Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26182 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26182 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a Cerignola il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Cerignola il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza emessa il 13.07.2022 dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Il Pubblico Ministero del Tribunale di Bari in data 28 luglio 2020 ha chiesto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME e NOME COGNOME per i delitti di cui all’a 74, secondo comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per essere stati partecipi, quali
fornitori di considerevoli quantitativi di sostanza stupefacente, dell’associazione dedita al narcotraffico diretta dai fratelli NOME e NOME COGNOME (capo 1), e di cui agli artt. 81, 110 cod. pen., 73, primo e quarto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capo 19), per avere, in concorso e in plurime occasioni, venduto considerevoli quantitativi di cocaina e hashish a NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che, unitamente a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ne facevano spaccio in numerose piazze locali, in Trinitapoli dal maggio all’agosto del 2015.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari, con sentenza emessa in data 21 maggio 2021 all’esito del giudizio abbreviato, ha assolto gli imputati dal reato associativo e li ha condannati, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva e applicata la diminuente per il rito, alla pena di quattro anni, un mese e venti giorni di reclusione.
La Corte di appello di Bari, con la sentenza impugnata, in riforma della pronuncia di primo grado, appellata dagli imputati, ha ridotto la pena inflitta ad NOME COGNOME e NOME COGNOME a quattro anni e venti giorni di reclusione.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse degli imputati, hanno presentato ricorso avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo due motivi.
4.1. Con il primo motivo i difensori censurano, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza dell’art. 73, quinto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
I difensori deducono che la Corte di appello avrebbe escluso illegittimamente l’applicazione della fattispecie di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, rilevando che i ricorrenti si sarebbero recati sette volte nell’arco di tre mesi da Cerignola a Trinitapoli, nelle vicinanze dell’abitazione del COGNOME, al fine di consegnargli sostanza stupefacente.
Ad avviso dei difensori, questo presupposto sarebbe, tuttavia, erroneo, in quanto gli unici incontri che attesterebbero la consegna di una res i definita all’interno dell’abitazione del COGNOME sarebbero quelli del 12 giugno 2015, del 15 giugno 2015 e del 1 agosto 2015.
Il danaro sarebbe, peraltro, stato consegnato ai ricorrenti soltanto nel corso dei due primi incontri e senza alcuna prova della causale del pagamento; solo nell’incontro del 15 giugno 2015, peraltro sarebbe possibile accertare la consegna di buste.
Ad avviso dei difensori, in assenza di sequestri operati dalla polizia
4
giudiziaria, sarebbe, dunque, oggettivamente impossibile stabilire la quantità e la qualità della sostanza stupefacente asseritamente ceduta e, comunque, le cessioni avrebbero avuto ad oggetto quantitativi assolutamente minimi.
La Corte di appello, dunque, non operando quella valutazione complessiva del fatto richiesto dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nella sentenza Murolo (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01) al fine di accertare la sua lieve entità, avrebbe escluso l’applicazione del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, solo sulla base del carattere non occasionale di tali cessioni.
Ad avviso dei difensori, peraltro, la reiterazione delle condotte di spaccio non sarebbe incompatibile con l’applicazione dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
4.2. Con il secondo motivo i difensori deducono, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli articoli 23 e 81 cod. pen. e vizio di illogicità della motivazione in ordine all’aumento di pena per il delitto di cu all’art. 73, quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, ritenuto in continuazione con quello di cui all’art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309 del 1990.
Ad avviso dei difensori, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe sul punto contraddittoria, in quanto la Corte di appello, dopo aver premesso di ridurre «al minimo» l’aumento per la continuazione, ha operato la riduzione di pena in misura di un mese e, dunque, in misura doppia rispetto alla misura minima della reclusione stabilita dall’art. 15 cod. pen.
L’illogicità della sentenza sarebbe evidente anche in relazione al trattamento sanzionatorio riservato dalla Corte di appello ad altri coimputati, come NOME COGNOME, per il quale la riduzione di pena per la continuazione relativa a cessioni di sostanze stupefacenti di tipo leggero è stata determinata, a pag. 188 della sentenza impugnata, in solo quindici giorni di reclusione.
Le udienze del 5 dicembre 2023, del 5 marzo 2024 e dell’8 maggio 2024 sono state rinviate per legittimo impedimento del difensore determinato da motivi di salute.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati, in quanto infondati.
Con il primo motivo il difensore censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine all’esclusione della fattispecie attenuata di cui art. 73, quinto comma, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui i ricorrenti “reinterpretano”,
minimizzando, le risultanze probatorie (contestando il numero delle consegne della sostanza stupefacente o deducendo che la consegna delle «buste» ripresa dalle videocamere non riguardasse cocaina), in quanto propone una versione alternativa dell’accaduto, intesa a confutare (e non già a dimostrare l’illogicità) di quanto accertato dalla Corte di appello.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessinnone, Rv. 207944).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi d fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
3.1. Il motivo è, invece, infondato quanto alla dedotta violazione di legge, pur dovendo essere corretta, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., la motivazione della sentenza impugnata sul punto.
