Fatto di Lieve Entità nello Spaccio: Oltre il Peso della Droga
La qualificazione di un reato di spaccio come fatto di lieve entità rappresenta una delle questioni più dibattute nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4048/2024) torna sul tema, chiarendo ancora una volta che la sola quantità di stupefacente non è sufficiente per ottenere il riconoscimento di questa attenuante. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dai giudici.
I Fatti del Caso e il Ricorso in Cassazione
Un uomo veniva condannato in primo e secondo grado alla pena di tre anni di reclusione e 20.000 euro di multa per la detenzione, a fini di spaccio, di otto panetti di hashish. Tramite il suo difensore, l’imputato presentava ricorso alla Corte di Cassazione, basandolo su due motivi principali:
1.  Errata qualificazione giuridica: si sosteneva che la condotta dovesse essere ricondotta all’ipotesi di fatto di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/90), che prevede pene notevolmente più miti.
2.  Difetto di motivazione sulla pena: si contestava la congruità della pena inflitta, ritenuta eccessiva e non adeguatamente giustificata dai giudici di merito.
La contestazione del Fatto di Lieve Entità
Il punto centrale del ricorso era la richiesta di derubricare il reato. Secondo la difesa, le circostanze del caso avrebbero dovuto portare a una valutazione di minore gravità. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo manifestamente infondato, confermando la decisione dei giudici di merito.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto entrambe le doglianze, fornendo una motivazione chiara e in linea con il proprio orientamento consolidato.
Per quanto riguarda la qualificazione del reato, i giudici hanno sottolineato che la valutazione del fatto di lieve entità non può mai risolversi in una mera analisi del dato ponderale (il peso della sostanza). La legge impone una valutazione globale che tenga conto di tutti gli indici sintomatici della condotta. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente evidenziato elementi ostativi al riconoscimento dell’attenuante:
*   Il numero di dosi: il principio attivo contenuto nello stupefacente sequestrato avrebbe permesso di confezionare oltre 3.000 dosi medie. Questo dato, da solo, indicava un’offensività tutt’altro che trascurabile.
*   Le modalità della condotta: le tecniche di conservazione e occultamento della sostanza erano prodromiche a una successiva lavorazione e commercializzazione su larga scala, delineando un’attività di spaccio ben organizzata e non occasionale.
La Corte ha ribadito che l’individuazione del fatto lieve richiede di considerare le modalità dell’azione, i mezzi impiegati e la professionalità che emerge dalla condotta, lasciando sullo sfondo il mero dato quantitativo.
Anche riguardo alla dosimetria della pena, la Cassazione ha ritenuto la motivazione dei giudici di merito adeguata e logicamente argomentata. La pena, fissata in misura di poco superiore alla media edittale, era giustificata sulla base dei criteri dell’art. 133 del codice penale. In particolare, sono stati valorizzati:
*   La gravità del fatto, desunta dal numero di dosi e dal collegamento con realtà criminali di rilievo.
*   La personalità negativa dell’imputato, gravato da precedenti specifici.
*   La circostanza aggravante che il reato fosse stato commesso mentre l’imputato era già sottoposto a una misura cautelare detentiva.
*   Il comportamento processuale tutt’altro che collaborativo.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma un principio fondamentale in materia di stupefacenti: per distinguere lo spaccio ‘comune’ dal fatto di lieve entità, è necessaria un’analisi olistica. Il giudice non deve limitarsi a pesare la droga, ma deve scandagliare l’intero contesto dell’azione illecita. La professionalità, l’organizzazione, il numero di dosi potenziali e i legami con ambienti criminali sono tutti indicatori che, se presenti, escludono la possibilità di applicare il trattamento sanzionatorio più mite. Questa decisione riafferma la necessità di un approccio rigoroso e multifattoriale per contrastare efficacemente il traffico di sostanze stupefacenti.
 
Come si determina se un reato di spaccio è un ‘fatto di lieve entità’?
La determinazione non si basa solo sulla quantità di droga (dato ponderale), ma richiede una valutazione globale di tutti gli elementi del caso. Si considerano le modalità dell’azione, i mezzi impiegati, la qualità e quantità della sostanza, e il numero di dosi ricavabili, per valutare la reale offensività della condotta.
Il peso della droga è irrilevante per la legge?
No, il peso non è irrilevante, ma non è l’unico né il più importante fattore. La giurisprudenza costante della Corte di Cassazione afferma che il dato ponderale deve essere valutato insieme a tutti gli altri indici sintomatici per comprendere la portata e la professionalità dell’attività illecita.
Quali fattori possono giustificare una pena superiore al minimo per lo spaccio?
