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Fatto di lieve entità: no se lo spaccio è business

La Corte di Cassazione ha stabilito che una serie di cessioni di stupefacenti, seppur di piccole quantità, non può essere qualificata come fatto di lieve entità se inserita in un contesto di attività organizzata e altamente redditizia. La sentenza analizza due ricorsi contro misure cautelari, respingendone uno per carenza di interesse e l’altro nel merito, sottolineando che la valutazione complessiva dell’attività criminale, inclusi i guadagni e la struttura organizzativa, prevale sulla singola quantità ceduta.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Fatto di Lieve Entità: Non Applicabile se lo Spaccio è un’Attività Organizzata

Nel complesso mondo del diritto penale, la distinzione tra reati gravi e reati minori è cruciale e determina non solo l’entità della pena, ma anche l’applicabilità di misure restrittive come la custodia cautelare. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di stupefacenti: una serie di cessioni, anche di piccole dosi, non può essere considerata un fatto di lieve entità se si inserisce in un’attività di spaccio ben organizzata e con profitti significativi. Analizziamo questa decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda due persone indagate per spaccio di cocaina. A seguito delle indagini, il GIP aveva disposto la custodia cautelare in carcere per un uomo e gli arresti domiciliari per la sua compagna. Gli indagati contestavano la misura, sostenendo che le loro condotte dovessero essere riqualificate come fatto di lieve entità ai sensi dell’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti. La loro difesa si basava sul fatto che le cessioni erano state numerose ma di quantità esigue (micro-cessioni), protratte per un periodo di circa sei mesi.

Contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame, che aveva confermato le misure cautelari, entrambi gli indagati hanno proposto ricorso per Cassazione, insistendo sulla medesima tesi difensiva.

La Valutazione del Fatto di Lieve Entità da Parte della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, ma con motivazioni distinte per le due posizioni.

La Posizione della Co-indagata: Carenza di Interesse

Per la donna, sottoposta agli arresti domiciliari, la Corte ha rilevato una fondamentale carenza di “interesse ad impugnare”. I giudici hanno spiegato che, anche se il reato fosse stato riqualificato come fatto di lieve entità, la misura degli arresti domiciliari sarebbe stata comunque applicabile. Di conseguenza, l’eventuale accoglimento del ricorso non le avrebbe portato alcun concreto vantaggio processuale, rendendo l’impugnazione inammissibile.

La Posizione dell’Indagato Principale e il Fatto di Lieve Entità

Diversa, ma ugualmente negativa, è stata la sorte del ricorso dell’uomo. La Corte ha riconosciuto il suo interesse a impugnare, poiché la riqualificazione avrebbe potuto teoricamente incidere sulla possibilità di applicare la misura più grave della custodia in carcere. Tuttavia, il ricorso è stato giudicato “manifestamente infondato”.

Secondo la Suprema Corte, il tentativo di far passare l’attività per un fatto di lieve entità si scontrava con le evidenze emerse dalle indagini, che delineavano un quadro ben diverso da uno spaccio occasionale e di modesta portata.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha evidenziato come il giudice del riesame avesse correttamente valorizzato una serie di elementi incompatibili con la lieve entità del fatto. L’attività di spaccio non era sporadica, ma rappresentava una vera e propria impresa criminale, caratterizzata da:

* Organizzazione: L’indagato utilizzava luoghi di occultamento, gestiva una rete capillare di clienti e usava strumenti moderni come app di messaggistica (con un linguaggio in codice basato su emoticon) per gestire gli ordini.
* Professionalità e Continuità: L’attività era definita “fiorente” e impegnava costantemente l’indagato, il quale, in alcune intercettazioni, si paragonava a un corriere espresso per la sua efficienza.
* Ingenti Guadagni: Le intercettazioni rivelavano profitti enormi, con l’indagato che si vantava di guadagnare tra i 30.000 e i 50.000 euro al mese e di aver accumulato 200.000 euro in due anni. Progettava persino di “assumere” un collaboratore dal Marocco per espandere l’attività.

Questi elementi, nel loro complesso, delineano un’offensività della condotta che va ben oltre la soglia della lieve entità. La Corte ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata (incluse le Sezioni Unite), secondo cui la valutazione deve essere complessiva e non può limitarsi al mero dato quantitativo della singola cessione. Devono essere considerati i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, che in questo caso indicavano un’attività imprenditoriale illecita.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza ribadisce che per qualificare un reato di spaccio come fatto di lieve entità, non basta che le singole vendite riguardino piccole quantità di droga. Se queste cessioni si inseriscono in un flusso continuo, organizzato e volto a generare profitti sistematici, la condotta assume una gravità tale da escludere l’ipotesi attenuata. La decisione conferma che il sistema giudiziario guarda alla sostanza del fenomeno criminale: un conto è lo spaccio occasionale per far fronte a necessità personali, un altro è gestire un vero e proprio business della droga, che, per sua natura, non potrà mai essere considerato di “lieve entità”.

Quando una serie di piccole cessioni di droga può essere considerata un reato grave e non un fatto di lieve entità?
Quando le cessioni, seppur di modesta quantità, si inseriscono in un’attività continuativa, organizzata e strutturata come un vero e proprio business, che genera profitti significativi. La valutazione complessiva della condotta prevale sul singolo episodio.

È sempre possibile impugnare una misura cautelare chiedendo una qualificazione giuridica più favorevole del reato?
È possibile solo se si ha un “interesse ad impugnare”, cioè se dalla nuova qualificazione giuridica può derivare un vantaggio concreto, come l’inapplicabilità della misura cautelare in atto. Se la misura resterebbe applicabile anche per il reato meno grave, il ricorso è inammissibile.

Quali elementi valuta il giudice per escludere il fatto di lieve entità nello spaccio?
Il giudice valuta complessivamente tutti i parametri: la quantità e qualità della sostanza, i mezzi utilizzati (es. app di messaggistica, luoghi di occultamento), le modalità dell’azione, la sua continuità nel tempo e l’entità dei guadagni. La presenza di una struttura organizzata e di profitti elevati sono indici che portano ad escludere la lieve entità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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