I giudici di entrambi i gradi di merito, con valutazione conforme, hanno escluso la riconducibilità dei fatti di cui al capo 19) alla fattispecie meno grave di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto gli imputati, pur non associati, erano stabili “fornitori all’ingrosso” di cocaina e hashish del sodalizio diretto dai germani RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza impugnata, in particolare, ha escluso l’applicabilità della fattispecie del fatto di lieve sulla base del carattere continuativo e professionale della fornitura posta in essere dagli imputati e dei quantitativi ceduti.
La Corte di appello ha, in primo luogo, rilevato il carattere assiduo delle forniture assicurate dagli imputati all’organizzazione attiva in Trinitapoli, e, in particolare, la frequenza delle consegne delle “buste”, la professionalità dei soggetti, i rapporti con l’intero sodalizio criminale.
Tali elementi, nella valutazione della Corte di appello, dimostrano la capacità di rifornire di hashish e cocaina in modo non episodico, né occasionale la piazza di spaccio di Trinitapoli, gestita dal sodalizio diretto dai COGNOME.
Questo argomento non è, tuttavia, conforme alla disciplina di legge.
La fattispecie del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 74, non è, infatti, in astratto incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio non occasionale e continuativa, come si desume dall’art. 74,
comma 6, del medesimo decreto, che, con riferimento ad un’associazione costituita per commettere fatti descritti dal suddetto comma 5 dell’art. 73, consente di configurare come lievi anche gli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo, né con la particolare tipologia di sostanza stupefacente detenuta (Sez. 3, n. 14017 del 20/02/2018, COGNOME, Rv. 272706 – 01; Sez. 6, n. 39374 del 03/07/2017, COGNOME, Rv. 280849- 01; Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016, COGNOME, Rv. 268171 – 01).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, inoltre, affermato che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076), senza che operi alcun automatismo sul punto.
In tale pronuncia le Sezioni Unite hanno, peraltro, rilevato che «all’esito della valutazione globale di tutti gli indici che determinano il profilo tipico del fatto lieve entità, è poi possibile che uno di essi assuma in concreto valore assorbente e cioè che la sua intrinseca espressività sia tale da non poter essere compensata da quella di segno eventualmente opposto di uno o più degli altri».
La Corte di appello di Bari ha, invece, correttamente motivato l’esclusione della fattispecie della lieve entità di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimenti ai quantitativi di sostanza stupefacente forniti dagli imputati, che nella specie assumono valenza assorbente.
La Corte di appello ha, infatti, evidenziato come dalle operazioni di videosorveglianza e dalle intercettazioni ambientali e telefoniche emergano elementi obiettivamente idonei ad escludere la lieve entità dei quantitativi di sostanza stupefacente ceduta dai ricorrenti.
Nella motivazione si richiamano le riprese effettuate nei pressi dell’abitazione del COGNOME dalle quali si evince che i ricorrenti si sono recati sette volte nell’arco di tre mesi, da Cerignola a Trinitapoli, al fine di consegnare sostanza stupefacente, che i membri dell’associazione avrebbero rivenduto al dettaglio nelle piazze di spaccio, e di ricevere il corrispettivo per le cessioni effettuate.
La Corte di appello, sulla base delle videoriprese eseguite dagli inquirenti, ha rilevato che la consegna della sostanza stupefacente da parte degli imputati a NOME COGNOME nelle date del 12 giugno 2015, del 15 giugno 2015 e del 1 agosto 2015, ha avuto ad oggetto «buste» e non già «cipolline o piccoli pacchetti».
Con riferimento alla consegna eseguita in data 15 giugno 2015, inoltre, la Corte di appello, ha rilevato che il COGNOME è stato ripreso mentre consegna una «busta contenente sostanza bianca allo COGNOME» e che il nitore delle riprese dimostrava che «la sostanza bianca era di dimensioni tali da non essere contenuta
nelle due mani di COGNOME NOME».
La Corte di appello, inoltre, a conferma del rilievo che non si trattasse della cessione di piccoli quantitativi di sostanza stupefacente, né di piccole dosi, ha rilevato che NOME COGNOME in data 23 maggio 2015 è stato ripreso mentre porge al COGNOME «un rotolo di banconote» e in data 6 giugno 2015, mentre gli consegna «due mucchietti di banconote del taglio di 50 e 100 euro».
