Fatto di Lieve Entità: Quantità e Purezza della Droga Escludono lo Sconto di Pena
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati legati agli stupefacenti: l’applicazione dell’ipotesi di fatto di lieve entità non è automatica e deve essere attentamente valutata. Nel caso specifico, l’ingente quantitativo e l’elevata purezza della sostanza sequestrata sono stati considerati elementi decisivi per escludere il beneficio di una pena più mite, delineando un quadro di attività criminale tutt’altro che marginale.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dalla condanna, confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Roma, di una donna trovata in possesso di 103,40 grammi di cocaina. Un dato particolarmente significativo emerso dalle analisi era l’elevatissimo grado di purezza della sostanza, pari all’84,3%, da cui si sarebbero potute ricavare ben 559 dosi medie singole. La condanna inflitta era stata di quattro anni di reclusione e diciottomila euro di multa.
L’imputata, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso per Cassazione, lamentando l’illogicità della motivazione con cui i giudici di merito avevano negato il riconoscimento dell’ipotesi attenuata del fatto di lieve entità, prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti (d.P.R. 309/1990).
La Decisione della Corte di Cassazione sul Fatto di Lieve Entità
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una semplice riproposizione di argomenti già correttamente esaminati e respinti nei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno confermato la piena legittimità della decisione della Corte territoriale, la quale aveva escluso l’applicabilità della fattispecie del fatto di lieve entità sulla base di una valutazione complessiva e logica degli elementi a disposizione.
Le Motivazioni: Perché è Stato Escluso il Fatto di Lieve Entità?
La decisione della Cassazione si fonda su argomentazioni chiare e consolidate. Per escludere il fatto di lieve entità, i giudici hanno valorizzato due aspetti principali:
Quantità e Purezza come Indici di Pericolosità
Il primo e più evidente elemento è l’ingente quantitativo di sostanza stupefacente. Oltre cento grammi di cocaina non sono stati considerati compatibili con un’attività di spaccio occasionale o di piccolo calibro. A questo si aggiunge l’elevato grado di purezza, un fattore che, secondo la Corte, è un chiaro indice di “contiguità con ambienti criminali di spessore”. Un piccolo spacciatore di strada, infatti, difficilmente ha accesso a sostanze di così alta qualità, che solitamente si trovano a livelli più alti della filiera distributiva.
Attività Organizzata e Sistematica
Sulla base di questi dati oggettivi (quantità e qualità), la Corte ha logicamente dedotto che la condotta dell’imputata non fosse un episodio isolato. Al contrario, è stata interpretata come l’espressione di un’attività organizzata, seppur in modo rudimentale, connotata da gravità e sistematicità. Si trattava, secondo i giudici, di un’operazione volta a reperire e diffondere stupefacenti in modo non occasionale, un quadro incompatibile con la lieve entità del fatto.
La Corte di merito aveva, quindi, correttamente analizzato tutti i parametri previsti dalla norma (mezzi, modalità, circostanze dell’azione, quantità e qualità delle sostanze), concludendo con una motivazione immune da censure per l’esclusione della fattispecie attenuata.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza rafforza l’orientamento secondo cui la valutazione del fatto di lieve entità non può prescindere da un’analisi globale e concreta della condotta. Quantità e purezza non sono meri dati numerici, ma indicatori potenti della pericolosità sociale del reo e del suo inserimento in contesti criminali strutturati. La decisione serve da monito: il beneficio di una pena ridotta è riservato a situazioni di marginalità effettiva nel mercato della droga, e non a chi, pur non essendo ai vertici di un’organizzazione, movimenta quantitativi e qualità di sostanze che presuppongono un ruolo significativo e non meramente episodico.
Quando la detenzione di droga non può essere considerata un fatto di lieve entità?
Secondo la sentenza, la detenzione di droga non può essere considerata di lieve entità quando la valutazione complessiva di tutti i parametri (mezzi, modalità, circostanze, quantità e qualità) indica un’attività non occasionale ma organizzata e sistematica. In particolare, un quantitativo ingente e un’elevata purezza della sostanza sono forti indici che escludono questa ipotesi.
La sola quantità e purezza della sostanza stupefacente sono sufficienti a escludere il fatto di lieve entità?
Sì, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’ingente quantitativo (103,40 grammi di cocaina) e l’elevato grado di purezza (84,3%) fossero elementi di per sé sufficienti a indicare una gravità della condotta incompatibile con la lieve entità, in quanto sintomo di contiguità con ambienti criminali di spessore e di un’attività di spaccio organizzata.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Come stabilito nella decisione, quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la parte che lo ha proposto (la ricorrente) viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, specialmente quando il ricorso appare avere un carattere palesemente dilatorio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6931 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6931 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/12/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Velletri del 29.4.2022, emessa a seguito di giudizio abbreviato, con cui COGNOME NOME era stata condannata alla pena di anni quattro di reclusione ed euro diciottomila di multa in relazione al reato di cui all’art. 73 comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (detenzione con finalità di cessione di gr. 103,40 di cocaina con purezza dell’84,3°/0 pari a n. 559 dosi medie singole).
L’imputata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza proponendo un motivo di impugnazione con cui deduce l’illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. relazione all’art. 73, commi 1 e 4, d.p.r. n. 309 del 1990 in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma 5.
3. Il ricorso é inammissibile.
Il motivo proposto è riproduttivo di analoga censura già adeguatamente vagliata e disattesa con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, considerato che la Corte territoriale aveva dato atto del quantitativo ingente di sostanza stupefacente trovato nel possesso della COGNOME, del suo grado di purezza indice di contiguità con ambienti criminali di spessore non essendo tale caratteristica prerogativa del piccolo spacciatore da strada.
Per tali ragioni nella sentenza impugnata il reato in questione è stato logicamente considerato quale espressione di un’attività organizzata – sia pur in modo rudimentale, ma connotata di gravità e non occasionale – di spaccio di stupefacenti da reperire e da diffondere in modo sistematico.
La Corte di merito, pertanto, ha svolto un’analitica valutazione di tutti i parametri richiamati espressamente dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), escludendo con motivazione immune da censure l’ipotesi della lieve entità.
Evidenziato che all’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende che, avuto riguardo al palese carattere dilatorio del ricorso, appare equo stabilire nella misura indicata in dispositivo;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 14.12.2023