Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9132 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9132 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Cosenza il 1/12/1982
avverso la sentenza del 20/11/2023 della Corte d’appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20 novembre 2023 la Corte d’appello di Catanzaro, provvedendo sulle impugnazioni proposte dall’imputato e dal Pubblico ministero nei confronti della sentenza del 26 aprile 2023 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cosenza, con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, NOME COGNOME era stato condannato alla pena di due anni di reclusione e 4.000,00 euro di multa in relazione al reato di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90, così riqualificata l’originaria contestazione formulata ai sensi dell’art. 73, primo comma, d.P.R. 309/90 (relativa alla detenzione di complessivi 96,6 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, corrispondenti a 474 dosi medie singole), ha riqualificato il fatto secondo l’originaria contestazione e ha rideterminato la pena in due anni e otto mesi di reclusione e 12.000,00 euro di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa alla valutazione delle prove e all’affermazione di responsabilità, a causa della errata considerazione delle risultanze istruttorie e, in particolare, di quanto dichiarato da NOME COGNOME il quale, concordando con quanto dichiarato dal ricorrente, aveva riferito che nell’appartamento nel quale venne rinvenuta la sostanza stupefacente oggetto della contestazione egli si era recato assieme al ricorrente per assumere droga acquistata altrove e che la sostanza ivi rinvenuta non apparteneva al ricorrente. Ha censurato anche la ricostruzione del fatto compiuta dalla Corte d’appello, in quanto, contrariamente a quanto affermato nella motivazione della sentenza impugnata, nella abitazione all’interno della quale venne rinvenuta la sostanza stupefacente vi era anche Airano, con la conseguente erroneità del rilievo attribuito alla uscita frettolosa di quest’ultimo da tale abitazione.
2.2. In secondo luogo, ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 73 d.P.R. 309/90, in conseguenza della riqualificazione della condotta ai sensi del primo comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, escludendone la lieve entità ritenuta dal primo giudice, in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità a proposito dei presupposti per poter ritenere configurabile la fattispecie del “fatto di lieve entità” di cui all’art. 73, quinto comma, d.P.R. 309/90 (si richiama la sentenza n. 45061 del 2022), e non effettuando la prescritta valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie concreta, non essendo, tra l’altro, emersi elementi indicativi dello stabile svolgimento dell’attività di spaccio di stupefacenti (non essendo stati individuati assuntori di tali sostanze usi a rivolgersi
al ricorrente per acquistarne, né contatti con fornitori all’ingrosso di tali sostanze né con la criminalità organizzata).
2.3. Infine, con un terzo motivo ha lamentato la violazione dell’art. 99 cod. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento alla conferma della applicazione della recidiva, riconosciuta in assenza di una specifica indagine ricognitiva sulla riprovevolezza e sulla pericolosità del comportamento del ricorrente, sulla offensività delle condotte e trascurando di considerare i parametri individualizzanti della personalità dell’imputato e del suo grado di colpevolezza.
eitki 3. Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando il rigetto (ricorso, sottolineando l’infondatezza del primo motivo, alla luce della adeguatezza e non manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa alla attribuzione al ricorrente della sostanza stupefacente rinvenuta e della destinazione della stessa alla cessione a terzi, la correttezza, alla luce del dato quantitativo e degli aspett di organizzazione dell’attività, della riqualificazione della condotta e l’idoneità del motivazione nella parte relativa alla conferma della applicazione della recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata, peraltro in modo indistinto, la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità dell motivazione, nella parte relativa alla affermazione di responsabilità, con riferimento alla attribuzione al ricorrente della detenzione a fine di cessione della sostanza stupefacente rinvenuta all’interno della abitazione nella quale venne sorpreso il ricorrente medesimo, è inammissibile, sia perché è privo di autentico confronto critico con le risultanze istruttorie e con il complesso delle argomentazioni delle sentenze di merito (che, sul punto, sono concordi e, dunque si integrano), in quanto ne considera e critica solo una parte, omettendo di considerare la complessiva ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di merito; sia perché è volto a censurare la valutazione delle prove e la ricostruzione del fatto che sulla base di esse è stata compiuta, proponendone una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito che, però, come osservato, è concorde su tale punto e non manifestamente illogica e non è dunque, suscettibile di alcuna rivisitazione o riconsiderazione nel giudizio di merito, neppure nella prospettiva del travisamento della prova (peraltro non denunciato né desumibile dalla motivazione delle sentenze di merito).
La Corte d’appello di Catanzaro, nel disattendere le analoghe censure dell’imputato in ordine alla affermazione della sua responsabilità, ha evidenziato i
plurimi indici ritenuti, in modo non certamente manifestamente illogico ma, anzi, pienamente razionale, dimostrativi della disponibilità dell’appartamento nel quale venne ritrovato il complessivo quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina di cui è stata addebitata al ricorrente la detenzione a fine di spaccio.