Nella sentenza di primo grado, analogamente, si rileva che nell’incontro del 23 maggio 2015 gli imputati ricevono «un rotolo di banconote, chiaramente visibile nelle immagini delle videocamere», che nell’incontro del 6 giugno 2015 il COGNOME riceve da NOME COGNOME «numerose banconote da 50 e 100 euro (ben visibili nei fotogrammi per il loro diverso colore)» e che, nell’incontro del 15 giugno 2015, il COGNOME consegna «un considerevole quantitativo di cocaina (si vede bene nei fotogrammi la massa bianca tra le mani)»; nell’incontro del 1 agosto 2015, inoltre, il COGNOME è ripreso mentre si fa consegnare «un sacchetto» dal COGNOME e si dirige verso l’abitazione di NOME COGNOME.
La sentenza n. 37825 del 2023 della Quarta Sezione, che ha giudicato il COGNOME e i suoi sodali nel procedimento originariamente unitario, ha, del resto, escluso l’applicazione del quinto comma per gli appartenenti a tale sodalizio, in quanto i quantitativi complessivamente commercializzati non erano di lieve entità, come dimostrato dalle conversazioni intercettate dalle quali emerge il conteggio di somme di danaro per oltre 4.000 euro per il pagamento dei fornitori di hashish e cocaina, nonché il riferimento, nella conversazione del 5 maggio 2019, ai «tre chili di fumo» che erano stati integralmente saldati.
Con il secondo motivo i difensori hanno dedotto la violazione degli articoli 23 e 81 cod. pen. e il vizio di illogicità della motivazione in ordine all’aumento di pena per il delitto di cui all’art. 73, quarto comma, d.P.R. n. 309 del 1990, ritenuto in continuazione con quello di cui all’art. 73, primo comma, d.P.R. n. 309 del 1990.
5. Il motivo è infondato.
5.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di reato continuato, l’aumento di pena può essere determinato anche nella misura minima concretamente applicabile, pari a un giorno per la reclusione, perché l’art. 81 cod. pen. pone una deroga alle disposizioni generali in materia di minimi edittali (ex plurimis: Sez. 3, n. 23961 del 04/03/2014, Rosta, Rv. 25917901, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l’applicazione di una pena pari a giorni 10 di reclusione ed euro 34 di multa in aumento a titolo di continuazione rispetto ad un reato per il quale era stata già irrogata condanna con separato decreto penale).
La Corte di appello, a pag. 198 della motivazione, ha, tuttavia, rilevato che
«infine, in ordine al trattamento sanzionatorio e dunque all’aumento per la continuazione, tenuto conto della complessiva condotta processuale degli imputati con la rinuncia al primo motivo di appello, e in particolare con la mancata contestazione della responsabilità in ordine al delitto di cui al quarto comma dell’articolo 73; può ridursi al minimo l’aumento per la continuazione nella misura di un mese per la cessione di sostanza stupefacente del tipo hashish, che risulta del tutto idonea rispetto al disvalore di una condotta criminale articolata principalmente sulla fornitura di cocaina».
Da tali rilievi risulta, dunque, che la Corte ha inteso ridurre l’aumento per la continuazione non già nella misura minima consentita dalla legge, ma nella misura minima della pena ritenuta congrua in ragione della gravità dei fatti accertati, come è reso esplicito dal riferimento operato «ad una condotta criminale articolata principalmente sulla fornitura di cocaina».
Nessuna violazione di legge è, dunque, ravvisabile sul punto.
5.2. Non è, del resto, ravvisabile alcun vizio di motivazione in conseguenza della diversa determinazione dell’aumento della pena per la continuazione nei confronti dei ricorrenti rispetto a quello inflitto a NOME COGNOME per cessioni di droghe leggere.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, in tema di ricorso per cassazione, non può essere considerato come indice di vizio di motivazione il diverso trattamento sanzionatorio riservato nel medesimo procedimento ai coimputati, anche se correi, salvo che il giudizio di merito sul diverso trattamento del caso che si prospetta come identico sia sostenuto da asserzioni irragionevoli o paradossali (ex plurimis: Sez. 3, n. 9450 del 24/02/2022, Palladino, Rv. 282839 – 01; Sez. 6, n. 21838 del 23/05/2012, Giovane, Rv. 252880 – 01).
Nel caso di specie l’aumento di pena disposto dalla Corte di appello nei confronti dei ricorrenti trae origine dalla specifica considerazione, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., della condotta dai medesimi posta in essere, distinta e irrelata rispetto a quella del COGNOME.
Alla stregua di tali rilievi, i ricorsi devono essere rigettati.
I ricorrenti devono, pertanto, essere condannati, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
GLYPH
..,.. GLYPH
P.Q.M.
-, GLYPH
W GLYPH Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 23 maggio 2024.