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Fatto di lieve entità: no se lo spaccio è sistematico

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di cocaina. Viene confermato che l’attività di spaccio sistematica, continuativa e fonte primaria di sostentamento non può essere qualificata come fatto di lieve entità, giustificando la pena severa e la confisca dei beni sproporzionati rispetto ai redditi leciti.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di lieve entità nello spaccio: quando l’attività diventa un mestiere

L’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità nei reati di droga è uno dei temi più dibattuti nelle aule di giustizia. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: se lo spaccio non è occasionale ma costituisce un’attività organizzata e la principale fonte di reddito, non può esserci spazio per un trattamento sanzionatorio più mite. Analizziamo questa importante decisione per capire i criteri che escludono la lieve entità.

I fatti del caso

Il caso riguarda un uomo condannato per detenzione e cessione di cocaina. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando tre aspetti principali della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello:

1. Il mancato riconoscimento del fatto di lieve entità previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.
2. L’eccessività della pena e la mancata esclusione della recidiva.
3. La sproporzione della confisca dei suoi beni.

Secondo la difesa, l’attività delittuosa avrebbe dovuto beneficiare di un trattamento più favorevole. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando in toto la decisione dei giudici di merito.

La decisione della Corte di Cassazione e il concetto di fatto di lieve entità

La Corte Suprema ha respinto il ricorso definendolo inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella valutazione complessiva della condotta dell’imputato, che andava ben oltre un episodio sporadico di spaccio.

I giudici hanno evidenziato come l’attività non fosse né occasionale né secondaria. Al contrario, rappresentava la fonte primaria e quasi esclusiva di sostentamento per l’imputato e la sua famiglia. Questo elemento, unito alla quantità di sostanza stupefacente (sufficiente per oltre 248 dosi) e alla presenza di una rete di clienti fidelizzati, ha delineato un quadro di spaccio sistematico e professionale.

La valutazione della recidiva e della confisca

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati respinti. La Corte ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva, data la presenza di precedenti penali specifici e la dimostrata tendenza a delinquere dell’imputato, che, nonostante le precedenti condanne, aveva continuato a violare la legge dedicandosi allo spaccio.

Infine, la confisca dei beni è stata confermata. I giudici hanno accertato una palese sproporzione tra il valore degli immobili (intestati fittiziamente alla compagna) e i redditi leciti dichiarati dal nucleo familiare. La compagna risultava priva di occupazione stabile e l’imputato svolgeva solo lavori saltuari ‘in nero’, peraltro ritenuti funzionali all’attività illecita. Questa sproporzione ha legittimato la misura ablativa, in quanto i beni sono stati considerati il frutto dell’attività di spaccio.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si basano su un’analisi rigorosa degli indici previsti dalla legge per valutare la lieve entità del fatto. Non si tratta solo di guardare al dato quantitativo della droga, ma di considerare un insieme di fattori: le modalità dell’azione, l’organizzazione, la continuità nel tempo e le finalità della condotta. Nel caso specifico, l’attività di spaccio era diventata un vero e proprio ‘stile di vita’, un sistema organizzato per generare profitto. I giudici hanno sottolineato come la presunta attività lavorativa lecita (muratore) fosse in realtà strumentale a quella illecita, come dimostrato dalla costruzione di una serra per i suoi fornitori di droga. Questa connessione funzionale ha ulteriormente rafforzato la tesi dell’accusa, escludendo ogni possibilità di qualificare il reato come di lieve entità.

Le conclusioni

La pronuncia in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: l’attenuante del fatto di lieve entità è incompatibile con un’attività di spaccio che assume i contorni di una vera e propria impresa criminale, anche se su scala ridotta. La valutazione deve essere complessiva e non può prescindere dall’analisi del ruolo che l’attività illecita riveste nella vita dell’imputato. Quando lo spaccio diventa la principale fonte di sostentamento e viene condotto con professionalità e continuità, la risposta dello Stato deve essere ferma, sia in termini di pena detentiva che di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.

Quando lo spaccio di droga non può essere considerato un fatto di lieve entità?
Quando l’attività non è sporadica od occasionale, ma costituisce la fonte primaria e pressoché esclusiva di sostentamento, ha carattere articolato e continuo e si rivolge a un gruppo di clienti fidelizzati. La valutazione complessiva di mezzi, modalità e circostanze dell’azione esclude la minima offensività penale.

Perché la recidiva è stata confermata in questo caso?
La recidiva è stata confermata perché l’imputato aveva precedenti condanne specifiche per reati della stessa indole, oltre a precedenti per reati contro il patrimonio. Ciò dimostra un’accentuata rimproverabilità della condotta e una persistente pericolosità sociale.

Su quali basi è stata giustificata la confisca di beni intestati a un’altra persona?
La confisca è stata giustificata sulla base della fittizietà dell’intestazione dei beni alla compagna dell’imputato e sulla sproporzione tra il valore di tali beni e i redditi leciti del nucleo familiare. È stato provato che la compagna era priva di occupazione stabile e che gli acquisti immobiliari erano avvenuti in un periodo in cui non vi era alcuna fonte di reddito lecita a giustificarli.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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