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Fatto di lieve entità: non solo la quantità conta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La difesa chiedeva il riconoscimento del fatto di lieve entità basandosi solo sulla quantità dello stupefacente. La Corte ha ribadito che per questa attenuante contano anche la condotta dell’imputato e il contesto generale, non solo il dato ponderale della sostanza, che nel caso specifico avrebbe permesso di ricavare 227 dosi.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità: la valutazione va oltre la quantità

Nel diritto penale, la qualificazione di un reato legato agli stupefacenti come fatto di lieve entità può cambiare radicalmente l’esito del processo, comportando una pena notevolmente inferiore. Tuttavia, i criteri per ottenere tale riconoscimento non sono sempre scontati. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, chiarendo che la valutazione non può limitarsi al solo dato quantitativo della sostanza sequestrata, ma deve estendersi a un’analisi complessiva della condotta del reo.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo a 1 anno e 4 mesi di reclusione e 4.000 euro di multa, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Brescia. L’imputato era stato ritenuto colpevole di detenzione di sostanze stupefacenti.

Contro la sentenza di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. In particolare, la difesa sosteneva che i giudici di merito avessero errato nel negare l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (D.P.R. 309/1990). Secondo il ricorrente, la decisione si basava unicamente sul dato ponderale della droga sequestrata, senza considerare altri elementi.

La decisione della Corte sul fatto di lieve entità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici supremi hanno confermato la correttezza della decisione della Corte territoriale, sottolineando come la valutazione non fosse stata illogica.

La Corte d’Appello, infatti, aveva escluso la ricorrenza del fatto di lieve entità non solo in base alla quantità di stupefacente, da cui si sarebbero potute ricavare ben 227 dosi medie singole (un quantitativo definito “sicuramente non esiguo”), ma anche analizzando il comportamento complessivo dell’imputato. È emerso che quest’ultimo, pur essendo titolare di un’associazione per la commercializzazione di prodotti a base di “cannabis light”, deteneva sostanza con un alto contenuto drogante, aggravando così la propria posizione in merito alla valutazione del dolo.

Le motivazioni

La motivazione centrale della Corte di Cassazione risiede nel principio consolidato secondo cui, per stabilire se un reato di droga sia di lieve entità, il giudice deve compiere una valutazione globale. Il mero dato ponderale è solo uno dei tanti indicatori da considerare, insieme alle modalità dell’azione, alla qualità della sostanza e al contesto in cui il reato si è consumato.

Nel caso specifico, la condotta dell’imputato è stata considerata particolarmente rilevante. Il fatto che egli operasse nel settore della “cannabis light” e fosse stato trovato in possesso di sostanze con un principio attivo ben più elevato è stato interpretato come un elemento che aggrava la sua posizione soggettiva, dimostrando un’intenzionalità (dolo) più marcata e incompatibile con la qualificazione di un fatto come lieve.

La Corte ha quindi stabilito che il ricorso fosse inammissibile e, di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale per i casi di inammissibilità.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di reati di droga: la concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità non è un automatismo legato alla quantità. I tribunali sono tenuti a esaminare attentamente tutte le circostanze del caso concreto, inclusa la personalità e il comportamento dell’imputato. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che la difesa non può basarsi esclusivamente su un dato numerico, ma deve costruire un quadro completo che dimostri la minima offensività della condotta. La decisione sottolinea l’importanza della valutazione complessiva del disvalore penale del fatto, che va ben oltre il semplice peso della sostanza illecita.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché la Corte territoriale aveva correttamente motivato la sua decisione, basandola non solo sulla quantità dello stupefacente, ma anche sulla condotta aggravante dell’imputato.

Quali criteri si usano per valutare il “fatto di lieve entità”?
La valutazione non si limita al solo dato ponderale (quantità) dello stupefacente. Si devono considerare anche altri elementi, come le modalità dell’azione, la qualità della sostanza e, come in questo caso, il contegno complessivo e l’intenzionalità (dolo) del soggetto agente.

Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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