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Fatto di lieve entità: non basta la quantità

La Corte di Cassazione ha confermato la misura degli arresti domiciliari per un individuo accusato di spaccio, respingendo la richiesta di qualificare il reato come fatto di lieve entità. La Corte ha stabilito che, nonostante la quantità di droga fosse inferiore a certi limiti giurisprudenziali, la valutazione deve essere complessiva, considerando anche il contesto e il possesso di strumenti per il confezionamento, escludendo così il beneficio.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità per spaccio: perché la quantità non basta

Nel diritto penale in materia di stupefacenti, la qualificazione di un reato come fatto di lieve entità rappresenta uno snodo cruciale che può modificare radicalmente l’esito del procedimento e l’entità della pena. Questa fattispecie, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, consente pene molto più miti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per ottenere questo riconoscimento, non è sufficiente considerare solo la quantità di droga sequestrata. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I fatti del caso: spaccio dal balcone

Il caso ha origine da un controllo di polizia presso l’abitazione di un soggetto già sottoposto a detenzione domiciliare. Durante l’operazione, un altro individuo presente nell’appartamento, alla vista degli agenti, gettava da un balcone un involucro. Recuperato dalle forze dell’ordine, il pacchetto conteneva 42,24 grammi di eroina. All’interno dell’abitazione venivano inoltre rinvenuti materiali per la pesatura e il taglio della sostanza, suggerendo un’attività di spaccio organizzata.

L’autore del gesto veniva arrestato e sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari. La sua difesa, tuttavia, ha presentato ricorso, sostenendo che la condotta dovesse essere inquadrata nel più mite fatto di lieve entità.

La contestazione della difesa e il rifiuto del riconoscimento di fatto di lieve entità

La difesa ha articolato il ricorso su due punti principali. In primo luogo, ha chiesto la derubricazione del reato, evidenziando che il quantitativo di eroina era inferiore a quello che la stessa Cassazione, in precedenti sentenze, aveva indicato come limite per il riconoscimento del fatto di lieve entità. Inoltre, sottolineava la condotta collaborativa dell’imputato.

In secondo luogo, ha contestato la proporzionalità della misura cautelare degli arresti domiciliari, ritenuta eccessiva rispetto alla presunta gravità del fatto e alla collaborazione mostrata.

Il Tribunale del riesame aveva già respinto queste argomentazioni, confermando la misura cautelare. La Corte ha ritenuto che la non occasionalità della condotta, il dato ponderale non modesto e il possesso di strumenti per il confezionamento della droga fossero elementi sufficienti per escludere la lieve entità e per giustificare il pericolo di reiterazione del reato.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale. Le motivazioni sono un’importante lezione sul corretto approccio alla valutazione del fatto di lieve entità.

La valutazione deve essere complessiva

Il cuore della decisione risiede nel principio, consolidato in giurisprudenza, secondo cui la qualificazione di un fatto come lieve non può basarsi sul solo dato quantitativo. Sebbene esistano sentenze che hanno individuato soglie statistiche indicative (per l’eroina, circa 107 grammi), queste non sono un criterio automatico.

Il giudice deve, invece, compiere una valutazione ‘complessiva’ del caso concreto, tenendo conto di tutti gli indici previsti dalla norma: i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, nonché la qualità e quantità delle sostanze. Nel caso specifico, il Tribunale ha correttamente valorizzato non solo la quantità, ma anche:

* Il rinvenimento di materiale per il taglio e confezionamento, indice di un’attività non estemporanea ma organizzata.
* Le circostanze dell’azione, avvenuta nell’abitazione di un soggetto già gravato da precedenti specifici, indicando l’inserimento dell’indagato in un contesto di narcotraffico.

Questi elementi, valutati insieme, hanno disegnato un quadro di offensività concreta tale da escludere la lieve entità del fatto.

La proporzionalità della misura cautelare

Anche sul secondo motivo, la Corte ha ritenuto infondata la doglianza. La valutazione sulla pericolosità dell’indagato e sulla scelta della misura cautelare più adeguata è un giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, la motivazione è logica e congrua. Il Tribunale ha giustamente ritenuto che solo gli arresti domiciliari potessero interrompere i contatti dell’indagato con l’ambiente criminale e prevenire efficacemente il rischio di recidiva.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: la valutazione del fatto di lieve entità non è un mero calcolo matematico basato sulla quantità di stupefacente. È un giudizio complesso che richiede al giudice di analizzare l’intera condotta nel suo contesto. La presenza di indici di professionalità, come strumenti per il confezionamento o il legame con altri soggetti dediti allo spaccio, può essere decisiva per escludere il beneficio, anche a fronte di quantitativi non eccezionali. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che ogni caso deve essere valutato nella sua specificità, senza poter fare affidamento su automatismi basati sul solo peso della sostanza.

Per qualificare un reato di spaccio come ‘fatto di lieve entità’ è sufficiente che la quantità di droga sia bassa?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il solo dato quantitativo non è sufficiente. È necessaria una valutazione complessiva che consideri tutti gli indici previsti dalla norma, come le modalità dell’azione, i mezzi utilizzati e la pericolosità della condotta.

Il possesso di strumenti per il confezionamento della droga può impedire il riconoscimento del ‘fatto di lieve entità’?
Sì, secondo la sentenza, il rinvenimento di materiale per il taglio e il confezionamento della sostanza, unito ad altri elementi, è un fattore che concorre a escludere la lieve entità del fatto, in quanto indica un’attività non occasionale e finalizzata allo spaccio.

La collaborazione dell’imputato influenza la decisione sulla misura cautelare?
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la necessità di interrompere i contatti dell’indagato con l’ambiente criminale e prevenire la reiterazione del reato prevalesse sulla sua condotta collaborativa, giustificando la misura degli arresti domiciliari come adeguata e proporzionata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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