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Fatto di lieve entità: quando è escluso? La Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per coltivazione di sostanze stupefacenti. La richiesta di riconoscere il fatto di lieve entità è stata respinta, poiché la Corte ha ritenuto che l’ingente quantitativo di principio attivo (oltre 45 grammi, per più di 1800 dosi), il numero di piante (107) e l’organizzazione dell’attività (pompe, fertilizzanti, piante a diverso stadio di crescita) fossero elementi oggettivi sufficienti a escludere la minore gravità del reato, confermando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità: quando la quantità e l’organizzazione lo escludono

Nel diritto penale in materia di stupefacenti, la distinzione tra un reato comune e un fatto di lieve entità è cruciale, poiché comporta conseguenze sanzionatorie molto diverse. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con chiarezza quali sono i paletti che i giudici devono considerare per escludere questa attenuante, specialmente in casi di coltivazione. La Suprema Corte ha sottolineato come la valutazione non possa basarsi su mere affermazioni, ma debba fondarsi su elementi oggettivi e concreti che emergono dalle prove processuali.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguardava una persona condannata in giudizio abbreviato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000 euro di multa per coltivazione di sostanze stupefacenti. L’imputata, attraverso il suo legale, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero errato nel non riqualificare il reato nella fattispecie più lieve.

La coltivazione in questione non era di modeste dimensioni: si trattava di 107 piante di cannabis, con un’altezza media di 1,2 metri. Le analisi tecniche avevano rivelato che dal prodotto si potevano ricavare 45,484 grammi di principio attivo, sufficienti per confezionare ben 1.819,4 dosi medie singole. Oltre alla quantità, a pesare sulla valutazione è stata l’organizzazione dell’attività, caratterizzata dall’uso di attrezzature professionali come pompe immersive e fertilizzanti specifici, nonché dalla presenza di aree dedicate all’essiccazione e di piante in diversi stadi di maturazione, un chiaro indice di una produzione continua destinata al mercato.

Il Ricorso in Cassazione e l’esclusione del fatto di lieve entità

La difesa ha tentato di portare la questione davanti alla Corte di Cassazione, chiedendo una nuova valutazione degli elementi a sostegno della qualificazione del fatto di lieve entità. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il motivo è strettamente procedurale ma di fondamentale importanza: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o i fatti, ma assicurarsi che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e motivato la loro decisione in modo logico e coerente.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano ampiamente e correttamente spiegato perché il fatto non poteva essere considerato di lieve entità, basandosi proprio sugli elementi oggettivi emersi durante le indagini.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha specificato che le critiche sollevate dalla difesa erano semplici “doglianze in punto di fatto”, ovvero un tentativo di ottenere una nuova e diversa lettura delle prove, cosa non consentita in sede di legittimità. La sentenza impugnata aveva già fornito una motivazione puntuale, evidenziando che la gravità del fatto era palese.

Gli elementi valorizzati sono stati:

1. Il notevole quantitativo: Il dato ponderale del principio attivo (oltre 45 grammi) e il numero di dosi ricavabili (oltre 1800) sono stati ritenuti indicatori inequivocabili di un’attività non trascurabile.
2. La scala della coltivazione: 107 piante di altezza considerevole non possono essere associate a un’attività occasionale o di modesta portata.
3. L’organizzazione dell’attività: L’impiego di strumenti specifici (pompa, fertilizzanti), la predisposizione di luoghi per l’essiccazione e la presenza di arbusti a diversi stadi di sviluppo dimostravano una pianificazione e una continuità operativa finalizzate a soddisfare il mercato con regolarità.

Questi fattori, considerati nel loro insieme, delineavano un quadro incompatibile con la nozione di “lieve entità”, che presuppone una minima offensività della condotta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: la valutazione sulla lieve entità di un reato in materia di stupefacenti è una questione di merito, affidata all’attento esame del giudice che valuta le prove. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione di tale valutazione è manifestamente illogica, contraddittoria o inesistente. Quando, come in questo caso, la decisione è ancorata a dati oggettivi e solidi (quantità, numero di piante, organizzazione), non c’è spazio per una riconsiderazione. La decisione sottolinea quindi che per beneficiare dell’ipotesi lieve non basta semplicemente richiederla, ma è necessario che le circostanze concrete del reato dimostrino una ridotta pericolosità e un’offensività contenuta, elementi palesemente assenti nel caso di specie.

Quando la coltivazione di cannabis non può essere considerata un fatto di lieve entità?
Secondo la decisione, la lieve entità è esclusa quando sono presenti indicatori oggettivi di una certa gravità, come un notevole quantitativo di principio attivo (nel caso specifico, oltre 45 grammi per più di 1800 dosi), un elevato numero di piante (107) e un’organizzazione strutturata dell’attività (attrezzature, piante a diversi stadi di crescita) che suggerisce una produzione continua per il mercato.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove per ottenere il riconoscimento della lieve entità?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Non può quindi riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici delle precedenti istanze. Un ricorso basato su mere “doglianze in punto di fatto” viene dichiarato inammissibile.

Quali elementi indicano un’attività di spaccio organizzata e non occasionale?
Il provvedimento evidenzia come elementi indicativi di un’attività organizzata siano l’uso di attrezzature specifiche (come pompe immersive e fertilizzanti mirati), la predisposizione di luoghi dedicati all’essiccazione delle piante e la presenza di arbusti in diversi stadi di sviluppo, poiché ciò dimostra una pianificazione volta a garantire una produzione e una fornitura continue al mercato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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