantitativo della droga, ma deve considerare un quadro indiziario più ampio.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine da una condanna per illecita detenzione di sostanze stupefacenti, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Napoli. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione di legge e un vizio di motivazione per la mancata applicazione dell’ipotesi più lieve prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/1990).
Secondo la difesa, le circostanze del reato avrebbero dovuto condurre i giudici a qualificare il fatto come di minore gravità. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha respinto questa tesi, giudicandola manifestamente infondata.
La Decisione della Corte e il concetto di fatto di lieve entità
La Corte Suprema ha confermato la solidità del ragionamento della Corte d’Appello. I giudici di merito avevano escluso l’ipotesi del fatto di lieve entità sulla base di una valutazione complessiva degli elementi a disposizione, che andavano ben oltre il semplice possesso della sostanza.
Gli elementi considerati decisivi sono stati:
* Il dato quantitativo: La detenzione di hashish sufficiente per confezionare 926 dosi complessive è stata ritenuta di per sé significativa.
* Gli strumenti per lo spaccio: La disponibilità di un bilancino di precisione e di bustine idonee al confezionamento delle dosi.
* La continuità dell’attività: La presenza di un microcellulare e gli altri elementi sono stati interpretati come prova di un’attività di spaccio continuativa e non occasionale.
Le Motivazioni della Corte
Secondo la Cassazione, il percorso argomentativo seguito dalla Corte d’Appello è immune da qualsiasi contraddittorietà o illogicità. La decisione di escludere l’attenuante non si fonda solo sulla quantità dello stupefacente, ma sulla coerenza di un quadro probatorio che delinea un’attività strutturata e non un singolo episodio di modesta entità. La presenza di strumenti specifici come il bilancino e le bustine è stata interpretata come un chiaro indice della destinazione della sostanza alla vendita al dettaglio, comprovando una professionalità e una continuità incompatibili con la nozione di “lieve entità”. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per la qualificazione di un fatto di lieve entità in materia di stupefacenti, il giudice deve compiere una valutazione globale. Non è sufficiente guardare alla bilancia, ma occorre analizzare tutti gli “elementi di contorno” che possono rivelare la vera natura dell’attività illecita. La detenzione di attrezzature per il taglio, la pesatura e il confezionamento delle dosi costituisce un forte indizio contro l’applicazione del trattamento sanzionatorio più mite. Per il ricorrente, la dichiarazione di inammissibilità ha comportato non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle Ammende.
Quando può essere escluso il fatto di lieve entità nel reato di detenzione di stupefacenti?
Può essere escluso quando, oltre al dato quantitativo della sostanza, sussistono altri elementi che nel loro complesso dimostrano un’attività di spaccio continuativa e organizzata, e non un singolo episodio di modesta gravità.
Quali elementi, oltre alla quantità di droga, sono stati considerati decisivi in questo caso?
Gli elementi decisivi sono stati la disponibilità di un bilancino di precisione, di bustine atte al confezionamento delle dosi e di un microcellulare, considerati nel loro insieme come prova di un’attività di spaccio continuativa.
Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione e quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 332 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 332 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 02/03/1993
avverso la sentenza del 18/04/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME – imputato del reato di illecita detenzione di sostanze stupefacenti – ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 18/04/2023 dalla Corte d’Appello di Napoli (che ha confermato la decisione di condanna emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990;
ritenuto che la censura sia manifestamente infondata, alla luce della esaustiva motivazione della Corte d’Appello, che ha escluso l’ipotesi lieve non solo alla luce del dato quantitativo (hashish per 926 dosi complessive), ma anche per le ulteriori risultanze – disponibilità di un bilancino di precisione, di bustine atte confezionamento, di un microcellulare) ritenute comprovanti una continuativa attività di spaccio (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Trattasi di percorso argomentativo immune da contraddittorietà o illogicità manifesta qui deducibili;
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso ir(R)vna, il 1 dicembre 2023 Il Consigier estensore GLYPH
Il Presidente