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Fatto di lieve entità: quando è escluso dalla Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. Viene esclusa l’ipotesi del fatto di lieve entità a causa della notevole quantità di droga, della diversità delle sostanze e della presenza di strumenti professionali come un bilancino di precisione e sostanza da taglio, elementi che indicano un’attività non occasionale.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: I Criteri della Cassazione per Escluderlo

L’ordinanza n. 36702/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione su come viene valutata la detenzione di sostanze stupefacenti e, in particolare, su quali elementi impediscono di qualificare il reato come fatto di lieve entità. Questa decisione ribadisce che la valutazione non si basa solo sulla quantità di droga, ma su un insieme di circostanze che possono rivelare una professionalità e una capacità di diffusione sul mercato incompatibili con la minima offensività richiesta dalla legge. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso.

I Fatti di Causa: Detenzione di Hashish e Cocaina

Il caso nasce dal ricorso presentato da un soggetto condannato dalla Corte d’Appello di Roma per il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti, specificamente hashish e cocaina. Dalle sostanze sequestrate era possibile ricavare un numero molto elevato di dosi medie singole: 1093 di hashish e 158 di cocaina. La condanna si basava sull’articolo 73, commi 1 e 4, del d.P.R. 309/90, che punisce la produzione, il traffico e la detenzione illecita di sostanze stupefacenti.

Il Ricorso in Cassazione e la Richiesta di Riqualificazione

La difesa dell’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione nella sentenza d’appello. Il punto centrale del ricorso era la richiesta di riqualificare il reato nella fattispecie meno grave prevista dal comma 5 dello stesso articolo 73, nota come “fatto di lieve entità”. Secondo la difesa, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente motivato le ragioni per cui il comportamento del suo assistito non potesse rientrare in questa ipotesi più lieve.

La Decisione della Suprema Corte: Quando il Fatto di Lieve Entità è Inapplicabile

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La Suprema Corte ha chiarito che il ricorso non presentava motivi validi per un giudizio di legittimità, ma mirava a ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di Cassazione. Il ruolo della Cassazione, infatti, non è quello di riesaminare le prove, ma di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. E, in questo caso, la motivazione è stata giudicata pienamente logica e coerente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha evidenziato che la sentenza d’appello aveva correttamente escluso l’ipotesi del fatto di lieve entità sulla base di una serie di elementi concreti e indicativi. Questi elementi, considerati nel loro insieme, delineavano un quadro di attività illecita ben strutturata e non meramente occasionale. Nello specifico, i fattori determinanti sono stati:

1. Il dato quantitativo: Il numero totale di dosi ricavabili (oltre 1200) era di per sé un indicatore di una detenzione finalizzata a un’ampia distribuzione.
2. La diversità delle sostanze: La detenzione simultanea di droghe diverse (hashish e cocaina, cosiddette “droghe leggere” e “pesanti”) suggerisce una capacità di soddisfare una clientela variegata e un’organizzazione più complessa.
3. Il possesso di strumenti professionali: Il ritrovamento di un bilancino di precisione è stato considerato un chiaro indizio di un’attività di pesatura e confezionamento delle dosi, tipica dello spaccio organizzato.
4. La presenza di sostanza da taglio: Il notevole quantitativo di sostanza da taglio rinvenuto ha ulteriormente rafforzato l’idea di un’attività volta a massimizzare i profitti attraverso la manipolazione dello stupefacente, indicando una spiccata professionalità criminale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame conferma un principio consolidato nella giurisprudenza: la qualificazione di un reato in materia di stupefacenti come “fatto di lieve entità” richiede una valutazione complessiva che tenga conto non solo della quantità, ma anche della qualità della sostanza, dei mezzi utilizzati e di ogni altra circostanza che possa indicare la reale offensività della condotta. Quando elementi come la pluralità di droghe, l’uso di bilancini di precisione e la disponibilità di sostanze da taglio si sommano a un quantitativo non trascurabile, emerge un quadro di “professionalità” dell’attività illecita. Questa professionalità, che implica una rilevante capacità di diffusione sul mercato, è intrinsecamente incompatibile con la nozione di “minima offensività” che sta alla base della fattispecie attenuata, rendendone impossibile l’applicazione.

Quando la detenzione di stupefacenti non può essere considerata un “fatto di lieve entità”?
Secondo la sentenza, non può essere considerata un fatto di lieve entità quando sono presenti indicatori di professionalità, come un notevole quantitativo di droga, la diversità delle sostanze (es. hashish e cocaina), il possesso di strumenti come un bilancino di precisione e la disponibilità di sostanza da taglio. Questi elementi nel loro complesso indicano una capacità di diffusione sul mercato incompatibile con la minima offensività.

Quali elementi indicano una “professionalità” nell’attività di spaccio secondo la Cassazione?
Gli elementi indicativi di professionalità menzionati sono: il dato quantitativo dello stupefacente, la diversità delle sostanze detenute, il possesso di un bilancino di precisione per la pesatura e il confezionamento, e la detenzione di un notevole quantitativo di sostanza da taglio per aumentare il volume del prodotto finale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di rivalutare le prove del processo?
No, non è possibile. Il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile proprio perché la richiesta della difesa mirava a una “rivalutazione meramente in fatto”, ovvero a un nuovo esame delle prove. Il compito della Corte di Cassazione è limitato al cosiddetto “sindacato di legittimità”, cioè a verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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