In particolare la Corte d’appello ha sottolineato che la polizia giudiziaria, dopo aver visto NOME COGNOME uscire dall’appartamento nel quale era stato segnalato lo svolgimento dell’attività di spaccio di stupefacenti, aveva notato il lancio da una finestra di tale appartamento, nel quale si trovava solamente il ricorrente, di un involucro contenente 8,7 grammi di cocaina; nell’appartamento vennero quindi rinvenuti un bilancino di precisione, sostanza da taglio e fogli di cellophane di colore verde, identici a quelli usati per confezionare l’involucro lanciato dalla finestra e anche a quelli rinvenuti nel magazzino di pertinenza dell’appartamento (due involucri contenenti anch’essi cocaina del peso di 81,1 e 6,8 grammi).
Nel confutare la tesi difensiva dell’imputato, fondata sulla sua estraneità alla detenzione di detta sostanza stupefacente, per non essere residente nell’appartamento nel quale la stessa venne rinvenuta, la Corte territoriale ha evidenziato la presenza del solo imputato in tale appartamento, di cui ha mostrato di avere la autonoma disponibilità, e l’assoluta inverosimiglianza della ricostruzione alternativa dallo stesso proposta, fondata sulla gratuità della cessione di cocaina da parte di soggetti non meglio identificati allontanatisi dopo che il ricorrente e COGNOME si erano addormentati, sottolineando, a conferma della disponibilità della sostanza stupefacente da parte del ricorrente, il lancio da parte sua della sostanza presente nell’appartamento (nel quale vi erano anche sostanze, materiali e strumenti per il confezionamento in dosi).
Si tratta di considerazioni razionali e idonee a confermare l’accertamento di responsabilità in ordine alla detenzione a fine di cessione del non modesto quantitativo di stupefacente rinvenuto in detto appartamento e nelle sue pertinenze (pari a 474 dosi medie singole), che il ricorrente ha censurato in modo generico, senza considerare, tantomeno in modo autenticamente critico, tale complesso di elementi e quanto argomentato dai giudici di merito, e sul piano della valutazione delle prove, di cui è stata proposta una non consentita rivisitazione e lettura alternativa, con la conseguente manifesta infondatezza della censura.
3. Il secondo motivo, relativo alla esclusione della qualificabilità della condotta come “fatto di lieve entità”, ai sensi del quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90, è anch’esso inammissibile, essendo volto a censurare la valutazione di gravità della condotta, che è stata esclusa dalla Corte d’appello considerandone tutti gli aspetti e non il solo dato ponderale ed è stata illustrata con motivazione idonea e non manifestamente illogica, come tale non sindacabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità.
La Corte d’appello di Catanzaro, infatti, nel riqualificare la condotta secondo l’originaria contestazione, ossia ai sensi dell’art. 73, primo comma, d.P.R. 309/90, ha sottolineato, oltre al già ricordato dato ponderale, l’utilizzo di un immobile diverso dall’abitazione del ricorrente, destinato alla custodia della sostanza stupefacente e allo spaccio della stessa, tanto che vi vennero rinvenuti sostanze, materiali e strumenti per la suddivisione in dosi, dunque di modalità indicative di una attività stabile, sistematica e organizzata.
Tali elementi, uniti al ricordato rilevante dato ponderale, sono stati ritenuti, i modo, anche a questo proposito, non illogico né contrario ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, ostativi alla qualificabilità della condotta come fatt di “lieve entità”, proprio sulla base della prescritta considerazione complessiva di mezzi, modalità e circostanze dell’azione, e anche tali considerazioni sono state censurate in modo generico, ossia disgiunto dal loro esame complessivo, e, soprattutto sul piano delle valutazioni di merito, ossia del giudizio di non “lieve entità” della condotta, dunque, anche a questo proposito, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
4. Il terzo motivo, relativo alla conferma della applicazione della recidiva, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, consistendo nel richiamo a consolidati principi interpretativi sul punto, disgiunto dalla considerazione della personalità e dei precedenti dell’imputato e della condotta, oltre che di reale confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata; sia perché è volto a sindacare sul piano delle valutazioni di merito anche questa parte della motivazione, che, però, non è illogica, e non è, dunque, suscettibile di rivisitazioni.
La Corte d’appello, infatti, nel ribadire l’applicazione della recidiva / ha sottolineato i numerosi e anche specifici precedenti penali dell’imputato, evidenziando come il nuovo reato, anche per la sua gravità e per le modalità organizzate che lo hanno connotato, sia espressivo di una più spiccata pericolosità sociale, sotto il profilo della capacità a delinquere (proprio in considerazione delle modalità di realizzazione della condotta), come tale idoneo a giustificare l’applicazione della recidiva.
Si tratta, anche a questo riguardo, di motivazione idonea, essendo state analizzate la personalità dell’imputato e la gravità della condotta ed illustrate le ragioni per le quali la stessa è stata ritenuta espressiva di accresciuta pericolosità sociale, che il ricorrente ha censurato, nuovamente, in modo generico e sul piano delle valutazioni di merito, ossia in modo che non è consentito nel giudizio di legittimità.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della genericità e del contenuto non consentito, oltre che della manifesta infondatezza, di tutti i motivi ai quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21/1/2025