Fatto di Lieve Entità: Quando Quantità e Modalità Escludono lo Sconto di Pena
L’applicazione della norma sul fatto di lieve entità nel contesto dei reati legati agli stupefacenti è uno dei temi più dibattuti nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali sono gli elementi che, valutati complessivamente, possono impedire il riconoscimento di questa attenuante, anche quando singolarmente presi potrebbero non sembrare decisivi. La decisione sottolinea come la sistematicità della condotta e la pericolosità della sostanza siano indici di un’offensività non trascurabile.
Il Caso in Esame: Dalla Condanna al Ricorso
Il caso trae origine dalla condanna inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello di Milano nei confronti di un individuo per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’articolo 73, comma 1, del d.P.R. 309/1990. La pena stabilita era di 4 anni di reclusione e 21.000 euro di multa.
L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su un unico motivo: la violazione di legge per il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità, disciplinata dal comma 5 dello stesso articolo. Secondo la difesa, le circostanze del caso avrebbero dovuto portare a una qualificazione giuridica più favorevole e, di conseguenza, a una pena inferiore.
La Valutazione del Fatto di Lieve Entità e i Criteri della Corte
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condividendo e rafforzando le argomentazioni della Corte di Appello. Per escludere il fatto di lieve entità, i giudici non si sono limitati a un singolo aspetto, ma hanno condotto una valutazione complessiva di tutti gli indici sintomatici previsti dalla norma. Gli elementi decisivi sono stati:
Qualità e Quantità della Sostanza
La droga sequestrata era shaboo, uno stupefacente noto per il suo elevato allarme sociale e per i notevoli profitti che genera (circa 50 euro per una dose da 0,1 grammi). Il quantitativo totale era inoltre considerevole, stimato in circa 300 dosi singole.
Modalità della Condotta
Le modalità di confezionamento e occultamento sono state ritenute indicative di un’attività non occasionale. La sostanza era già suddivisa in 9 dosi e nascosta all’interno dei calzini dell’imputato. Questi dettagli, secondo i giudici, non sono compatibili con un’offensività minima.
Precedenti e Sistematicità
Un ulteriore elemento chiave è stato il dato storico. L’imputato era stato segnalato in passato per condotte analoghe e aveva precedenti specifici. Questi fattori, uniti, hanno dipinto un quadro di dedizione sistematica al commercio di stupefacenti, e non di un episodio isolato o marginale.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione, nel motivare la propria decisione, ha richiamato i principi consolidati espressi dalle Sezioni Unite. In particolare, ha ribadito che la fattispecie del fatto di lieve entità è configurabile solo in ipotesi di ‘minima offensività penale’. Tale minima offensività deve essere deducibile non solo dal dato quantitativo e qualitativo della droga, ma anche da tutti gli altri parametri, come i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione.
La Corte ha sottolineato un principio fondamentale: quando anche uno solo di questi indici risulta ‘negativamente assorbente’, ovvero di per sé indicativo di una significativa gravità, ogni altra considerazione perde di rilevanza. Nel caso di specie, la combinazione di una droga pericolosa, un quantitativo non trascurabile e le modalità indicative di professionalità criminale ha reso impossibile qualificare il fatto come di lieve entità.
Conclusioni
La decisione in commento conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso. Per ottenere il riconoscimento del fatto di lieve entità non è sufficiente che manchi un elemento di particolare gravità; è necessario che l’intera condotta, analizzata in ogni suo aspetto, dimostri un’offensività minima. La presenza di indici quali la sistematicità dell’attività di spaccio, l’ingente potenziale guadagno e la pericolosità della sostanza costituiscono ostacoli insormontabili all’applicazione del trattamento sanzionatorio più mite. Questa ordinanza serve quindi come monito: la valutazione del giudice deve essere globale e mirata a comprendere la reale portata criminale del comportamento dell’imputato.
Quando può essere escluso il reato di ‘fatto di lieve entità’ nello spaccio di stupefacenti?
Può essere escluso quando la valutazione complessiva degli elementi (qualità e quantità della sostanza, mezzi, modalità e circostanze dell’azione) rivela un’offensività della condotta non minima. Se anche uno solo di questi indici è particolarmente negativo, come un quantitativo ingente o la sistematicità dello spaccio, ciò può essere sufficiente per negare l’applicazione della norma.
Quali elementi specifici ha considerato la Corte per negare la lieve entità in questo caso?
La Corte ha considerato quattro elementi principali: 1) il tipo di droga (‘shaboo’), che genera alto allarme sociale e profitti; 2) il quantitativo, pari a circa 300 dosi; 3) le modalità di confezionamento (già suddiviso in dosi) e di occultamento (nei calzini); 4) la reiterazione di condotte analoghe da parte dell’imputato, che indicava una dedizione sistematica al commercio di stupefacenti.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000,00 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 29863 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29863 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Nigeria il 01/01/1974 avverso la sentenza del 16/10/2024 della Corte d’appello di Milano visti gli atti e la sentenza impugnata; esaminati i motivi del ricorso; dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano del 24/05/2024, che aveva condannato NOME COGNOME in ordine al delitto di cui a ll’ articolo 73, comma 1, d.P.R. 309/1990, alla pena di anni 4 di reclusione ed euro 21.000,00 di multa.
Avverso tale sentenza l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando, con un primo e unico motivo, violazione di legge laddove la sentenza non ritiene di riconoscere l’ipotesi di cui all’articolo 73, comma 5, d.P.R. 309/1990.
3. Il ricorso è inammissibile.
La Corte di appello (pag. 6) evidenzia come la droga rinvenuta in possesso dell’imputato ( shaboo ) sia uno stupefacente collegato ad un fenomeno di rilevante allarme sociale e che garantisce importanti guadagni (50 euro per una dose di 0.1 gr.); che il quantitativo (circa 300 dosi); le modalità di confezionamento (già suddiviso in 9 dosi) e di occultamento (all’inter no dei calzini); il dato storico costituito dalla segnalazione da parte degli operanti dell’imputato circa la reiterazione di analoghe condotte, unitamente ai precedenti specifici, sono elementi tutti che, considerati complessivamente, fotografano la dedizione non occasionale ma sistematica al commercio di stupefacenti da parte del Lawal, impedendo di considerare il fatto come di lieve entità.
Tale motivazione fa buon governo dei principi espressi da questa Corte nella sua massima composizione, che ha in primo luogo evidenziato (Sez. U, Sentenza n. 35737 del 24/06/2010, Rico, Rv. 247911-01) che la fattispecie in esame è configurabile «solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio», successivamente confermando (Sez. U, n.51063 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076) che l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione.
4. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d i inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deciso l’11 aprile 2025.