Fatto di lieve entità: quando la quantità e l’organizzazione lo escludono
Nel diritto penale in materia di stupefacenti, la distinzione tra un reato comune e un fatto di lieve entità è cruciale, poiché comporta conseguenze sanzionatorie molto diverse. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza quali sono i paletti che i giudici devono considerare per escludere questa attenuante, specialmente in casi di coltivazione. La Suprema Corte ha sottolineato come la valutazione non possa basarsi su mere affermazioni, ma debba fondarsi su elementi oggettivi e concreti che emergono dalle prove processuali.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato riguardava una persona condannata in giudizio abbreviato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000 euro di multa per coltivazione di sostanze stupefacenti. L’imputata, attraverso il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel non riqualificare il reato nella fattispecie più lieve.
La coltivazione in questione non era di modeste dimensioni: si trattava di 107 piante di cannabis, con un’altezza media di 1,2 metri. Le analisi tecniche avevano rivelato che dal prodotto si potevano ricavare 45,484 grammi di principio attivo, sufficienti per confezionare ben 1.819,4 dosi medie singole. Oltre alla quantità, a pesare sulla valutazione è stata l’organizzazione dell’attività, caratterizzata dall’uso di attrezzature professionali come pompe immersive e fertilizzanti specifici, nonché dalla presenza di aree dedicate all’essiccazione e di piante in diversi stadi di maturazione, un chiaro indice di una produzione continua destinata al mercato.
Il Ricorso in Cassazione e l’esclusione del fatto di lieve entità
La difesa ha tentato di portare la questione davanti alla Corte di Cassazione, chiedendo una nuova valutazione degli elementi a sostegno della qualificazione del fatto di lieve entità. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo è strettamente procedurale ma di fondamentale importanza: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o i fatti, ma assicurarsi che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e coerente.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano ampiamente e correttamente spiegato perché il fatto non poteva essere considerato di lieve entità, basandosi proprio sugli elementi oggettivi emersi durante le indagini.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha specificato che le critiche sollevate dalla difesa erano semplici “doglianze in punto di fatto”, ovvero un tentativo di ottenere una nuova e diversa lettura delle prove, cosa non consentita in sede di legittimità. La sentenza impugnata aveva già fornito una motivazione puntuale, evidenziando che la gravità del fatto era palese.
Gli elementi valorizzati sono stati:
1. Il notevole quantitativo: Il dato ponderale del principio attivo (oltre 45 grammi) e il numero di dosi ricavabili (oltre 1800) sono stati ritenuti indicatori inequivocabili di un’attività non trascurabile.
2. La scala della coltivazione: 107 piante di altezza considerevole non possono essere associate a un’attività occasionale o di modesta portata.
3. L’organizzazione dell’attività: L’impiego di strumenti specifici (pompa, fertilizzanti), la predisposizione di luoghi per l’essiccazione e la presenza di arbusti a diversi stadi di sviluppo dimostravano una pianificazione e una continuità operativa finalizzate a soddisfare il mercato con regolarità.
Questi fattori, considerati nel loro insieme, delineavano un quadro incompatibile con la nozione di “lieve entità”, che presuppone una minima offensività della condotta.
Le Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: la valutazione sulla lieve entità di un reato in materia di stupefacenti è una questione di merito, affidata all’attento esame del giudice che valuta le prove. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione di tale valutazione è manifestamente illogica, contraddittoria o inesistente. Quando, come in questo caso, la decisione è ancorata a dati oggettivi e solidi (quantità, numero di piante, organizzazione), non c’è spazio per una riconsiderazione. La decisione sottolinea quindi che per beneficiare dell’ipotesi lieve non basta semplicemente richiederla, ma è necessario che le circostanze concrete del reato dimostrino una ridotta pericolosità e un’offensività contenuta, elementi palesemente assenti nel caso di specie.
Quando la coltivazione di cannabis non può essere considerata un fatto di lieve entità?
Secondo la decisione, la lieve entità è esclusa quando sono presenti indicatori oggettivi di una certa gravità, come un notevole quantitativo di principio attivo (nel caso specifico, oltre 45 grammi per più di 1800 dosi), un elevato numero di piante (107) e un’organizzazione strutturata dell’attività (attrezzature, piante a diversi stadi di crescita) che suggerisce una produzione continua per il mercato.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove per ottenere il riconoscimento della lieve entità?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Non può quindi riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici delle precedenti istanze. Un ricorso basato su mere “doglianze in punto di fatto” viene dichiarato inammissibile.
Quali elementi indicano un’attività di spaccio organizzata e non occasionale?
Il provvedimento evidenzia come elementi indicativi di un’attività organizzata siano l’uso di attrezzature specifiche (come pompe immersive e fertilizzanti mirati), la predisposizione di luoghi dedicati all’essiccazione delle piante e la presenza di arbusti in diversi stadi di sviluppo, poiché ciò dimostra una pianificazione volta a garantire una produzione e una fornitura continue al mercato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8986 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8986 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2025
ORDINANZA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CESENATICO il 19/08/1973
avverso la sentenza del 11/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
Rilevato che NOMECOGNOME condannata per il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 all’esito di giudizio abbreviato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusio di 4.000,00 euro di multa, articolando un motivo di ricorso, deduce vizio di motivazione riguardo alla mancata riqualificazione del fatto in termini di lieve entità;
Considerato che il motivo espone censure non consentite dalla legge in sede di legittimit poiché le stesse sono costituite da mere doglianze in punto di fatto riproduttive di deduzion adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito scanditi da specifica critica con il ricorso, ed inoltre sono volte a prefigurare una rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, ed avulse da pertinente individuazione di s travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudici di merito, posto che la sentenza impugnata ha spiegato in modo puntuale perché deve escludersi la lieve entità del fatto valorizzando il notevole quantitativo di sostanza stupefacente detenuta e coltivata, siccome p ad un prodotto contenente 45,484 grammi di principio attivo, dal quale erano ricavabili 1.819 dosi medie singole di cannabis, nonché a 107 piante in coltura, dell’altezza media di 1,2 met nonché l’organizzazione dell’attività, attesi l’uso di pompa immersiva, fertilizzanti mirati deputati all’essiccazione delle piante maturate, e la presenza di arbusti in diversi st sviluppo, sì da poter soddisfare il mercato con continuità;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende, sussistendo profili di colpa nella determinazione delle cause di inammissibilit
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2025.