Secondo la sentenza, diversi fattori possono giustificare una pena superiore al minimo: la gravità oggettiva del fatto (come l’elevato numero di dosi), la negativa personalità del reo (evidenziata da precedenti penali specifici), la commissione del reato mentre si è sottoposti ad altre misure cautelari e un comportamento processuale non collaborativo.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4048 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 4048  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/11/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
1.COGNOME NOME ha proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso avverso la sentenza, in epigrafe indicata che ha confermato la decisione del Tribunale di Roma che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di detenzione di otto panetti di hashish destinati alla commercializzazione e lo aveva condannato alla pena di anni tre di reclusione ed euro 20.000 di multa.
Il ricorso poggia su due motivi di ricorso con i quali si assume la errata qualificazione giuridica del fatto che avrebbe dovuto essere sussunto sotto il paradigma dell’art.73 comma 5 d.P.R. 309/90 e il difetto motivazionale in relazione alla dosimetria della pena.
I motivi di ricorso risultano inammissibili in quanto manifestamente infondati.
3.1 Quanto all’invocata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73 comma 5 d.P.R. n.309/90, il motivo in questione è manifestamente infondato poiché basato su prospettazioni ermeneutiche palesemente in contrasto con il dato normativo e con l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità.
I giudici del gravame e del merito hanno dato infatti conto di elementi sintomatici della non lieve entità del fatto: in primo luogo, la circostanza, preponderante ed ostativa alla configurabilità della fattispecie di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n.309/90, secondo la quale il peso del principio attivo presente nello stupefacente consentisse di confezionare oltre 3.000 dosi medie droganti; le modalità di conservazione, di occultamento, progronnico alla successiva lavorazione e destinazione al mercato costituiscono altresì indici sintomatici di una attività di smercio non trascurabile.
3.1.1 Giova, infatti, rammentare che la Corte di legittimità che è proprio la globalità della valutazione richiesta dall’art. 73 comma 5 T.U. stup. ad impedire l’elaborazione di soglie predefinite poiché la littera legis impone all’ermeneuta di considerare il peso unitamente a tutti gli altri indici sintomatici dell lieve entità: tale conclusione è, inoltre, avvalorata dai recenti precedenti di legittimità, ove la Corte ha valorizzato molteplici elementi che ricostruiscono l’attività di spaccio su larga scala (Sez. 6, n.13982 del 20.02.2018, Rv. 272529).
In questi termini, si è giunti a ricondurre l’ipotesi del c.d. piccolo spaccio entro i confini della lieve entità, avendo la Corte di legittimità affermato che l’individuazione del fatto lieve non possa mai risolversi nella mera indagine sul dato ponderale, tanto che il Supremo Consesso in molteplici occasioni ha lasciato sullo sfondo il dato ponderale, valorizzando le modalità dell’azione o i mezzi impiegati da cui poter evincere la professionalità e l’ampiezza dell’attività illecita svolta. (Sez. 7 ord. n.16744 del 6.04.2022, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n.20234 del 4.02.2022, Rv. 283203; Sez. 4, n. 44551 del 28.10.2022, COGNOME, non mass).
Si tratta di valutazioni che la Corte territoriale, nel caso de quo, fornisce, avendo riguardo non solo e non tanto al dato ponderale ma anche, e soprattutto, al numero di dosi medie ricavabili e alle modalità dell’azione delittuosa e ai collegamenti criminosi del prevenuto, elementi idonei a dimostrare la non lieve entità del fatto.
Quanto poi al trattamento sanzionatorio i giudici di merito hanno fornito adeguata argomentazione logico giuridica del fatto che la pena sia stata fissata in misura di poco superiore alla media edittale, !:;ulla base dei criteri riconducibili all’art.133 cod.pen. Quanto ai profili fattuali la corte distrettuale ha dato conto della gravità del fatto per il numero di dosi ricavabili e per le complessive modalità della condotta che denotavano un collegamento con realtà criminali di assoluto rilievo. Quanto poi ai profili soggettivi e alla capacità a delinquere del reo la corte di appello ha stigmatizzato la negativa personalità del prevenuto, gravato d precedenti specifici, la circostanza che il fatto è stato commesso allorquando l’imputato era sottoposto a misura cautelare detentiva e che il comportamento processuale è risultato tutt’altro che collaborativo, assoivendo adeguatamente l’onere motivazionale richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per giustificare la misura di un trattamento sanzionatorio discosto dal minimo edittale, ma comunque compreso in un range medio.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del fg ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a l’avore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 3.000 a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 dicembre 2023
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Il consigliere relatore
Il Presi ente